Reddito di cittadinanza? Non prima di un buon mercato del lavoro. Ecco perché

scritto da il 02 Novembre 2018

Siamo nella provincia ricca toscana e in un quartiere bene. Ogni settimana negli ultimi anni lo sportello della Caritas appoggiato alla parrocchia per due volte (martedì e venerdì) consegna a 35 nuclei familiari il sacchetto della spesa per un fabbisogno complessivo di oltre 90 persone, oltre a coloro che di volta in volta sono di passaggio e si presentano per chiedere aiuto.

Sono quelli che la domenica non vengono alla messa, sono quelli che non mandano i figli in gita, inventando scuse o che non iscrivono i propri figli alle varie associazioni sportive. Sono quelli che difficilmente incontriamo sui treni o all’Università e sono quelli che purtroppo qualcuno ha definito in maniera impropria gli invisibili. La cosa che stupisce è che non sono invisibili perché si nascondono, ma sono spesso invisibili perché noi non riusciamo a vederli. E non riusciamo a vederli non per cattiveria, ma semplicemente per mancanza di tempo e di attenzione presi come siamo a correre da una parte all’altra nel lavoro e negli impegni familiari.

Di questi trentacinque nuclei familiari – lo scrivo senza voler dare al dato alcuna intonazione discriminatoria – più della metà è composta da italiani e la parte restante comprende, comunque, famiglie integrate che si sono trovate al pari di quelle italiane ad avere bisogno per la perdita del posto di lavoro di uno o entrambi gli adulti.

Da frequentatore della comunità non sono potuto restare inerme nel vedere come ogni anno il disagio lentamente entra anche nelle nostre case o comunque nelle case a noi vicine. Parlando con il coordinatore e con i due parroci ho chiesto loro di poter incontrare le famiglie per conoscerle e per verificare se fosse possibile fare qualcosa di attivo per aiutarle. Il punto di partenza del ragionamento è: se hanno perso il lavoro vuol dire che hanno delle competenze. Verifichiamo che competenze sono e cerchiamo di organizzarle per aiutarli a creare qualcosa che potrebbe assomigliare, nel tempo, ad una iniziativa imprenditoriale come ad esempio una piccola cooperativa. I parroci mi fanno presente che molte di queste persone si vergognano e che quindi sarebbe preferibile un primo incontro ristretto per non metterli a disagio. Accolgo in pieno il suggerimento e incontro sette persone nei locali della parrocchia una sera alle 19. Resto con loro per quasi due ore, li ascolto e cerco di leggere nelle loro storie ciò di cui sono portatori. Sette persone – uomini e donne – sette età diverse, sette background diversi e soprattutto sette storie diverse.

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Cosa mi hanno lasciato in quelle prime due ore: 1) tutti hanno voglia di lavorare e sono disponibili a fare qualsiasi lavoro. In questo sono sinceri. 2) Tutti, in qualche modo, si danno da fare con lavori occasionali, mal retribuiti, senza assicurazione e tutela alcuna. Si danno da fare non per le grandi multinazionali, ma per aziende locali, nel commercio, nel turismo, nell’industria ecc. Questo dato mi ha colpito perché ci scandalizziamo quando leggiamo che Amazon o Ryanair pagano poco taluni collaboratori e poi, sotto casa davanti a noi “non vediamo” che commettiamo o rischiamo di commettere gli stessi errori. Non paghiamo le competenze, il tempo, paghiamo la “occupazione” quasi che il solo fatto di dare loro un lavoro e un’opportunità sia già esso una retribuzione. 3) Alcuni di loro hanno situazioni particolari ad esempio delle invalidità che non permettono loro di poter fare taluni lavori. Invalidità che spesso danno loro piccoli assegni con cui, nei fatti, vivono. Ricordo uno di loro con più di sessanta anni, separato, con figli adulti, disoccupato e invalido, che vive con la madre e percepisce duecentocinquanta euro al mese con cui nei fatti vive.

Quale è la lezione che possiamo portare a casa da questa piccola storia di vera quotidianità (come da molte altre sparse su tutoli nostro territorio), rispetto a tutto ciò che si sente e si legge sui giornali e che la politica si appresta a voler fare:

1) Sicuramente la filiera del lavoro in Italia non funziona in maniera efficiente.

2) Sicuramente c’è bisogno di ripensare alcune strutture come i centri per l’impiego.

3) Ma c’è un punto dal quale non possiamo prescindere. Il punto non riguarda lo strumento, nella fattispecie ad esempio il centro per l’impiego, ma riguarda piuttosto l’efficacia dello strumento. E l’efficacia dipende dal sistema in cui lo strumento viene implementato.

Se questo è vero – come è vero – appare evidente che lo strumento, qualsiasi forma esso assuma, per funzionare ha bisogno di un sistema funzionante in grado di valorizzare le competenze e consentire la più amplia circolazione delle stesse sul mercato del lavoro. Maggiore è la circolazione delle competenze e maggiori sono le opportunità e l’occupabilità di chi cerca lavoro.

Purtroppo in Italia il sistema sembra essere non dinamico e non efficiente. Non c’è movimento – orizzontale e/o verticale – nel sistema italiano e questo pregiudica inesorabilmente qualsiasi strumento seppure sulla carta perfetto o funzionante con successo in altri Paesi. Altri Paesi uguale altri sistemi, più dinamici e meglio funzionanti.

Non può non essere chiaro come nel nostro sistema l’introduzione, oggi, di strumenti come il reddito di cittadinanza rischia di frenare ulteriormente il sistema medesimo, arricchendo tutte le casistiche specifiche di cui le persone che cercano lavoro spesso sono portatrici. Il reddito di cittadinanza è uno strumento giusto ma richiede prima la costruzione di un sistema che sia in grado di accoglierlo. Se partiamo dallo strumento e non costruiamo il sistema alla fine tutto si tradurrà in un ulteriore mero intervento assistenziale che mortificherà chi non riesce a trovare un lavoro e aiuterà tutti gli altri ad avere la coscienza pulita.

Il tema allora è la costruzione di un mercato del lavoro libero, dinamico, vero, dove la conoscenza e le competenze possono correre in largo e lungo su tutto il nostro territorio e non solo. Il tema non deve essere il reddito di cittadinanza sì o no, ma la costruzione di nuove autostrade del sapere e del sapere fare. Le competenze in Italia ci sono a tutti i livelli e non attendono altro che poter correre e circolare.

Twitter @AleBicocca