Certificates bancari, rischi e opportunità nelle borse sull’ottovolante

scritto da il 14 Aprile 2020

L’autore di questo post è Marco Gallone, managing director di Kuspide Investments SCF

I certificates bancari sono presenti in molti portafogli titoli. Percepiti e spesso proposti, fino all’«era ante-Covid19», come strumenti sostanzialmente privi di rischio, vanno adesso considerati a “rischio pieno”. Perché e come valutarli?

Ci riferiamo alla forma più diffusa, cioè ai certificates a capitale condizionatamente protetto. Sono collegati all’andamento di un titolo o paniere di titoli sottostanti, per questo offrono flussi cedolari a cadenza infrannuale (anche 1 mese) molto maggiori di quelli offerti dalle normali obbligazioni.

La loro durata è in genere compresa tra i 3 e i 5 anni. Sono quotati sul mercato ufficiale ma non sono strumenti molto “liquidi” e, comunque la loro quotazione segue sostanzialmente quello dei sottostanti. Per tali motivi, non sono normalmente proposti per essere rivenduti prima della scadenza.

In questo quadro, se  nel corso della durata del certificate  il prezzo del sottostante supera al rialzo una determinata soglia (ad esempio, +30% rispetto al prezzo rilevato alla data dell’emissione), il capitale sarà interamente rimborsato ma anticipatamente, prima cioè della naturale scadenza, senza però beneficiare del rialzo del sottostante. In tal caso, evidentemente, l’unico inconveniente per il sottoscrittore è che si vedrà rimborsato il capitale prima della scadenza, a volte dopo appena pochi mesi dall’emissione.

Se, al contrario, alla data di scadenza del certificate, il prezzo del sottostante fosse sceso al disotto di un determinato livello, il rimborso del capitale non sarà pari al capitale versato ma subirà una decurtazione proporzionale alla diminuzione di prezzo subita dal sottostante, rispetto al valore di riferimento alla data di emissione.

A tal proposito, si consideri che le “barriere al ribasso” erano in genere fissate a livelli inferiori al 50% e oltre delle quotazioni correnti al momento dell’emissione dei certificates, per questo motivo, la protezione offerta dai certificates era considerata tale da rendere trascurabile e puramente teorico il loro rischio.

Il violentissimo sell-off che si è abbattuto sui mercati ha però provocato un repentino avvicinamento delle barriere al ribasso, considerate realisticamente irraggiungibili fino a poco tempo fa e, in non pochi casi, ha determinato la loro violazione. Che fare, dunque, in queste condizioni?

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La prima cosa da verificare è la qualità dei titoli sottostanti, il che vuol dire sostanzialmente: la solidità delle società cui detti titoli si riferiscono, quanto le mutate condizioni esterne possano incidere sulla lor redditività e, quindi, se il brusco calo delle quotazioni sia o no giustificabile. Di norma, si tratta di società di primario standing, questa è la ragione per la quale tali strumenti – in passato e in condizioni normali di mercato – hanno rappresentato per le banche emittenti uno straordinario mezzo di raccolta di fondi senza abbandonare le loro posizioni sui titoli sottostanti e a costo praticamente nullo (dal momento che le cedole da pagare ai sottoscrittori tendevano a corrispondere ai dividendi generati dai sottostanti). Per i sottoscrittori, hanno rappresentato un investimento estremamente conveniente, di cui però non di rado si è abusato, per i motivi sopra detti, andandolo ad assimilare, in casi-limite, addirittura a una forma di impiego temporaneo della liquidità.

La seconda cosa da verificare è la scadenza dei certificates e questo aspetto, nella fase attuale di mercati finanziari sull’ottovolante, diventa cruciale. A questi fini, se la scadenza è lontana, diciamo dai 12 mesi in su, possiamo continuare a rimanere relativamente tranquilli, tenendo ben presenti le considerazioni di cui sopra. Se invece la scadenza fosse inferiore ai 12 mesi, sarà allora opportuno inserire un alert e monitorare l’andamento del sottostante. Come?

Nei seguenti termini: se, in prossimità della scadenza il sottostante non fosse risalito oltre la soglia di ribasso al di sotto della quale scatta la decurtazione del capitale oggetto di rimborso, potremo valutare l’opportunità di acquistare il sottostante per beneficiare in tal modo del possibile recupero delle quotazioni e compensare così, la perdita sul certificate, altrimenti irrecuperabile. Naturalmente, occorrerà ponderare con molta attenzione l’acquisto del sottostante per non sommare rischio al rischio e, in ogni caso, non acquistarlo con troppo anticipo rispetto alla scadenza perché la quotazione potrebbe risalire oltre la soglia, rendendo di fatto inutile la manovra di copertura.

Finora, abbiamo fatto riferimento, ai certificates già presenti nei portafogli titoli dei risparmiatori.
Ma che dire rispetto ai certificates che, proprio in questi giorni, le banche sono tornate a proporre ai loro clienti? Il crollo generalizzato dei mercati finanziari, con abbattimenti delle quotazioni di molti titoli anche superiori al 50/60%, potrebbe indurre a ritenere che adesso non si correrà più il rischio di veder violate le barriere al ribasso? E che, quindi, passato lo tsunami finanziario sarebbe il momento giusto per approfittarne?

Dipende. Dipende, ovviamente, dal fatto che lo tsunami sia definitivamente passato e che le quotazioni abbiano raggiunto il fondo, il che non possiamo purtroppo affermarlo, e dipende anche dal livello che avranno le quotazioni dei sottostanti al momento dell’emissione dei certificates. In mercati che oscillano così violentemente da un giorno all’altro, ci si potrebbe ritrovare con sottostanti che, all’atto dell’emissione del certificate collegato, ha recuperato un 20/30% dal minimo raggiunto nelle settimane scorse e, quindi ancora una volta, con un rischio che le barriere al ribasso siano travolte da non sottovalutare nemmeno stavolta.

Per tirare, pertanto, le conclusioni, i certificates bancari sono strumenti finanziari certamente interessanti perché offrono rendimenti fissi più elevati di quelli dei normali titoli obbligazionari e forniscono nel contempo un’ampia protezione del capitale investito. Non devono tuttavia essere considerati strumenti a rischio zero – alla stregua dei pronti contro termine che si facevano un tempo – e, anche per essi, vale la regola della diversificazione: se s’intendono inserire nel proprio portafoglio, dopo averli attentamente selezionati in ordine allo standing dell’emittente e dei titoli sottostanti, va individuata una percentuale del proprio patrimonio finanziario da destinare ad essi, in funzione dei noti parametri in base ai quali si costruisce una corretta asset allocation.

Twitter @MarcoGallone_