L’era delle startup è finita? Non lo so, ma nel dubbio tocca alle PMI diventare dinamiche

scritto da il 29 Ottobre 2017

Il tema delle startup è un tema su cui è urgente interrogarsi e con cui è necessario confrontarsi anche per chi opera in settori più tradizionali perché l’innovazione non può più e non deve restare confinata solo in determinati ambiti.

Il mondo delle imprese in Italia (come quello delle professioni in realtà) è soggetto ad importanti cambiamenti e sta affrontando più o meno consapevolmente sfide importanti. La consapevolezza in particolare è un tema culturale chiave su cui occorrerà ritornare.

Ho letto con interesse un recente articolo di Emil Abirascid su Startup Business a cui ho parzialmente rubato il titolo: “L’era delle startup è finita”.

L’autore sviluppa alcune considerazioni intorno ad un concetto forte:

“È finita l’era delle startup, almeno se consideriamo la definizione più classica di startup: azienda digitale che vuole diventare una global company e valere miliardi di euro, dollari o bitcoin. Abbiamo sempre detto, e ribadiamo, che le startup non sono solo quelle ‘pure digital’ ma anche quelle che sviluppano innovazione, che creano nuove tecnologie, che usano al meglio le tecnologie esistenti per innovare i modelli di business in molti altri settori, e soprattutto abbiamo sempre detto, e confermiamo, che le startup sono innovative non solo perché fanno cose nuove ma anche e soprattutto perché fanno cose in modo nuovo applicando nuovi paradigmi e una nuova filosofia della imprenditorialità.

Detto questo però siamo di fronte a un fenomeno che inizia ad avere tratti piuttosto definiti: i giganti della tecnologia si mangiano le startup, o meglio si mangiano le opportunità per le startup di svilupparsi e crescere.“

Sempre sul tema vi suggerisco “Le ottomila startup, gli investimenti di venture capital e il nanismo dell’ecosistema”. Un articolo di Luca Tremolada che pur occupandosi di startup lancia una critica interessante al mondo delle PMI:

Il rischio è quello di avere startup zombie, che sopravvivono magari oltre i tre anni e poi diventano Pmi piccole piccole. Si accontentano del loro business e non crescono più. Come accade al tessuto della piccola impresa italiana. Da sempre accusato di nanismo. Per una azienda innovativa, questa nanismo potrebbe costare a tutto l’ecosistema moltissimo.”

La dottrina inoltre fa sempre più notare che quelle che chiamiamo startup in realtà in molti casi altro non sono che PMI o più probabilmente micro imprese.

Giocando un po’ con la parafrasi, entrambi gli articoli citati nell’evidenziare alcune criticità del sistema startup in realtà ci aiutano a delineare un nuovo tipo di PMI (che mi piace definire “PMI dinamiche” per evitare di rientrare nella definizione normativa più restrittiva di PMI innovative) che sviluppano innovazione, che creano nuove tecnologie, che soprattutto usano al meglio le tecnologie esistenti per innovare i modelli di business in molti altri settori, innovative non solo perché fanno cose nuove ma anche e soprattutto perché fanno cose in modo nuovo applicando nuovi paradigmi e una nuova filosofia della imprenditorialità. PMI che non si accontentano del loro business e non crescono più ma che accettano la sfida dimensionale e la vincono.

Sfida dimensionale che non significa smettere di essere PMI ma che è necessario ridefinire i limiti dimensionali minimi per poter competere sul mercato, affrontare con maggiore consapevolezza le sfide che il mercato pone e probabilmente anche rapportarsi in maniera differente con i propri consulenti che si troveranno anche loro a dover innovare. Accelerando per crescere insieme.

Quali sono le caratteristiche di queste PMI dinamiche? Non molto dissimili in parte da quelle delle startup:

1 – Velocità per competere;

2 – Apertura a nuovi soci ed investitori;

3 – Curiosità a cui si accompagnano importanti competenze interne ed un forte bisogno formativo;

4 – La necessità di mettere in discussione frequentemente il business model;

5 – La partnership con università e centri di ricerca;

6 – Una maggiore propensione ad ricorrere a consulenti che saranno a loro volta costretti ad esplicitare chiaramente e a misurare il loro apporto di valore.

7 – Innovazione di prodotto o di processo (open innovation, Industry 4.0, ecc);

8 – Il tema della crescita dimensionale interna o esterna diventando attori attivi o passivi di M&A.

Sono PMI che già esistono (con imprenditori coraggiosi e bravissimi) più sfidanti per chi ci collabora ma sono quelle che sopravviveranno e cresceranno. Sono PMI mutanti che si trovano a rubare qualche strumento dalla cassetta degli attrezzi delle startup reinterpretandolo con la forza della loro concretezza e tradizione.

Gli strumenti normativi ed agevolativi in parte già ci sono (la normativa sulle PMI innovative è certamente di vantaggio).

Vanno meglio sfruttati e sicuramente è necessario che tutti gli attori del sistema imprese (imprenditori, investitori, consulenti, istituti di credito, legislatore, ecc) crescano culturalmente ascoltandosi di più.

E sia mai che proprio puntando su queste PMI più coraggiose finalmente si creerà un mercato più ampio anche per le nostre startup legato all’open innovation ed ai prodotti b2b.

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