Perché Roberto Mancini e Matteo Salvini sbagliano sui troppi stranieri in Serie A

scritto da il 08 Settembre 2018

Dopo una lunga estate passata a guardare i primi Mondiali di calcio dal 1958 senza gli Azzurri, ieri sera la nostra Nazionale è tornata finalmente in campo. La neonata UEFA Nations League non è iniziata con una vittoria. Il pareggio con la Polonia, con gol su rigore dell’oriundo Jorginho, ha messo in mostra una squadra che fatica a costruire gioco. Non solo, si è visto anche un ambiente ancora scosso per la mancata partecipazione all’ultima Coppa del Mondo. Pochi giorni prima della delicata doppia sfida contro Polonia e Portogallo il CT Roberto Mancini ha lanciato l’ennesimo attacco “contro i troppi stranieri che giocano in Serie A e che vanno in campo al posto dei nostri giovani più bravi”. In sintonia con il CT, il vice-premier Matteo Salvini ha rincarato la dose spiegando che “occorre un limite al numero di giocatori stranieri in campo per poter dare spazio e fiducia a tanti giovani italiani che altrimenti vengono sacrificati”.

Diciamoci la verità: sia Mancini che Salvini sbagliano. Il dibattito dei troppi stranieri in Serie A è una polemica sterile. Parafrasando il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è il classico dibattito portato avanti da coloro che vorrebbero cambiare tutto per non cambiare niente.

Osservando i dati, infatti, si può notare come non esista nessuna causa-effetto tra la percentuale dei giocatori stranieri all’interno dei vari campionati di calcio europei ed i risultati delle rispettive squadre nazionali.

Ad oggi, la Serie A ha il 57,6% di giocatori stranieri, la Premier League il 67,9%, la Bundesliga il 52,5% di stranieri, la Ligue 1 francese il 49,1% di stranieri, la Liga spagnola il 41,2% di stranieri e la Jupiler Pro League belga il 63,6%. La media di giocatori stranieri presenti nei 10 campionati di calcio europei principali (leghe che hanno un valore totale superiore ai 500 milioni di euro) è pari al 52%, poco meno della percentuale di giocatori stranieri presenti in Serie A.

Tabella 1: Percentuale calciatori stranieri nei 10 campionati di calcio europei più importanti in termini di valore di mercato medio e totale. Dati Transfermarkt.

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La correlazione con i risultati delle squadre nazionali è, nei fatti, nulla. La nazionale inglese e quella belga, che in patria hanno leghe con una percentuale di stranieri superiori alla nostra, sono arrivate in semifinale durante gli ultimi Mondiali. Il Belgio è addirittura casa di una “golden generation” di giocatori che militano in tutti i principali club europei: Lukaku (Manchester United), Hazard (Chelsea), De Bruyne e Kompany (Manchester City), Courtois (Real Madrid), Mertens (Napoli), Vertonghen e Dembélé (Tottenham), Vermaelen (Barcelona). La Germania, la cui Bundesliga ha da diversi anni una percentuale di stranieri simile alla Serie A, ha giocato dei pessimi mondiali, così come la Spagna. Nonostante una sostanziale differenza nella percentuale di stranieri, sia la Germania che la Spagna hanno appena concluso un ciclo di vittorie e successi incredibili.

Contrariamente alla vulgata corrente e alla voglia di imporre paletti e limiti che avvantaggino i giocatori italiani, i tanti stranieri presenti nel nostro campionato (da Cristiano Ronaldo a Icardi passando per Dybala, Higuain, Gomez, Mertens, Callejon, Zielinski, Perisic, Douglas Costa, Dzeko, Milinkovic-Savic, Luis Alberto, Simeone, Suso, Iago Falque, Pjanic, Pastore, Koulibaly, De Vrij, Skriniar, Handanovic, Reina, Szczęsny e tantissimi altri giocatori di primo livello) rendono le nostre squadre più competitive a livello internazionale, aumentano il tasso tecnico della Seria A, alzano il valore delle nostre squadre, accrescendone anche gli introiti complessivi.

L’idea di imporre ulteriori divieti o tetti al numero dei giocatori stranieri rischia di avere lo stesso effetto dei dazi: protezione di aziende (nel nostro caso specifico, protezione dei calciatori italiani) a discapito della competizione, della concorrenza, dell’innovazione e della crescita (nel nostro caso, ad esempio, per qualche motivo un calciatore italiano dovrebbe impegnarsi di più se il suo posto in campo è assicurato da paletti che impongono una minor competizione per il ruolo?). Il rischio, inoltre, è quello di garantire ai tifosi un prodotto di minor pregio e di ridurre la competitività delle nostre squadre di club a livello internazionale. Per quale motivo una qualsiasi squadra italiana dovrebbe sottostare a regole ancora più restrittive di quelle già in vigore a livello UEFA?

Ebbene sì. Esistono già delle regole “limitanti”. Dal 1 Settembre 2015, sulla falsariga di quanto previsto dalla UEFA relativamente alle rose da utilizzare nelle competizioni continentali (Champions League ed Europa League), la FIGC ha deciso di adeguarsi (in modo non vincolate) anche a livello nazionale. Stando alle regole UEFA, è prevista la scelta di una rosa di massimo 25 giocatori con età superiore ai 21 anni, senza porre limiti invece all’utilizzo di “under 21” (che sono comunque inseribili nei 25). In più, di questi 25, 4 dovranno essere cresciuti (per almeno 3 anni) nel vivaio del club nel quale militano, e altri 4 invece nel vivaio di altre squadre italiane. Se già queste regole rendono spesso più complicate del previsto le sessioni di calciomercato estivo e creano molti grattacapi alle società, ulteriori nuovi paletti sarebbero controproducenti.

I problemi del calcio italiano risiedono altrove, basti ad esempio pensare agli stadi di proprietà, a spalti spesso semi-vuoti (nel 2017/2018 gli spettatori sono stati in media di poco superiori a 24 mila per partita, rispetto a stadi con una grandezza media di circa 41 mila spettatori), ai debiti accumulati in passato, oppure ai minori sponsor ed introiti commerciali rispetto a Premier League, Liga e Bundesliga.

Al contrario, i tanti giocatori stranieri che militano nelle nostre squadre aiutano a rendere da decenni la Serie A uno dei campionati più importanti, affascinanti, difficili e seguiti al mondo. Più che un problema, i calciatori stranieri sembrano portare dei grossi benefici al calcio italiano. Giusto poi ricordare come la Nazionale possa eventuale utilizzare anche i molti giocatori italiani all’estero: da Balotelli a Zappacosta; da Darmian a Jorginho, passando per Ogbonna, Emerson, Gabbiadini, Giovinco, Piccini, Sansone, Caligiuri, Grifo, Donati e centinaia di altri. Stando a Transfermarkt, nella sola Germania ci sono 865 calciatori italiani.

Stando alle regole descritte in precedenza, le squadre della Serie A dovrebbero avere tutte un minimo di 8 giocatori provenienti dai vivai italiani. Nel corso dell’ultima stagione, dei 100 giocatori che sono scesi in campo per più minuti, 47 sono italiani. Osservando poi la lista delle 32 più importanti squadre europee in termini di valore d’impresa estrapolata da un recente studio di KPMG e da Transfermarkt, si può notare come delle nostre “big” solo il Napoli non rispetti a pieno questi paletti. Con solo 4 italiani in rosa (Meret, Luperto, Insigne e Verdi), il Napoli risulta essere tra le squadre europee più ricche di stranieri.

Tabella 2: Top 32 squadre europee in termini di valore d’impresa e calciatori stranieri. Dati Transfermarkt e KPMG.

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Lasciando da parte gli “outliers” AS Monaco e Athletic Bilbao, la tabella numero 2 mostra come la media di giocatori stranieri delle principali squadre europee sia del 63%, di fatto in linea con le rose di Inter e Roma; minore della percentuale di giocatori stranieri che giocano per il Napoli e per la Lazio; maggiore della percentuale di stranieri che rappresentano i colori di Juventus e Milan.

L’Athletic Bilbao, che nel corso dell’ultima stagione si è piazzato al quart’ultimo posto della Liga spagnola, a pari merito con il Leganés, è una società molto particolare nel panorama calcistico odierno. La filosofia sportiva del club è continuamente disciplinata da un codice (non scritto) che permette solo ai giocatori passati attraverso le giovanili del club, attraverso le giovanili di altri club Baschi o a giocatori che sono nati in questi territori di essere tesserati. L’altro outlier, il Monaco, non comprende giocatori di origine monegasca e di conseguenza tutti i giocatori vengono considerati stranieri dal database Transfermarkt. Se I giocatori francesi venissero invece considerati non stranieri, la percentuale di questi ultimi si attesterebbe al 67,64%.

Infine, un’ulteriore osservazione riguarda le così dette “cantére”, o per usare un termine più italiano, il settore giovanile. Le due squadre europee che meglio di tutte esemplificano l’idea di “miglior vivaio d’Europa” sono, ad oggi, l’Ajax e il Barcellona. In entrambi i casi, nonostante questi club puntino moltissimo sul loro settore giovanile, la percentuale di stranieri che giocano nelle prime squadre è in linea con la media europea: 62,21% per il Barcellona, 59,25% per l’Ajax. Chi vuole vincere e competere a livello internazionale non può dunque fare a meno degli stranieri. Guardando sempre in casa di Ajax e Barcellona, notiamo come buona parte dei giocatori dal valore più alto siano stranieri: Messi è argentino, Suarez è uruguaiano, Coutinho è brasiliano, Dembélé è francese, Malcom è brasiliano, Vidal è cileno, Rakitic è croato-svizzero, Ziyech è marocchino, Neres è brasiliano, Tagliafico è argentino, Tadic è serbo e Onana è camerunense.

Come riporta un recente studio di Deloitte, i club italiani hanno ben altri problemi a cui pensare. In termini di introiti complessivi, il divario con Premier League, Liga e Bundesliga si sta ampliando sempre di più. In particolare, per concludere, sarebbe doveroso iniziare a porsi serie domande sugli stadi di proprietà. Al netto delle critiche riguardanti un trattamento di favore da parte del Comune di Torino, il modello Juventus dovrebbe essere analizzato più a fondo, sia dalla FIGC, sia dalle rivali. Mentre la maggior parte delle “big” europee giocano in stadi di proprietà sempre più moderni e futuristici, delle vere e proprie macchine da soldi, viene da piangere a pensare che squadre come Inter e Milan o Roma e Lazio continuino a condividere lo stesso terreno, mentre il Napoli giochi in uno stadio comunale semi-fatiscente.

Secondo Deloitte, nel corso della stagione 2016-2017 il Manchester United, la squadra più ricca di tutte, ha ottenuto ricavi totali pari a €676,3 milioni di euro, di cui €125,2 milioni (il 19%) del totale direttamente dal botteghino (match-day revenue). Il solo match-day revenue dei “Red Devils” equivale a due terzi dei ricavi totali del Milan, che nel 2017 sono stati di appena €191,7 milioni di euro. Nella classifica delle 30 squadre di calcio più ricche al mondo in termini di ricavi totali la Juventus si posiziona al 10° posto, l’Inter al 15°, il Napoli al 19°, il Milan al 22° e la Roma al 24°. È però interessante sottolineare come, tra le “big” italiane, la Juventus sia l’unica squadra ad avere un match-day revenue in rapida crescita e superiore ai €50 milioni di euro. Più introiti provenienti da stadi di proprietà sono sinonimo di maggiori investimenti, anche a livello giovanile. Insomma, se si vuole rilanciare la nazionale ed il calcio italiano forse bisognerebbe incominciare da qui piuttosto che fare i soliti discorsi protezionisti da bar.

Grafico 1: Top 20 squadre europee in termini di introiti. Introiti provenienti dal botteghino (match-day revenue) in milioni di euro, stagione 2016-2017. Dati Deloitte.

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