Caro Calenda, lo spesometro è un rebus e io sogno uno Stato che chieda “è permesso?”

scritto da il 04 Ottobre 2017

Complice il caos creato dallo spesometro è da qualche giorno che ho in mente di scrivere questo articolo ma alla consueta mancanza di tempo si è aggiunto un certo imbarazzo su modi ed approccio.

Sono un dottore commercialista e questi in studio sono giorni di grande lavoro. Stiamo seguendo progetti interessanti. In Lombardia, a Milano soprattutto, qualcosa si muove, le imprese cercano di agganciare la ripresa internazionale, cavalcare l’innovazione, cercano di diventare più grandi e l’M&A è ripartito anche tra le realtà di minori dimensioni. C’è voglia di fare, forse dettata dalla paura della crisi, ma la voglia di fare è sempre preziosa, non disperdiamola.

Noi stessi ci siamo messi a studiare partecipando ad un progetto di ricerca in Bocconi per crescere anche dimensionalmente, evolvere come studio e riuscire a supportare al meglio questi imprenditori che, nonostante le mille difficoltà, hanno ritrovato dinamismo.

Un bel periodo, entusiasmante persino, in una continua sfida tra innovazioni e carenze di cultura imprenditoriale da colmare. Studiamo noi, studiano gli imprenditori nostri clienti. Insieme.

Purtroppo tutto è rallentato e reso faticoso dall’inefficienza della burocrazia e da scelte politiche sbagliate. Quella stessa burocrazia che invece avrebbe la straordinaria opportunità di stimolare tutti noi all’innovazione.

Questa non vuole essere una lettera triste sull’inadeguatezza della ADE, della Sogei e di una infinità di adempimenti e dichiarazioni/comunicazioni/altro-che-è-meglio-non-dire, che altro non sono che una foglia di fico nella trattativa con la UE per riuscire a fare più debito. Già si è scritto molto.

La protesta per lo spesometro sembra aver prodotto solo l’ennesima proroga mentre la battaglia da fare era ed è sulla privacy e sui diritti dei cittadini. Tutto era sbagliato fin dall’inizio, i processi vanno ridisegnati da capo sfruttando la fattura elettronica e le moderne tecnologie, non facendo le cose come si sarebbe fatto negli anni 80 solo utilizzando un po’ di informatica buttata lì a casaccio. È la fattura il documento da acquisire, che senso ha oggi ragionare ancora per elenchi, per intermediari, ecc.

Non sono riuscito a sfuggire alla tentazione della lamentela, ma proprio perché questa vuole essere una lettera di proposta il destinatario è il ministro per lo Sviluppo (in qualità di membro del Governo) e non il ministro dell’Economia. Proviamo noi professionisti, per primi, a cambiare atteggiamento, proviamo anche ad avere il coraggio di cambiare interlocutore.

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Soprattutto la tranquillizzo, caro ministro, non chiedo soldi, non chiedo incentivi, non chiedo riduzione di imposta. Non chiedo nemmeno riserve o equo compenso.

Ha ottenuto i fondi dal Governo per importanti agevolazioni. Si batta con noi per uno Stato differente.

Riconosco a Lei ed a molti del suo Ministero di aver provato a cambiare marcia: startup, Pmi innovative, super e iper ammortamento, Industria e poi impresa 4.0. Da vecchio liberale non tutto mi trova d’accordo, qualche pasticcio sul codice civile lo avete fatto, ma certamente c’è un progetto. Di questo va dato atto a Lei e a molti giovani di talento che hanno lavorato in passato e che stanno lavorando ancora oggi al MISE.

Proprio seguendo l’evoluzione da Industria 4.0 a Impresa 4.0, – con la nuova ed importante attenzione posta su formazione e cultura aziendale – le chiedo perché, come Governo, non pensare anche a noi professionisti come ad uno straordinario strumento di politica economica a sostegno delle imprese, capaci di diventare attori del cambiamento.

Perché non provare? Non le costa nulla, ci pensiamo noi a rimboccarci le maniche, a fare le cose difficili come già tutti i giorni fanno i nostri clienti. Lo sappiamo che c’è molto da fare, che dobbiamo crescere e diventare anche noi più competitivi, ma non possiamo pensare che l’Italia sia sempre e solo Nottingham. Semplicemente lasciateci essere utili al Paese, non coinvolgeteci in adempimenti inutili e farraginosi.

Imprese e professionisti hanno grandi sfide da affrontare e devono affrontarle insieme senza che tutto il budget consulenziale delle Pmi sia ingoiato da adempimenti inutili.

Le nostre sfide sono le stesse che sta cercando di vincere lei:

crescita dimensionale;

internazionalizzazione;

passaggio generazionale;

innovazione (startup, Pmi innovative, restartup, open innovation, Industry 4.0, ecc);

nuovi modelli di business e nuova cultura imprenditoriale.

Dobbiamo correre, c’è poco tempo. Semplicemente abbiamo bisogno di avere uno Stato che prima di intervenire in economia chieda: “È permesso?”.

Twitter @commercialista