Pernigotti nel Paese senza borghesia

scritto da il 11 Novembre 2018

È notizia di pochi giorni fa. La Pernigotti, storico marchio del cioccolato piemontese – ceduta ai turchi del gruppo Toksöz nel 2014 – chiude il suo stabilimento. Tutti a casa, si sbaracca, cassa integrazione straordinaria per 200 dipendenti (per inciso, è stata appena re-introdotta la Cig per cessazione, cosa senza senso poiché se l’azienda non riapre, quale ciclo sfavorevole bisogna superare?) e tra 12 mesi partono i licenziamenti.

schermata-2018-11-11-alle-09-30-04L’azienda Pernigotti è stata fondata a Novi Ligure – provincia di Alessandria -– nel 1860, quando l’Italia non era ancora stata “fatta”, quando il presidente del Consiglio di Sardegna (poi Regno d’Italia dal 1861) era il Conte Camillo Benso di Cavour. Da drogheria familiare si trasformò presto in un’impresa di successo. Divenne fornitore della Real Casa grazie al cioccolato di qualità e ai suoi gianduiotti, la sua specialità.

La crescita è proseguita nel ‘900 fino a comprare la cremonese Sperlari (poi ceduta alla Heinz nel 1981). Nel 1995 l’ultimo erede Stefano Pernigotti vendette l’azienda alla famiglia Averna che quattro anni fa la cedette alla famiglia Toksöz, attiva in diversi settori: dolciario, energia e farmaceutico.

Perché nessun industriale italiano si è proposto di rilevare la Pernigotti nel 1995? Possibile che non ci fossero in Italia le competenze per andare avanti e sviluppare un progetto di espansione internazionale? È chiaro che chi compra poi ha tutto il diritto di compiere le scelte che ritiene opportune.

Giuseppe De Rita, che per anni ci ha illuminato con le analisi del Censis, ha sottolineato come la classe borghese debba essere capace di farsi carico di interessi collettivi: «L’élite da noi non è diventata borghesia. Invece in Germania quella classe di è formata attorno all’ethos militare, in Inghilterra attorno a quello finanziario e in Francia a quello amministrativo. In tutti e tre i casi esiste il senso dello Stato. Da noi no». E ancora: «Un Paese senza borghesia è come una macchina da corsa priva di driver: rischia continuamente di sbandare e finire fuori strada. In assenza di guida, riconosciuta e autorevole, crescono le paure, i risentimenti, il senso di spaesamento. Si diffonde un’insicurezza che taglia le gambe al futuro, perché ci si avvita in un presente dominato dall’angoscia: preoccupa la sola prospettiva di impoverirsi, di una frattura con il benessere conquistato durante la lunga epopea del boom economico, e spaventa un fenomeno epocale, l’immigrazione, che per sua natura va invece considerato come un dato di fatto, semmai da governare, e non come una possibile invasione da respingere, alzando i bastioni a difesa del territorio locale. […] Un paese senza borghesia è incapace di coltivare un’etica civile. […] Un paese senza borghesia invecchia precocemente. […] Un Paese senza borghesia non riesce a pensare in grande. Non alimenta sogni, e si abbandona alle pulsioni».

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Alcuni potrebbero subito invocare il protezionismo, l’autarchia, “l’economia domestica” contro le “forze capitalistiche del male”, il blocco delle delocalizzazioni. Sarebbe una mossa sbagliata. Nel mondo globale, la chiusura è dei perdenti; chi si isola, è perduto. La competizione va affrontata a viso aperto, ma con serietà, competenza, mezzi finanziari adeguati. E il sistema Paese deve essere favorevole all’impresa. Le regole devono essere chiare e pro-business, non tali da rendere impossibile la vita all’imprenditore, vessato da burocrazia, controlli e leggi fiscali financo retroattive.

Proprio Cavour, in un memorabile discorso alla Camera nel 1861 – Contro il protezionismo – disse: “La conseguenza del sistema protettore è di spingere i capitali e gli industriali nelle industrie protette, quella della libertà è di spingerli invece nelle industrie naturali al paese…Ma dice l’onorevole Sella che noi abbiamo agito un po’ troppo in fretta, che non abbiamo prevenuti gl’industriali. Questo è vero; ma che vuole? Io sapevo già prima che cosa mi avrebbero detto gl’industriali (Si ride); è tanto tempo che discuto con essi, che mi pare ben difficile avessero da portarmi argomenti nuovi o tali che io non glia vessi già uditi dalla loro bocca”.

Cavour prosegue il suo ragionamento di apertura e chiude così: “Finalmente io credo che per favorire l’industria…si conviene di favorire l’istruzione professionale non solo nelle alte, ma nelle basse sfere degli operai. Noi difettiamo ancora di buoni capimastri nelle nostre fabbriche, s’incontrano assai difficoltà onde procacciarsi dei meccanici ingegneri, quelli che gli’Inglesi dicono engineers, che sono meccanici un po’ distinti, e per avere questa classe di capimastri artieri è necessario che vi siano alcune scuole tecniche, dove gli operai, non quelli vestiti di panno fino, ma i veri operai, che hanno un ingegno naturale, acquistino quelle cognizioni che sono necessarie per diventare buoni capi d’arte, buoni capimastri” (Cfr. Camillo Benso di Cavour, Autoritratto. Lettere, diari, scritti e discorsi, a cura di Adriano Viarengo, prefazione di Giuseppe Galasso, Bur Rizzoli, 2010, pp. 724-731).

schermata-2018-11-11-alle-09-29-25Belli i tempi in cui il presidente del Consiglio – e di che livello! – discuteva con gli industriali. Oggi vengono definiti dal vicepremier Luigi Di Maio “prenditori”, come se sottraessero risorse al sistema Paese. Bei tempi nei quali il contraddittorio era Camillo Cavour-Quintino Sella. Bei tempi nei quali si parlava di scuola, capitale umano, di favorire l”istruzione professionale” anche nei ceti meno abbienti.

Nostalgia canaglia. Il panorama attuale è così triste, che dobbiamo rifarci ai discorsi del Conte Cavour e alle invocazioni di taglio della spesa corrente di Quintino Sella, per favorire gli investimenti, l’istruzione e le opere pubbliche, considerate “grandi fattori dello sviluppo e dell’aumento della potenza economica del paese” (cfr. Fernando Salsano, Quintino Sella Ministro delle finanze, il Mulino, 2013, p. 171).

Ah serva Italia,
di dolore ostello,
nave senza nocchiero in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello

(Dante, Canto sesto, Purgatorio)

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