Il fallimento è sparito e le crisi vanno previste: Pmi, abbiamo un problema?

scritto da il 09 Aprile 2019

Il fallimento non esiste più; è stato abolito per legge. D’ora in poi, se si vorrà andare male, finire in concordato preventivo e approdare in tribunale si dovrà essere liquidati (lo ammetto suona un po’ come un regolamento di conti della mafia di Al Capone, ma ok).

Quello che sembra una battuta è una semplice verità. Al termine di un iter complesso ed articolato, il decreto legislativo, in attuazione della L. 155/2017, rubricato “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza” è stato definitivamente approvato, il 10 gennaio 2019.  Si tratta di un Testo Unico sulla disciplina della crisi d’impresa e d’insolvenza composto da 391 articoli, suddiviso in quattro parti, che sostituirà tutte le disposizioni contenute nel R.D. 267/1942 in materia di fallimento, concordato preventivo e liquidazione coatta amministrativa e nella L. 3/2012 in materia di composizione della crisi da sovra-indebitamento.

Sin qui le notizie positive ora iniziano quelle più, diciamo, soggettivamente positive.

Il tema è piuttosto vario e ci tornerò con ulteriori analisi. Il nuovo decreto sostituisce una legge quasi centenaria (decennio più decennio meno). Considerando quanto è rimasta attiva la legge precedente c’è da supporre che quella attuale, appena entrata in vigore, avrà una simile longevità. Con una legge così fatta c’è seriamente da riflettere. Premesso che ogni legge è perfettibile, allo stato attuale esistono vari aspetti del decreto che destano preoccupazione in vari settori dell’economia privata. Come detto vi sono differenti temi, che si possono estrapolare dal decreto, che meritano una disamina approfondita. In questa analisi mi focalizzerò sui cosiddetti indicatori della crisi. Di fatto strumenti (la cui definizione, ancora in fase di definizione, è lasciata all’ordine dei commercialisti) che possono aiutare a comprendere se vi siano rischi per l’impresa.

Sul tema si è già pronunciata la Banca d’Italia che spiega: “Con riferimento ai meccanismi di allerta (leggasi indicatori Nds), va rilevato che se l’obiettivo di favorire una tempestiva emersione e gestione della crisi risulta condivisibile, appare problematica la modalità con la quale è perseguito. La questione si pone riguardo ai procedimenti ad attivazione obbligatoria, per i quali appare rischiosa la scelta di riconnetterne l’avvio al superamento di indicatori contabili, poiché determinerebbe un eccessivo irrigidimento del processo di emersione. L’individuazione delle soglie di allarme, infatti, non è esercizio semplice. Elementi critici si riscontrano anche riguardo alla generale architettura del sistema, connotata da termini eccessivamente brevi perché possano essere assicurate proficue negoziazioni e dal coinvolgimento di un numero elevato di professionisti.”

Il tema appare complesso e la sua definizione è quanto mai sfidante. “Quello che viene richiesto dalla nuova legge è una soluzione che permetta di anticipare la crisi, una sorta di bandierine di allerta che si vanno ad attivare mano a mano che la situazione aziendale tende a peggiorare”, mi spiega  Fabrizio Masinelli, presidente di Aiti (Associazione italiana tesorieri di impresa). “E’ naturale che si debba avere un sistema di controllo su quello che succede in azienda. Tuttavia mi viene da pensare che uno stato di crisi non è sempre prevedibile. Penso, per esempio, allo scenario commerciale: se una Pmi perde un cliente maggiore (molte Pmi hanno pochi clienti in Italia, alcune sono mono cliente) il rischio di un crollo è manifesto, tuttavia la prevedibilità è molto difficoltosa”.

Se sul tema di crisi “esogena”, cioè generata da fattori esterni poco prevedibili (rischi naturali, cambiamento di commesse etc..) ci sarebbe da discutere a vita, sul tema crisi “endogena” la discussione è più semplice. Bene inteso per semplice non significa che bastano due parole e tutto è risolto. I fattori di una crisi endogena sono molteplici, tanto per citarne alcuni: la sua gestione finanziaria, gestione di flussi magazzino, UTP e NPL, costi per investimenti, etc.. Fortunatamente vi sono nuovi software che possono divenire utili strumenti per prevederla e, assunto che vi sia la volontà da parte del management, prevenirli.

Sul tema espresso da Masinelli fa eco Marco Turani, channel director di 4planning, software house che ha sviluppato una soluzione di previsione di rischi interni, basata sullo sviluppo di una pianificazione finanziaria, economica e patrimoniale con la possibilità di operare scenari di simulazione, stress test, analisi “what-if”.

“Molte aziende oggi utilizzano ancora Excel per la loro gestione. L’attuale normativa dà una generica definizione di quale strumento si debba utilizzare. Di fatto lascia una ampia interpretazione. Non viene nemmeno definito se tali strumenti siano soluzioni software, un team dedicato di professionisti oppure una soluzione ibrida dei due. Di fatto, tuttavia, un software che può aiutare l’imprenditore, o il suo Cfo, a visualizzare i potenziali rischi, è sicuramente un passo avanti rispetto al classico Excel”, mi spiega Turani.

Il rischio che la legge attuale implica, per quanto si parta da un presupposto positivo, è che, in mancanza di soluzioni e strumenti di controllo efficaci (di natura umana o informatica) molte Pmi potrebbero trovarsi a fronteggiare uno scenario di liquidazione senza sapere che si sono esposte ai cosiddetti “indicatori”.

“La legge attuale sarà una mazzata per le Pmi”, mi spiega Claudio Grossi, docente di analisi finanziaria alla Università Cattolica di Piacenza, “per moltissime ragioni. Le soglie di applicazione coinvolgeranno praticamente anche micro-imprese (con più di 10 dipendenti) che a mala pena reggono il costo degli adempimenti contabili, societari e fiscali e totalmente prive di risorse con competenze adeguate. La responsabilità in capo all’ODCEC è enorme. Esso infatti deve identificare ed emanare indici e soglie di valore che, se superate, obbligano gli organi di controllo e gli amministratori stessi ad attivare l’allerta. E deve identificarli sulla base delle migliori prassi nazionali ed europee. Traduco: un disastro. Basterebbe pensare ai danni fatti da Asset Quality Review, un sistema di indicatori del rischio di credito che, come dimostro in ogni mio convegno, sono tecnicamente assurdi e inapplicabili alla realtà italiana. La quale, per altro, contrariamente a quel che si crede, non ha affatto cultura e competenza accademica e professionale dignitose, nell’analisi di bilancio, di performance e di rischio d’impresa. Non si può pensare di risolvere questa lacuna, in particolare nelle PMI, con qualche indice. Inoltre, solo per citare ancora uno dei numerosi problemi aperti, le strutture di bilancio civilistico non sono affatto pensate per fornire i dati necessari ad un analista, ma hanno una logica di informativa ai terzi di taglio meramente contabile e giuridico. I dati per una reale analisi di rischio e performance aziendali, sui quali ha senso costruire indicatori, sono ben altri e di ben altro dettaglio, che moltissime PMI non prevedono neppure nei loro sistemi contabili e, se mai esistono, di controllo. Si pensi solo al fatto che tutto lo Stato Patrimoniale è un mero saldo contabile all’ultimo giorno dell’anno: a che serve, ad esempio, con l’analisi delle dinamiche finanziarie e dei rischi connessi? Da decenni si costruiscono indici di bilancio patrimoniali privi di senso e, ahimè, spacciati per significativi. Ora questo mondo entra in una legge, e che legge, e con che conseguenze! Una prospettiva preoccupante.”

La legge attuale è perfezionabile, tuttavia da più parti ci si domanda se la sua validità sia effettivamente adatta al settore italiano delle PMI. Il tema del software gestionale, in questo caso, appare quanto mai vitale, anche ipotizzando la presenza di un Cfo competente. Come detto molte aziende usano semplici Excel, con degli ovvi limiti quando si parla di previsionalità.

“Il software che si sceglie”, precisa Masinelli, “che dovrà sostituire il vetusto Excel, può essere di grande supporto. Possedere un software che possa prevedere le crisi interne è vitale. L’aspetto principale è l’immediatezza: in tempo reale avere un sistema integrato nell’intera gestione aziendale che possa supportare le decisioni e le analisi del Cfo, o della persona responsabile della direzione finanziaria, risulta una soluzione pratica per poter essere in compliance con l’attuale legge, quanto meno sul tema della prevedibilità. Il rischio di utilizzare Excel, con l’attuale legge, è manifesto. Facciamo un esempio semplice: usando Excel, idealmente, il manager (poniamo il Cfo, ma non sempre questa figura è disponibile in una Pmi) dovrà aggiornare il suo foglio di calcolo. Un operazione che si dovrebbe fare ogni mese ma che, in vero, è improbabile venga svolta sempre con tempi precisi”.

“Avere una soluzione predittiva che sostituisce Excel appare quasi obbligatorio, stante la nuova legge in materia”, conviene Turani. “Un software predittivo permette di ovviare alle possibili lacune di un manager finanziario, che potrebbe aggiornare un foglio Excel in modo discontinuo. In più aggiungo che Excel è una soluzione reattiva. Per spiegarla in modo semplice: se vi sono delle criticità, o indicatori di pericolo come menzionati dalla legge vigente, Excel non farà nulla. Un software predittivo integrato nell’intero processo e nella gestione finanziaria, invece, sarà personalizzabile dal suo utilizzatore (sia esso un Cfo o un amministrativo) per attivarsi e segnalare i rischi in tempo utile, con anticipo di mesi, in modo da poter evitare una crisi interna. Ricordiamo che il decreto parla di soluzione per prevenire una crisi (quindi agire in tempi utili) non segnalarli. Il che implica tempi adatti per agire sul potenziale rischio (vedi schema qui sotto)”.

foto-turaniFonte 4 planning

Ora esiste tuttavia una sorta di “scappatoia” che permette, entro certi limiti, libertà di scelta di indici di crisi.

“Esiste una via di fuga”, continua Grossi, “al comma 3 Articolo 13. Bene inteso non si parla di un metodo per evitare questa legge o fare i furbetti. Il comma fa riferimento ad una soluzione personalizzata che ogni azienda può affrontare. Il comma in questione dice che, semplificando, ogni azienda può costruire un proprio sistema di indici capace di misurare i due principali tipi di crisi che la legge chiede di saper prevenire: la sostenibilità dei debiti per i sei mesi successivi e le prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso”.

“Gli indici ovviamente dovranno essere asseverati da un professionista indipendente. Esiste tuttavia un rischio: se gli indici asseverati sono troppo blandi e lontani dalle famose (e pericolose) migliori prassi nazionali e internazionali, e l’azienda fallisce a causa di essi, il professionista dovrà rendere conto. Se per il primo tipo di crisi da misurare, l’unica soluzione è un sistema serio di previsione dei flussi di cassa a sei mesi, per il secondo si sta parlando di un robusto sistema di rating, cioè di previsione di probabilità di default a un anno. A tale proposito, è bene ricordare che un rating non è un sistema di indici con un punteggio in base a delle soglie.  Nessuno può farsene uno da solo, se poi non lo può testare su un campione ampio e profondo (per molti anni), al fine di calcolare la probabilità statistica di averci azzeccato”, conclude Grossi.

Sicuramente il comma menzionato è una grande opportunità per le aziende. Il mondo delle PMI italiano è molto vario, per natura, prodotti, cassa e gestione finanziaria, che variano da regione a regione. Non stiamo parlando di differenze nell’interpretazione della legge. Mi riferisco a peculiarità legate, per esempio, ai tempi di pagamento (generalmente una pena in tutta Italia ma con picchi legati ai pagamenti da parte della PA o delle grandi aziende, che possono fare la differenza tra vita e morte per una PMI), o a differenti disponibilità della Pmi di scontare o meno le fatture. Una soluzione di “personalizzazione” degli indici appare sicuramente positiva ma altamente rischiosa se non si possiedono i software adatti e le persone che sanno utilizzarli.

“E’ sicuramente rilevante l’esistenza di questo comma. Credo che il legislatore abbia compreso il rischio di una legge troppo rigida, e degli indici imposti dall’alto. Di qui la sua soluzione di dare spazio a indici acquisiti da fonti non italiane oppure creati in casa”, continua Turani, “resta tuttavia che la mancanza di un software adatto potrebbe peggiorare sensibilmente questo scenario di fai da te. Ricordando il tema della prevedibilità uniamolo a una serie di indici creati internamente ad una azienda. Un software che può prevedere una crisi interna può dimostrare, entro certi limiti, se gli indici sono corretti. Di fatto andando a prevedere alcune lacune, usando gli indici, potrà rilevare se si rischia di sfondare qualche indicatore. Al contrario usando Excel, che è inerte e deve essere compilato manualmente, si rischia di non cogliere il rischio finché non è troppo tardi per porre rimedio a una crisi. Semplificando molto è come guidare nella nebbia vicino a un precipizio. Una macchina dotata di sensori esterni di prossimità, se opportunamente modificata, potrà rilevare il rischio. Un’auto comune invece potrà basare la sua salvezza solo sul buon senso del guidatore. Ma nella nebbia con una visibilità scarsa il rischio di sbagliare una manovra può fare la differenza tra la vita e la morte”, conclude Turani.

Ora per quanto questa analisi sia solo la prima di una piccola serie, già considerando il tema “indici” si comprendono alcuni aspetti vitali per adattarsi alla nuova normativa. Prima di tutto è fondamentale dotarsi di software che possano aiutare meglio il Cfo o chi ne fa le veci. Excel è un software nato 30 anni fa, e per quanto sia ampiamente diffuso nelle Pmi, appare ormai inadatto per poter aiutare a prevenire le crisi. Secondo tema, le Pmi dovranno investire in formazione per i propri responsabili finanziari e comprendere che l’attuale normativa richiede una preparazione mirata per evitare rischi.

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