Blockchain? Sì, ma con cognizione di causa!

scritto da il 28 Settembre 2018

L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, nonché presidente di Assob.it

È un fiorire di annunci di sistemi blockchain per la gestione del voto, per emettere valute complementari, per garantire la tracciabilità del prodotto, per automatizzare sistemi aziendali. Addirittura si utilizza la parola blockchain quale panacea per qualunque male, un novello elisir di lunga vita, uno snakeoil 2.0.

Gli imbonitori abbondano, riempiono le sale, incrementano like e diventano influencer: ma come mai, dato che non hanno neanche la minima idea di quello di cui stanno parlando?

Forse è perché chi ascolta ne sa quanto l’imbonitore (poco o nulla) e quindi condividono lo stesso linguaggio!

La parola blockchain pare essere usata per evocare innovazione che tenda verso almeno una delle 3D: decentralizzazione, disintermediazione e digitalizzazione. Unico problema: la “tecnologia blockchain” non è questo, va oltre e lo supera, cambiando paradigma e realizzato un sistema di difficile comprensione che scompagina gli assiomi su cui è fondato il nostro modo di relazionare.

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Una prima riflessione: la tecnologia blockchain NON esiste! Non c’è proprio! È un modo per organizzare i dati al fine di renderli cronologicamente non alterabili, nulla di più e nulla di meno.

Tale sistema riesce a superare il problema informatico del raggiungimento di un accordo in un ambiente decentralizzato in cui sono presenti possibili “errori” (cd. “problema dei generali bizantini”): il consenso sul dato viene conseguito attraverso l’esistenza di un sistema di incentivi e di interessi contrapposti che non presuppone la “lealtà” degli attori!

La decentralizzazione del consenso non è LA soluzione: i database distribuiti e centralizzati sono molto più efficienti, veloci ed economici di un sistema decentralizzato, dato che il raggiungimento del consenso sul dato è immediato, certo e temporalmente definito.

Allora, dove sta la differenza e per cosa è rilevante?

La differenza risiede dove viene posta la fiducia.

Nel sistema centralizzato la fiducia è posta in un ente, o un gruppo di enti, definiti e individuati /o individuabili.

La fiducia dell’ente centrale permette allo stesso la sopravvivenza, dato che gli utenti sono disponibili a pagare una determinata somma per avere detta fiducia, o attraverso il monopolio della forza che l’ente impone la fiducia.

La fiducia in un ente che gestisce dati è, di conseguenza, su base volontaria o obbligatoria.

I sistemi di fiducia obbligatori devono, in ogni caso essere affidabili, basti pensare al Venezuela, allo Zimbabwe, alla Repubblica di Weimar, o in tutti i sistemi in cui l’ente a fiducia obbligatoria ha riscontrato scarsa affidabilità nel sistema sociale che ne ha decretato il fallimento.

I sistemi a fiducia volontaria devono quindi trovare fiducia nel mercato dimostrando (in taluni casi solo promettendo) la propria affidabilità.

Il sistema delle criptoattività ricerca tale affidabilità attraverso un algoritmo, una comunità, un sistema di incentivi.

Ovviamente il raggiungimento del consenso in un sistema decentralizzato non è semplice, non è veloce, non è immediato: se tale consenso viene raggiunto in maniera affidabile, il risultato ottenuto sarà l’immutabilità, la resistenza alle manomissioni e la irretrattabilità.

La blockchain appare per quello che è: un libro giornale di transazioni, in ordine cronologico, un sistema di organizzazione dei dati, senza che questo di per sé abbia proprietà taumaturgiche.

I dati inseriti sono e devono essere in forma digitale, vale a dire qualora volessimo far trattare proprietà, voti o qualunque aspetto del mondo reale diventa necessario un ente fiduciario che connetta i due mondi.

La criptovaluta (asset digitale) avrà valore se le sue transazioni sono immutabili, se esiste un comunità che le accetti, se utili allo scopo per le quali sono state create: tutto ciò fuori dalla speculazione e dall’utilizzo nei sistemi di trading che talvolta non hanno alcun fondamento razionale.

Orbene, la tecnologia blockchain non esiste, e quindi emerge il sospetto che la concettualizzazione di blockchain nasca per non parlare di criptovalute e di bitcoin, che sono un prodotto di difficile commerciabilità per istituzioni finanziari e per consulenti con “brand”. Blockchain è più sexy e vende meglio, ma presumibilmente vi stanno vendendo fumo.

L’essere umano sovrastima lo sviluppo tecnologico a due anni e lo sottostima nei prossimi venti anni e quindi occorre ristabilire un corretto utilizzo del termine per riportare le aspettative su un percorso concreto e realizzabile, comprendendo la tecnologia e non immaginando sfuggenti chimere (anche se dette bene).

Trasferire valore, rendere le transazioni programmabili, realizzare piattaforme dotate di “autonomia” può sviluppare la rivoluzione dell’internet del valore, costituendo un nuovo modo per transare o creare piattaforme disintermediate e open source, ma attenzione a far volare la fantasia (o farsi guidare da terzi in voli pindarici) verso situazione che la tecnologia ad oggi non può fare o che già ha risolto in altre maniere efficienti.

Twitter @s_capaccioli