Dalla flat tax alle pensioni l’inganno nasce nel linguaggio e diventa tragedia

scritto da il 13 Dicembre 2018

Se per comprensione s’intende ciò che leggiamo sul Treccani online (“L’atto e la facoltà di comprendere con l’intelletto, di far propria una nozione”), allora, quando i membri del governo parlano, la gente non capisce del tutto il loro linguaggio, anzi, non li capisce affatto. Più che altro, avendoli votati, si sforza parecchio e finge di capirli.

L’idea secondo cui il discorso di Di Maio, Salvini  & Co. è compreso adeguatamente da chi ci ascolta è piuttosto bislacca e, forse, anche illusoria; proviene, molto probabilmente, dalla storica presunzione del primato ‘scientifico’ della specie. Possedere tale primato neurobiologico tuttavia, cioè saper usare la parola, non significa comprenderne tutte le combinazioni. Abbiamo l’impressione che il fenomeno della presunta comprensione gialloverde non sia altro che una sorta di adesione o partecipazione a una funzione biologica collettiva. D’altronde, il sistema della lingua può essere pensato come la risposta dell’aggregazione antropologica alle esigenze della specie.

Il linguaggio è una preziosa opportunità di adesione, ma bisogna stare molto attenti a ciò che si è convinti di aver capito. Se qualcuno ci dice “Il tuo naso è rosso”, il rossore del naso può significare tante cose, dall’ironia di chi parla al timore di una malattia, senza che si trascuri la bugia indefinita e senza preciso scopo. Se sentiamo dire “Renzo e Lucia si sono sposati”, ciò non significa che si sono sposati l’uno con l’altra. Può darsi che ognuno abbia un proprio partner e le coppie siano due. Bisogna sempre verificare il rapporto col mondo, in assenza del quale deve prevalere il dubbio scettico su tutto. Il motivo per cui le fake news diventano subito popolari e virali è tutto racchiuso nell’uso criminale di alcuni artifici del linguaggio.

Perché dunque accogliamo il messaggio del “colore rosso” anche in assenza di una vera e comprensione e siamo convinti d’aver capito? La nostra ‘mente’, in pratica, accetta l’ambiguità e la supera, attivando dei processi di deduzione, come se da ‘quel rosso’ ciascuno di noi ricavasse il ‘rosso’ che più gli si addice, quello che è più adatto alle proprie conoscenze e alle proprie esperienze.

Si può intuire che, in questo passaggio di riduzione dell’ambiguità, qualcosa si perde; il che – attenzione! – non implica affatto un fenomeno negativo. Possiamo dire tuttavia che ambiguità e deduzione sono, sì, necessari al linguaggio – in sostanza, senza di essi, non potremmo parlare gli uni con gli altri –, ma, nello stesso tempo, sono il varco attraverso il quale transitano ciarlatani, imbonitori e chiacchieroni d’ogni genere e specie.

Tutti i politici, nel tempo, hanno sfruttato questo varco, per carità, ma, oggi, il contesto s’è fatto quasi invivibile.

Proviamo a fare un sunto delle deduzioni possibili del primo semestre dell’attuale governo.

1 – reddito di cittadinanza

6 milioni di persone erano convinte di riceverlo; poi, la prima delusione: RDC solamente per 2 o 3 milioni di persone; da ultimo: forse, ne beneficeranno 450.000 persone e non si sa se ci siano le coperture

2 – aumento delle pensioni minime

780 euro da gennaio 2019, ma solo nel primo anno occorrono più di 7 miliardi e non ci sono le coperture

3 – riforma della Legge Fornero

11,5 miliardi nel 2019 e 15 miliardi negli anni successivi: questi i costi della cosiddetta quota 100, costi che si ribalteranno sulle generazioni e sui governi a venire (e trascuriamo per scelta l’analisi di Boeri, secondo il quale l’impatto sarà di 100 miliardi)

4 – flat tax

40 miliardi di spesa pubblica il valore, ma dalla flat siamo passati alla dual tax e, da ultimo, agli scaglioni: 15%, 20%, 23% e 33%.

5 – riduzione delle accise sulla benzina

Misura non pervenuta.

Di Maio e Salvini, a questo punto, potrebbero essere ricondotti alla call to action “Prova il nostro metodo per scolpire i tuoi muscoli in dodici settimane”: tutti noi abbiamo visto scorrere parecchie volte sulla nostra timeline uno slogan di questo tipo associato con le foto di un tizio che, tre mesi prima, era ossuto e aveva un addome cascante, e tre mesi dopo, per l’appunto, è diventato, ai nostri occhi, un Bronzo di Riace. Se queste forme di propaganda hanno successo – e purtroppo ne hanno! –, allora è evidente che il meccanismo di comprensione dei significati tra di noi è disfunzionale o, per lo meno, è ‘ambiguo’, fuorché vogliamo credere alla cicogna che porta i bambini o… agli anabolizzanti, che comunque non ci condurrebbero a certi risultati in così poco tempo.

Provando ad analizzare il contenuto dello spot per scoprire com’è fatto e perché riesce a far breccia nella nostra percezione, scopriremo perché la gente s’è lasciata incantare e continua a lasciarsi incantare da Salvini e Di Maio.

Anzitutto, in posizione enfatica, si rileva un atto linguistico direttivo (‘call to action’ nel gergo del web marketing), cioè una formula con cui l’autore vuole che il destinatario compia una certa azione. Non a caso, il verbo è imperativo-esortativo. In secondo luogo, quest’azione è interamente finalizzata al raggiungimento del messaggio della subordinata. L’azione richiesta, da sé, non produrrebbe alcuna curiosità. Il costrutto, dunque, è ipotattico, anche se si articola in un solo livello.

In genere, in pubblicità non è comune né efficace ricorrere alla sintassi complessa, ma, in questo caso, la scelta è giustificata dal rafforzamento che ne deriva. La “prova” che il fruitore deve fare è necessaria allo scopo: ‘chi non risica non rosica’ potrebbe essere la morale.

A questo punto, intervengono principalmente due specifiche funzioni del linguaggio: la funzione conativa, che è contenuta nella frase “Prova il nostro metodo”, e la funzione poetica, che invece è veicolata dall’intero discorso. Con la prima, l’attenzione è rivolta al destinatario perché si tenta di persuaderlo ad agire; mediante la seconda, si punta all’effetto retorico ed estetico-esornativo del costrutto.

Quest’ultima è l’autentica premessa all’inganno permanente, giacché le emozioni suscitate nel fruitore sono prive di un vero e proprio contesto, non hanno referenza, ma possono solo essere rinviate a un futuro d’immaginazione e intangibilità.

Qual è la condizione che ci permette di utilizzare l’immaginazione e l’intangibilità, a dispetto dell’apparente inconsistenza semantica? Le presupposizioni e le implicature, termini adottati dai linguisti per descrivere questi meccanismi, costituiscono la base su cui si poggia buona parte della comunicazione, in specie quella persuasivo-propagandistica. La presupposizione è qualcosa che, pur non essendo dichiarato apertamente nel discorso, è dato per scontato, una precondizione di verità di quanto si afferma, mentre l’implicatura è data ciò che il parlante o lo scrivente lasciano intendere (ne avevo già parlato, pur se in modo parziale, nel mio articolo su “Il caso del nemico Boeri”).

Nelle circostanze che riguardano lo spot, l’enunciato da assumere come vero è: “esiste un metodo”, mentre l’implicatura potrebbe essere “noi ne siamo capaci”; le quali cose, se negate, annullerebbero l’effetto del messaggio. Ricordate quel Di Maio che, in campagna elettorale, diceva “aboliremo 400 leggi inutili”? La presupposizione che istruisce il discorso è “esistono 400 leggi inutili”. Nessun elettore sa se queste leggi siano davvero inutili né un programma elettorale può contenere per esteso 400 leggi apparentemente inutili, tuttavia il messaggio guadagna credito in quanto fondato sulla forza illusoria di ciò che non è dimostrabile ed è privo di contesto.

Adesso, volgiamo la nostra attenzione a dichiarazioni più recenti agli effetti di una maggiore presa di coscienza.

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Nel tweet appena riportato, Matteo Salvini non si limita a riconoscere un certo merito alla manifestazione della Lega, ma fa subito il cosiddetto ‘gioco sporco’. E lo fa spingendo il lettore a un meccanismo di deduzione-trappola inevitabile: egli sottolinea la “differenza con altre manifestazioni piene di violenza” et cetera. La nostra mente è indotta a considerare gli eventi organizzati dagli altri partiti come fatti negativi e pericolosi. Tra le altre cose, sfrutta con in modo perverso la concomitanza del caso francese dei gilet gialli, così da enfatizzare ulteriormente la “differenza”. Chi si informa sa benissimo che le ultime manifestazioni ‘sfavorevoli’ al governo sono state pacifiche e sane, ma un certo elettorato s’inebria di questo. Il twittatore è palesemente sleale.

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In questo caso, la presupposizione, cioè la precondizione senza la quale crollerebbe l’enunciato, è la seguente: “noi stiamo facendo un grande lavoro e il nemico se n’è accorto”. Il nemico, di fatto, non è nominato e non esiste concretamente, ma viene evocato a fondamento dell’unione di un popolo. A rigor di logica, si dovrebbe pretendere la designazione esatta dell’avversario, l’esplicazione delle sue colpe, la requisitoria, l’analisi et cetera, ma, favorito dalla quantità dei caratteri a disposizione, il twittatore seriale punta dritto all’effetto ‘muscolare’.

Adesso, sulla base di questi presupposti, dopo aver sbirciato nel profilo di Di Maio, troviamo una brillante sequenza di retweet e possiamo consentirci immediatamente una comparazione più feconda.

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Gli autori dei tweet sono ‘vergognosamente’ allineati, come se il testo provenisse da una vera e propria velina.

  • “I grandi giornaloni si sono uniti per fare guerra a Luigi Di Maio”;
  • “Luigi di Maio e il MoVimento 5 Stelle sono in questi giorni sotto il fuoco incrociato dei soliti giornaloni”;
  • “Se non state attenti, i media vi faranno odiare (…)”, citazione, quest’ultima, riadattata in modo improprio

In pratica, di là dall’omologazione del pensiero e dall’assenza di contenuti, che un ministro della Repubblica, a nostro avviso, non dovrebbe assecondare, qui, si è ancora una volta alla ricerca della deduzione di credibilità. In tutte e tre gli enunciati, a, b e c, la presupposizione, ovverosia la deduzione di credibilità, è quella secondo la quale Luigi Di Maio è un giusto, un uomo ‘al di sopra dei giornali’.

Anche in questo caso, chi è anche mediamente acculturato sa benissimo che il dibattito democratico è del tutto incentrato sull’azione di contrasto di opposizione, opinione pubblica e giornalisti e, nello stesso tempo, sa che pretenderne il silenzio, anche tacitamente, è, a dir poco, scandaloso, eppure un ministro della Repubblica ritwitta esattamente ‘queste cose’.

Tutti noi abbiamo bisogno di partecipare al dialogo della comunità e lo facciamo, purtroppo, non tenendo conto dei rischi, esponendoci alla tirannia del linguaggio e sancendo la nostra subalternità psicologica.

Twitter @FscoMer

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