Boom economico e produzione industriale, l’inversione linguistica racconta un’altra Italia

scritto da il 13 Gennaio 2019

“In che modo le parole hanno rapporto col mondo?”

Se lo chiedeva nel 1969 John R. Searle in apertura del proprio saggio, Speech Acts: An Essay in the Philosophy of Language (1969); e, poco dopo, aggiungeva la seguente riflessione: se diciamo che “Tizio è venuto a casa”, intendiamo proprio dire che Tizio è in casa o qualcos’altro, qualcosa d’imperscrutabile? Il ricorso a questi interrogativi filosofici non deve spiazzarci o distrarci dal tema economico-sociale. Ogni tema economico sociale – non dimentichiamolo mai! – entra a far parte della nostra dimensione quotidiana perché qualcuno ce lo racconta, ce lo descrive e ce lo spiega. Dunque: ciò che ci viene raccontato, descritto e spiegato non è mai un fatto. Ammettiamolo: è difficile attenersi ai fatti o, riformulando Searle, mantenere un rapporto di fedeltà col mondo! Lo è per tutti.

L’11 gennaio 2019, cioè qualche giorno fa, l’ISTAT ha pubblicato il report sulla produzione industriale, un documento che indica le variazioni tendenziali delle attività economiche del paese. Si tratta di rilevamenti statistici: fatti o, in altri termini, fatti sui quali il cittadino medio non indaga ogni mattina, prima della colazione o poco prima di entrare in una cabina elettorale; la qual cosa è da intendersi non già quale segno di sconfitta intellettuale di un popolo, bensì come variabile attitudinale e multiculturale. Quel padre di famiglia che fa l’operaio e all’alba si trova già in fabbrica molto di rado ha il tempo per consultare e studiare il sito dell’Istituto di Statistica. Egli, quando protesterà, molto probabilmente, sarà costretto a farlo di rimando.

Politici, giornalisti, opinionisti ed economisti attivi diventano così ‘mediatori linguistici’ o, se vogliamo esprimerci con più raffinatezza, interpreti. Di conseguenza, l’apprendimento e la rielaborazione della notizia sono segnati dalla ‘distanza’. Adesso, leggendo con diligenza il documento summenzionato, sappiamo che la variazione tendenziale della produzione industriale italiana si è ridotta del 2,6% su base annua e dell’1,6% su base mensile. Nei nove mesi del governo del popolo, questa è la quarta volta in cui compare il segno negativo nella produzione industriale. Tali indicatori sono oggettivamente recessivi, specie se commisurati a quelli internazionali: anche Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna hanno fatto registrare cali importanti, pur se meno elevati.

In tutte le economie aperte, in cui una parte del PIL è determinata, per l’appunto, da transazioni con l’estero, una grave flessione dell’economia di un ‘partner commerciale’ comporta sempre un rischio sistemico. La recessione può generare alcune conseguenze: aumento della disoccupazione, degli interessi sul debito, disavanzo commerciale, inflazione et cetera. A tal proposito, rivolgendo la nostra attenzione a un altro focus dell’ISTAT, quello su “occupati e disoccupati”, riportiamo quanto segue: “Nel trimestre settembre-novembre 2018 l’occupazione registra una lieve flessione rispetto al trimestre precedente (-0,1%, pari a -26 mila unità). La diminuzione riguarda le donne e le età centrali tra i 25 e i 49 anni. Nell’arco del periodo crescono i dipendenti a termine (+13 mila) mentre calano i permanenti (-23 mila) e gli indipendenti (-17 mila).”

Curva della Produzione Industriale elaborata dall'autore su dati ISTAT

Curva della Produzione Industriale elaborata dall’autore su dati ISTAT

La mediazione linguistica, quella della Presidenza del Consiglio, quella dei ‘supremi’ narratori politici (supremi in quanto capi delle maggiori forze politiche), come ormai accade da marzo scorso, è tripartita, ma ora giunge a noi in una configurazione nuova. Non si tratta più di propaganda unitaria contro il nemico immaginario, che sembra quasi del tutto scomparso; non è più una quantità incalcolabile di dichiarazioni di conoscenza e preveggenza; non è più solo l’anti-scienza viscerosomatica che raggiunge la gente con impeto barbarico. Questa mediazione linguistica è, anzitutto e per lo più, una nuova lingua, un’invenzione che sembra nascere dall’incontro tra arrembanti conquistatori d’un’Italia sconosciuta e degli agguerriti, ma spaesati, rivoluzionari elfici e tolkieniani.

Luigi Di Maio è addirittura trascendentale, va oltre la nostra facoltà del conoscere. Sia chiaro: poca ironia! È pur vero che l’ottimismo non fa male, ma dire che “siamo a un passo da un boom economico” equivale ad alterare l’esame di realtà. Che cosa s’intende per boom economico? Di certo, non esiste una risposta semplice e univoca, sebbene non si possa tacere che, proprio in quegli anni Sessanta citati da Di Maio, agricoltura e industria costituirono fattori dominanti del PIL. Nello stesso tempo, si ebbero un elevato livello di esportazioni e una bassissima disoccupazione frizionale. Quest’ultimo fattore si tradusse naturalmente in una minima produzione marginale di lavoro e capitale. In parole povere: nulla di quanto è accaduto da marzo a oggi. Se poi Luigi Di Maio appartiene ad altri mondi e, come abbiamo già ipotizzato, utilizza altre lingue, beh… allora i suoi vantaggi previsionali non ci sono noti.

Qual è il rapporto tra le parole di Di Maio e il mondo? “Boom” non è altro che la riproduzione di un rumore, un fonosimbolo privo di contesto e, forse, legato a una semantica che non ci appartiene. Di conseguenza, l’aggettivo “economico” è un attributo inadeguato, impertinente, un off topic clamoroso.

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Non è difficile notare il fenomeno socio-linguistico generato da certe dichiarazioni. In pratica, ciò che, sulle prime, appare come un semplice paradosso, a un’indagine più approfondita si configura come l’esatta inversione dei significati della lingua. Di qui, l’impressione di essere in presenza d’una nuova semantica politica: tendenziosa, impropria, fraudolenta, ma nuova, come s’è già detto. La sorpresa sta non tanto nella menzogna, che è tipica di certi ambienti, quanto, diversamente, nella tecnica del capovolgimento della realtà. È appena il caso di precisare, a beneficio di malevoli detrattori, che il termine “recessione” è opportunamente seguito dal punto interrogativo, giacché l’unica circostanza verificatasi concretamente, al momento, è quella riguardante la produzione industriale, mentre, le esportazioni nette, per esempio, non sono ancora così rovinose.

Sulla sponda opposta del pianeta gialloverde, troviamo Salvini, il quale, in risposta al dato sulla produzione industriale, con impeccabile disinvoltura dice: “Noi a differenza di altri mettiamo più soldi nelle tasche dei cittadini e delle imprese per combattere questo blocco a livello mondiale”. L’espressione che ci preme sottoporre al vaglio analitico è “mettiamo più soldi nelle tasche dei cittadini e delle imprese”. Anche in questo caso l’inversione dei significati si ripete.

Prendendo come punto di riferimento l’identità contabile del reddito nazionale, cioè produzione aggregata / reddito aggregato uguale a consumi più investimenti più spesa pubblica più esportazioni nette (Y=C+I+G+NX), e facendo semplici passaggi algebrici, sappiamo che il risparmio nazionale corrisponde a Y-C-G. Il risparmio nazionale, a propria volta, è dato da risparmio pubblico (T-G) e risparmio privato (Y-T-C), dove T sta ad indicare le imposte. Ne consegue che S-I=NX, ovverosia il saldo commerciale. In buona sostanza, s’intuisce che un aumento della spesa pubblica, oltre a comportare l’arcinoto indebitamento, riduce significativamente il saggio di risparmio e, inevitabilmente, gli investimenti. In simili circostanze, lo stock di capitale diminuisce portando il paese a un ulteriore calo della produzione, l’esatto contrario delle rassicurazioni di Salvini.

Se si revoca in dubbio pure la relazione tra saggio di risparmio e spesa, allora si studino attentamente i casi della Germania e del Giappone del secondo dopoguerra, quello del Regno Unito o degli Stati Uniti, se ne rilevi il reddito pro capite, lo stock di capitale et cetera!

Per concludere diamo un’occhiata alle dichiarazioni di Conte.

“Temevo un dato negativo. Già i dati per alcuni partner europei erano stati anticipati ed era difficile che per l’Italia non vi fosse dato di segno negativo. Ma è importante averli anticipati prima e compreso che sarebbe stata questa la ragionevole evoluzione del trend economico: per questo è stato ancora più importante intervenire con quella manovra economica nel segno della crescita e sviluppo sociale”

Perché l’evoluzione del trend economico dovrebbe essere “ragionevole”. Se così fosse, cioè se la ragionevolezza fosse un’unità di misura, allora il Presidente del Consiglio dovrebbe conoscere una sorta di ‘regola aurea’ delle economie aperte, secondo cui l’aumento della spesa pubblica di un paese incide negativamente sul risparmio globale, determinando un aumento del tasso d’interesse e un conseguente aumento del costo del debito. È evidente tuttavia che la politica fiscale del Governo Conte va nella direzione opposta, cosicché bisogna chiedersi: per quale motivo, egli questa volta considera “ragionevole” quel trend economico che vede l’Italia sull’orlo della recessione? Qual è il significato dell’attributo “ragionevole”? Giuseppe Conte propone la manovra da poco approvata quale soluzione al trend in questione, cioè una manovra che riduce risparmio, investimento e produzione: in sintesi, un ‘capolavoro’ linguistico e macroeconomico ioneschiano.

Se NX<0, allora G=(G+1)n e Boom Economico=F[X(-2,6)]… Sono queste le nuove precondizioni macroeconomiche?

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