Ue e Giappone insieme contro il protezionismo, una chance per l’Italia

scritto da il 05 Marzo 2019

Pubblichiamo un post di Mario Angiolillo, direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute. Esperto di tematiche geopolitiche e di relazioni internazionali, svolge attività di advisory per diverse società con particolare riferimento agli impatti e alle opportunità offerte da Brexit

Mentre proseguono i negoziati tra USA e Cina per trovare una soluzione in grado di archiviare strutturalmente la guerra commerciale tra le due potenze, appare sempre più evidente come gli scenari del commercio globale saranno influenzati nel prossimo futuro dagli equilibri che si realizzeranno tra due tendenze: quella che spinge verso un nuovo protezionismo e quella che spinge verso un rilancio delle integrazioni commerciali attraverso lo strumento dei Free Trade Agreements (FTA).

In questo contesto è da evidenziare che dal 1 febbraio di quest’anno è entrato in vigore un nuovo FTA, l’EU-Japan Economic Partnership Agreement (EPA), ovvero l’accordo commerciale tra Unione Europea e Giappone che si propone di sviluppare ulteriormente la cooperazione, commerciale ma non solo, tra le due parti, con ripercussioni positive anche per l’Italia. Questo FTA completa e formalizza alcune importanti iniziative bilaterali riguardanti i rapporti tra UE e Giappone, quali l’EU Getaway Programme, che si propone di aiutare le aziende europee ad investire in Asia, e l’EU-Japan Centre for industrial cooperation, che promuove gli investimenti e la cooperazione commerciale ed industriale tra le parti.

Contemporaneamente all’EPA è entrato parzialmente in vigore, in via provvisoria in attesa della ratifica degli Stati Membri dell’UE, anche lo Strategic Partnership Agreement (SPA) tra UE e Giappone, accordo quadro bilaterale in oltre 40 aree di interesse comune tra cui la sicurezza, l’energia, la gestione delle catastrofi, l’istruzione, l’invecchiamento della popolazione. 
Il Giappone rappresenta oggi uno dei principali partners commerciali per l’UE, secondo partner in Asia dopo la Cina. L’Unione Europea e il Giappone, insieme, rappresentano circa un quarto del Pil mondiale.

Le esportazioni dall’Ue al Giappone ammontano a circa 90 miliardi annui e le importazioni sono pari ad oltre 80 miliardi di euro annui. In Europa sono circa 74 mila le aziende, la maggior parte PMI, che esportano verso il Giappone, e si stima che i posti di lavoro legati a queste esportazioni siano circa 600 mila. Mentre le aziende Giapponesi presenti negli Stati membri dell’UE danno lavoro a circa 550 mila persone.

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Grafico: Elaborazione Osservatorio relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute Think Thank su dati EU Commission.

Questi livelli di interrelazione sono molto elevati anche per l’Italia. Gli scambi commerciali tra Italia e Giappone sono pari ad oltre 10 miliardi annui, con oltre 6 miliardi di esportazioni italiane, rappresentando il Giappone il sesto partner commerciale dell’Italia al di fuori dell’Unione Europea. Sono quasi 15 mila le aziende italiane che esportano verso il Giappone, principalmente nel settore agroalimentare e nella meccanica, e si stima che circa 90 mila siano i posti di lavoro correlati a queste esportazioni.

 

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Fonte: Elaborazione Osservatorio relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute Think Thank su dati ICE.

Il EU-Japan EPA dispone un taglio graduale dei dazi doganali su oltre il 90 per cento di beni scambiati, per circa 1 miliardo di euro annui, a scambi attuali. Inoltre apre il mercato Giapponese alle aziende e ai prodotti europei in numerosi settori, e garantisce, per il settore alimentare, il riconoscimento dell’indicazione geografica Europea, andando così a tutelare oltre 200 prodotti. Viene inoltre definito l’impegno del Giappone ad adottare standard internazionali in molti settori, tra cui, molto importante, quello automobilistico, andando così a ridurre sostanzialmente quelle barriere non tariffarie che fino ad ora hanno reso più complesso e costoso esportare verso il Giappone. Proprio nel settore auto l’UE ha ottenuto alcune garanzie a tutela delle proprie aziende, con la possibilità di reintrodurre dazi sull’importazione di automobili giapponesi nel caso in cui il Giappone reintroducesse barriere, anche non tariffarie, sull’importazione di auto europee.

Per effetto del EU-Japan EPA, si stima un incremento delle esportazioni nel settore alimentare pari ad oltre il 50 per cento, per circa 1 miliardo di euro annui. A cui va aggiunto un incremento atteso pari ad oltre 5 miliardi di euro annui nel settore tessile ed oltre un miliardo e mezzo nella chimica.

Il EU-Japan EPA, inoltre, in quanto accordo “di nuova generazione”, così come il CETA con il Canada, seppur con differenti caratteristiche, va a regolare anche altri importanti aspetti di cooperazione, quali ad esempio i servizi, inclusi i servizi finanziari, il lavoro, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile.

Una parte importante dell’accordo è poi dedicato alla partecipazione delle aziende europee agli appalti pubblici giapponesi, da sempre considerato un mercato chiuso alle aziende straniere. 
È inoltre il primo accordo internazionale che include un chiaro impegno reciproco a combattere i cambiamenti climatici, in linea con gli accordi ambientali internazionali, compresa la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’accordo sul clima di Parigi.

L’UE ha inoltre proposto, con l’intento di favorire gli investimenti, anche l’istituzione, da realizzarsi in uno specifico accordo per la risoluzioni di eventuali dispute legate agli investimenti internazionali, del “Investment Court System” , già presente nel CETA, che va a superare il sistema  “Investor to State Dispute Settlement”, da più parti definito inadeguato. 
Un elemento positivo da considerare è anche relativo ai tempi relativamente “brevi” per conseguire questo accordo, solo 5 anni. Questo anche perché non essendo caratterizzato come accordo misto non ha necessitato della ratifica dei 27 Stati Membri dell’UE. 
I risultati attesi grazie al EU-Japan EPA sono molti e positivi, e sarà possibile valutarli nei prossimi anni, così come sarà possibile valutare i risultati del CETA.

Di certo, in un mercato globale in forte fibrillazione, l’integrazione dei mercati attraverso lo strumento dei Free Trade Agreements può rappresentare un volano di sviluppo in grado di mettere un freno ad una preoccupante tendenza di ritorno al protezionismo. In quest’ottica una seria riflessione sul funzionamento del WTO potrebbe rappresentare un ulteriore positivo stimolo verso l’integrazione tra mercati, facendo in modo che il WTO possa tornare ad essere visto da tutti come una garanzia di sistema contro gli abusi e le distorsioni nel commercio globale, e rilanciando la multilateralità al momento soppiantata dal sempre più frequente ricorso agli accordi bilaterali.

Una postilla, in questo contesto, va forse riservata al Transatlantic Trade and Investment Partnerhip (TTIP), troppo frettolosamente archiviato. Un incremento della cooperazione e dell’integrazione economica e commerciale all’interno dell’area atlantica permetterebbe in un mondo sempre più multipolare di offrire un importante elemento di stabilità.

Twitter: @DottAngiolillo