L’inutile digitalizzazione della PA alla modica cifra di 5 miliardi e mezzo

scritto da il 23 Maggio 2018

Pubblichiamo un post di Daniele Abramo Pinto, ingegnere, fellow di The Smart Institute e coordinatore del tavolo di lavoro su Smart City; titolare del portale Ingegneri a Milano, svolge attività di consulenza e progettazione di opere ingegneristiche civili –

Si parla sempre di più di Industria 4.0, progettazione BIM (Building Information Modeling) o più in generale di Smart Cities e Big Data, ma siamo sicuri che quanto fatto fino ad ora in ambito pubblico, ma non solo, vada nella direzione giusta? Che i processi messi in atto siano in qualche modo utili?

Si pensi in particolare al metodo utilizzato nel processo per la cosiddetta “digitalizzazione” della Pubblica Amministrazione che ha rappresentato in larga misura una mera “dematerializzazione”.

Cosa si è fatto fino ad oggi?

Ancora troppo poco, focalizzando l’attenzione soprattutto al processo di digitalizzazione inteso come strumento per ridurre l’uso della carta all’interno dei processi burocratici. La digitalizzazione, piuttosto, dovrebbe partire dal contenuto e dai dati che possono essere archiviati e successivamente elaborati.

Nel settore delle costruzioni, ad esempio, quotidianamente capita di interfacciarsi con gli uffici di Comuni e Regione che hanno messo in pratica, appunto, dei processi di digitalizzazione organizzati seguendo uno schema di flussi solitamente così organizzato:

– si deve accedere ad un portale, magari con accesso tramite SPID;

– il portale offre gli stessi servizi dell’ufficio fisico, ma “puoi fare tutto online”;

– si cerca il servizio richiesto e si scarica un modello corrispondente, solitamente pdf. Solo raramente si compila un form online, che però alla fine produce ancora un pdf;

– lo si compila, solo con Adobe Acrobat e a volte è necessario avere anche un browser internet specifico (vedi servizio MUTA di Regione Lombardia);

– si creano gli allegati necessari, sempre in pdf;

– si fanno le firme digitali di tutti i file da inviare;

– si caricano sul sistema i file in estensione .p7m (a volte serve anche la marcatura temporale);

– a questo punto, se tutto funziona, la transazione è conclusa.

Tutto sommato facile, si potrebbe obiettare, basta avere pronte le credenziali di accesso al servizio e la firma digitale. Tuttavia, anche senza considerare che spesso i sistemi informatici non funzionano adeguatamente e le procedure risultano contorte, la domanda corretta da porsi è un’altra:

Tutto questo è veramente utile?

Infatti quello che si sta facendo, con questo processo, è esattamente equivalente a scannerizzare dei documenti e salvarli su un archivio digitale. Le informazioni in essi contenute rimangono ugualmente inaccessibili, ad esempio non è possibile effettuare delle ricerche tramite parole chiave, come lo erano prima della dematerializzazione delle pratiche cartacee.

Se pensiamo che la prima immagine ottenuta da uno scanner, e processata al computer, risale al 1957 [1], si può ben dire, almeno da questo punto di vista, che l’innovazione nella PA non abbia fatto molta strada.

L’unica nota positiva è che forse, ed è il caso di sottolineare il “forse”, in questo modo diminuisce il rischio che le pratiche possano andare perse negli archivi delle varie amministrazioni.

schermata-2018-05-23-alle-12-58-17

E quanto ci costa?

Tutto questo processo di digitalizzazione lo stiamo già pagando almeno tre volte. Il primo costo è quello diretto per implementare i nuovi portali, il secondo è il costo in termini di tempo che ognuno di noi impiega per scaricare, compilare, firmare e inviare dei file pdf, e infine il terzo è il costo di archiviazione di inutili masse di file.

La spesa annuale media ICT delle Pubblica Amministrazione nel triennio 2013-2015 è stata pari a circa 5,6 miliardi di euro [2]. Si parla quindi di cifre molto importanti che magari potrebbero essere sfruttate in maniera più efficace.

Perché non si usano i database?

Non sarebbe forse più semplice, sempre utilizzando tecnologie già collaudate, compilare direttamente dei database?

Di questo si parla, in teoria, anche nel Data & Analytics Framework (DAF) [3], ma ad oggi non se ne vede una corretta applicazione, tranne che per minime eccezioni.

Utilizzando una base dati le informazioni potrebbero essere utili ed accessibili. Il tutto con meno costi, maggiore velocità e facilità di gestione dei dati. Il tempo impiegato dall’utente per l’inserimento dei dati sarebbe ampiamente compensato dal valore aggiunto ottenuto dalla creazione del database.

La sensazione, per ora, è quella di aver perso un’occasione, perché invece di realizzare una vera rivoluzione digitale dei processi si è scelta una soluzione più ovvia e comoda, cioè quella di trasformare la carta in file digitali “statici” senza alcun valore aggiunto.
Come si dice, spesso il meglio è nemico del bene.

Da dove ri-partire?

La vera rivoluzione digitale deve essere guidata dagli utenti e dal mondo delle professioni, che devono imporre una vera rivoluzione tecnologica alla Pubblica Amministrazione. Una rivoluzione che parta dal valore dei dati e che sia al servizio dell’utente. Altrimenti di questo passo resteremo ancora a lungo frenati dalla nostra burocrazia, sempre diversa e sempre uguale a se stessa.

E perché no, anche il nuovo paradigma della Blockchain potrebbe essere una valida soluzione da adottare.

Twitter @ildanipinto

NOTE
[1] Fonte https://en.wikipedia.org/wiki/Image_scanner
[2] Fonte Piano triennale per l’informatica nella PA 2017 – 2019
[3] Il Data & Analytics Framework (DAF) è una delle attività atte a valorizzare il patrimonio informativo pubblico nazionale approvata dal Governo italiano nell’ambito del Piano Triennale per l’Informatica nella PA 2017-2019. L’obiettivo principale del DAF è di abbattere le barriere esistenti nell’interscambio dei dati pubblici tra PA e promuoverne l’utilizzo a supporto del decision making pubblico, ottimizzare i processi di analisi dati e generazione di sapere, standardizzare e promuovere la diffusione degli open data, promuovere e supportare iniziative di ricerca scientifica favorendo la collaborazione con Università ed enti di ricerca.