I dottorati di ricerca: la migliore risorsa per le aziende italiane. Perché non assumono?

scritto da il 26 Aprile 2018
Una persona che ha fatto un dottorato ha dedicato anni della propria vita a scoprire in modo originale qualcosa di nuovo su come funziona il mondo. Spesso questo significa diventare estremamente verticali su un’area, al punto in cui si è tra i migliori al mondo a conoscere quello specifico tema. La motivazione principale è quasi sempre l’amore per la conoscenza e la voglia di far fare un passo in avanti alla conoscenza dell’umanità. Gli anni di ricerca sono quasi sempre anni di sacrificio, con remunerazioni basse rispetto a coetanei di pari livello e competenza.
Per chi il dottorato lo fa in Italia si accompagna anche una situazione di carriera accademica incerta, precaria, piena di delusioni e aspettative non corrisposte dal sistema, anche quando le pubblicazioni raccontano di un’eccellenza scientifica che dovrebbe portare ad altri livelli di riconoscimento. Per molti sono anni di speranze e sofferenza, in cui non è facile farsi una famiglia e non è facile costruirsi un futuro. Alcuni, avanti con l’età, riescono a superare le barriere delle difficoltà e rimangono a fare ricerca per il resto della propria vita professionale. Ma molti escono e vanno alla ricerca di un lavoro in azienda. Anche perché negli anni di ricerca sviluppano una fame di concretezza e di poter vedere una ricaduta più vicina a loro del lavoro che fanno.
E qui accade l’incredibile. Le aziende Italiane non assumono queste persone, o lo fanno con grande difficoltà. E questo è totalmente irrazionale dal punto di vista delle aziende, soprattutto nell’economia contemporanea.
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 Oggi, quasi ogni azienda di una certa dimensione, si ritrova a dover affrontare problemi complessi, con fattori umani, economici, scientifici, tecnologici da tenere insieme nel migliore dei modi. Il livello di astrazione necessario è sempre più alto. E lo stress derivante dalla necessità di concentrazione può diventare insostenibile per chi non si è già abituato durante gli anni di studio.
Ma queste sono proprio le caratteristiche dove i dottori di ricerca eccellono. Imparano velocemente perché quasi tutto ciò in cui si imbattono in azienda risulta meno difficile di quello che hanno studiato. L’unico elemento sul quale potrebbero non essere pronti è l’efficacia nella gestione delle relazioni umane: non è detto che un dottore di ricerca sia bravo con le persone, anche se moltissimi di loro lo sono.
Solitamente i dottori di ricerca pensano di essere completamente impreparati a lavorare in azienda, perché sono abituati a pensare a se stessi come esperti e in una situazione fuori dal loro campo specifico si sentono impreparati. Questo produce in loro un’iniziale forte umiltà e voglia di imparare partendo dal basso, che è l’atteggiamento migliore che si possa avere per fare una cambio di carriera. Ma poi vanno più veloci degli altri e in poco tempo, in aziende meritocratiche e pronte a valorizzare il talento delle persone, scalano la piramide organizzativa assumendo ruoli di responsabilità e ritornando a sentirsi competenti in quello che fanno.
In un mercato del lavoro sempre più duale (le persone molto capaci lavorano tanto e bene mentre quelle tentennanti fanno fatica a trovare un lavoro) i dottori di ricerca sono quindi la più fantastica delle opportunità per le aziende. Quelle che se ne rendono conto e si preparano per selezionarli e valorizzarli.
Google ha in azienda il 16% di PhD. Altre tech company hanno oltre il 10%. Se facessimo lo stesso conto in Italia che numeri avremmo?
Twitter @lforesti