Ripetete con me: il surplus commerciale tedesco non è il problema

scritto da il 07 Marzo 2017

“Nulla può essere più assurdo di tutta questa teoria sulla bilancia commerciale […] Quando due nazioni commerciano l’una con l’altra, questa insensata teoria presuppone che, se la bilancia è pari, nessuna delle due “perda” o “guadagni”, ma se la bilancia è a favore di una delle due, una nazione tende a rimetterci e l’altra a profittare, in proporzione alla grandezza dell’avanzo di quest’ultima” (Adam Smith, 1776. “Indagine sulla Natura e sulle Cause della Ricchezza delle Nazioni”, Libro IV, Capitolo 3, Parte II).

Con queste parole, 241 anni fa, il padre nobile dell’economia moderna, Adam Smith, criticava i mercantilisti del suo tempo, i quali, erroneamente, credevano che la potenza di uno stato fosse accresciuta dalla prevalenza delle esportazioni, rispetto alle importazioni. In altre parole, secondo questi pensatori, la ricchezza delle nazioni dipendeva, in primis, dal loro surplus commerciale: più export = maggiore arricchimento per lo stato.

Nonostante siano passati quasi due secoli e mezzo dalla pubblicazione della “Ricchezza delle Nazioni” e nonostante la teoria economica si esprima oggi in modo molto chiaro sul tema, queste pessime dottrine mercantiliste sono definitivamente tornate in voga con un obiettivo ben preciso: incolpare, sempre e comunque, la Germania del suo “grande” surplus commerciale.

Inutile ribadire, per l’ennesima volta, che questa continua colpevolizzazione nei confronti della Germania è totalmente sbagliata. Contrariamente a quanto viene spesso riportato dai media nostrani, il surplus commerciale tedesco non è il vero problema per l’Italia e non genera squilibri né all’interno della zona Euro né a livello mondiale.

Infatti, come potrebbe un surplus delle partite correnti di soli 257 miliardi di euro generare squilibri all’interno di un’economia, quella della moneta unica, di oltre 11 trilioni di Euro e all’interno di un’economia globale di oltre 70 trilioni di euro?

In altre parole, è corretto considerare un avanzo commerciale, pari al 2,33% dell’intera zona euro ed equivalente allo 0,36% del PIL mondiale, la principale causa di squilibri commerciali globali?

La risposta è no!

Innanzitutto bisogna ricordare al lettore che gli argomenti dei mercantilisti nostrani dimenticano che la maggior parte del surplus tedesco provenga principalmente dal commercio extra-Unione Europea e che l’avanzo con i paesi dell’Euro-Zona sia diventato trascurabile, a tal punto che anche il classico argomento riguardante i tassi di cambio è finito per annullarsi. Dati della Bundesbank (la Banca Centrale della Repubblica Federale di Germania) mostrano molto chiaramente come nel 2015, il surplus tedesco nei confronti delle altre nazioni aderenti alla moneta unica fosse di 61,5 miliardi di euro, su un totale di oltre 252 miliardi.

Nel luglio 2015, Ben Bernanke, ex Presidente della Federal Reserve e neo-mercantilista dell’ultima ora, ha dovuto ammettere, in uno scambio di opinioni con Raoul Ruparel, attuale consulente speciale al dipartimento per l’uscita dall’Unione Europea del governo britannico, che la Germania ha principalmente un surplus commerciale con il resto del mondo e non verso l’Euro-Zona.

Nonostante ciò, Bernanke, ha però continuato a sostenere che il surplus tedesco rimane pur sempre un problema poiché tende a rafforzare il valore della moneta unica e non permette agli altri paesi dell’Euro-Zona di esportare verso paesi terzi.

Questi banali errori, tipici di un qualsiasi politico mercantilista italiano, ci permettono di evidenziare meglio come le critiche contro la Germania siano a tutti gli effetti prive di qualsiasi fondamento.

Per prima cosa è giusto osservare che nel corso di questo ultimo anno il tasso di cambio tra Euro e Dollaro è rimasto, in media, attorno all’1,10. Negli ultimi tre mesi l’Euro si è ulteriormente indebolito, avvicinandosi alla parità con il dollaro e nel momento di stesura di questo articolo (martedì 6 marzo), 1 Euro viene scambiato per 1,0573 Dollari. Dal 15 Luglio 2008, quasi 9 anni fa, l’Euro ha perso oltre il 30% nei confronti del biglietto verde americano (vedi grafico 1).

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Grafico 1: Tasso di Cambio Euro – Dollaro. Serie da 1 gennaio 1999 a 6 marzo 2017

Un livello così debole, infatti, non lo si vedeva dal 2003, quando l’allora capo del governo Berlusconi, chiamava Martin Schulz “Kapò” e la Germania, guidata da Gerhard Schröder, lanciava la sua grande agenda di riforme del welfare e del lavoro. In quel periodo il tasso di disoccupazione italiano era in forte calo (così come il debito pubblico) ed il famoso spread tra Buoni del Tesoro e Bund Tedeschi era praticamente inesistente.

Di conseguenza possiamo tranquillamente affermare che è completamente sbagliato valutare la forza o la debolezza di una valuta complessa come l’Euro prendendo in considerazione esclusivamente i dati della bilancia commerciale tedesca.

In secondo luogo è giusto sottolineare come la compressione salariare tedesca sia realmente avvenuta solo tra il 2003 ed il 2007, a seguito delle riforme del governo Schröder e come questa “moderazione” non sia stata il risultato di una cospirazione teutonica nei confronti dell’Italia e degli altri paesi appartenenti alla zona Euro.

Come ben noto, negli anni immediatamente precedenti e successivi all’introduzione della moneta unica (1999), la Germania era spesso additata da molti come il “grande malato d’Europa”. Infatti, nonostante l’Euro, la Germania continuò ad avere forti problemi di disoccupazione fino al biennio 2004/2005, quando il numero di disoccupati raggiunse l’11,5%, quasi 4 punti percentuali superiore a quello italiano, che nel 2007 raggiunse addirittura un tasso minimo del 6,1%.

Come riportano Dustmann et al. (2014), le riforme Hartz hanno certamente giocato un ruolo importante nel curare alcuni problemi dell’economia tedesca. Un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione, per quanto riguarda il mercato del lavoro, è anche il lungo processo di decentramento nella determinazione del livello salariale iniziato a metà degli anni ’90.

E’ quindi soprattutto grazie a questi cambiamenti che a partire dal 2005 il tasso di disoccupazione tedesco è calato e oggi la Germania viene considerata da molti uno degli esempi economici più virtuosi a livello europeo e mondiale.

Oltre a questo, come riportano dati pubblicati dal Financial Times, dal 2007 al 2015 la Germania ha riportato un tasso di crescita annuale dei salari reali pari all’1,1%, una crescita di poco superiore a quella fatta registrare dalla Francia. Ciò significa che, contrariamente alla vulgata corrente, nell’arco di quest’ultimo decennio i salari tedeschi sono cresciuti in modo rapido e costante.

Inoltre, è importante ricordare anche che a partire dal 1° gennaio 2015 il governo tedesco ha introdotto un salario minimo di 8,50 euro all’ora. Dall’inizio del 2017 questo salario minimo è salito a 8,84 Euro. In termini nominali si tratta dell’equivalente di circa 21 mila euro annui, ovvero 1.750 euro lordi al mese. In termini di parità di potere d’acquisto la somma risulta essere addirittura superiore. Insomma, stiamo parlando di uno dei salari minimi più generosi al mondo.

Per finire, è poi giusto ricordare come il surplus commerciale tedesco non stia rubando né fette di mercato, né punti di prodotto interno lordo all’Italia.

Il recente indebolimento dell’Euro ha portato più benefici a noi che ai tedeschi, i quali, tra l’altro, si sono spesso opposti alle attuali politiche monetarie ultra espansive della BCE.

Non a caso, nel 2016 il nostro paese ha fatto registrare un avanzo commerciale record (il terzo più grande a livello comunitario, dietro solo a Germania e Paesi Bassi), pari a 51,566 miliardi di euro. Come Adam Smith ci spiegava nel lontano 1776, una maggiore esportazione però non è sinonimo di crescita economia più elevata e la crescita economica italiana degli ultimi due/tre anni lo conferma. Anche le ultime recenti stime di crescita della Commissione Europea per il 2016, 2017 e 2018 mettono in evidenza che (nonostante le recenti ottime performance in termini di bilancia commerciale) la nostra economia sta crescendo e continuerà a crescere meno di tutte le altre nei prossimi anni. Anche la Grecia, a partire da quest’anno, dovrebbe tornare nuovamente a crescere più di noi.

Inoltre, le serie storiche della Banca Mondiale non lasciano alcun dubbio. Degli 11 paesi membri che hanno aderito alla moneta unica a partire dal 1 gennaio 1999, siamo il paese il cui PIL è cresciuto di meno, addirittura con un tasso di crescita medio pari alla metà di quello del Portogallo. Interessante notare come dal 1999 al 2015 anche Spagna ed Irlanda (paesi dove la doppia crisi economia del 2008-2011 ha colpito molto duramente) abbiano fatto registrare un tasso di crescita annuale medio superiore a quello della “perfida” Germania (vedi grafico 2). A ulteriore conferma, l’Italia, scrive l’Ocse nel suo ultimo rapporto, resta in coda al G7 per la crescita, anche se quest’anno sarà un po’ più robusta di quanto previsto qualche mese fa. Nell’Interim Economic Outlook, l’Ocse stima un aumento del Pil dell’1% sia per il 2017, sia per il 2018 ed indica all’1% anche il dato di chiusura del 2016.

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Grafico 2: Crescita del Prodotto Interno Lordo negli 11 stati membri aderenti alla zona euro a partire dal 1 Gennaio 1999. Serie da 1999 a 2015

Dopo troppi anni, è forse giunto il momento di smetterla di colpevolizzare i tedeschi per i nostri errori ed iniziare a lavare, una volta per tutte, i panni sporchi in famiglia.

Come scriveva lo storico e politico latino Gaio Sallustio Crispo: “Faber est suae quisque fortunae”, ovvero “Ciascuno è artefice della propria sorte”.

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