Un’agenda delle riforme per il nuovo governo? Eccola (ma parliamone)

scritto da il 20 Marzo 2018

L’espressione anglosassone “Agenda-setting power” indica la capacità di un soggetto di determinare l’ordine del giorno, e cioè di identificare i temi al centro della riflessione comune, sia politica che economica. Credo che  M5S e Lega abbiano vinto le elezioni anche perché sono riusciti ad imporre la loro agenda: lotta ai privilegi dei politici, all’immigrazione, all’Europa “dei banchieri”, introduzione del reddito di cittadinanza, meno tasse e più semplici (flat tax), abolizione della legge Fornero.

È certamente utile che gli economisti (quelli che professionalmente si occupano di ricerca economica, intendo) intervengano nel dibattito pubblico per discutere i pro e i contro delle proposte in campo, le coperture finanziarie, gli incentivi che queste proposte generano. È forse ancora  più utile che essi ricordino a tutti che i problemi del paese hanno radici molto più profonde. Si chiamano corruzione diffusa, meritocrazia negata e familismo, criminalità organizzata e assenza dello Stato in ampie aree del paese, difesa di privilegi corporativi e scarsa concorrenza, bassa istruzione e scolarizzazione, scarsa innovazione, ricerca scientifica e dunque bassa crescita della produttività, emarginazione delle donne dal mondo del lavoro, invecchiamento della popolazione, burocrazia oppressiva, giustizia lenta e bizantina, istituzioni politiche obsolete e dunque clientelismo, debito, spesa e imposte opprimenti (ma anche evasione record). Disoccupazione, stagnazione e disuguaglianza sono i frutti avvelenati di questi problemi. Per non averli risolti negli ultimi venti anni stiamo perdendo la sfida della tecnologia e della globalizzazione.

Purtroppo dall’Agenda politica sembrano oggi scomparse le “riforme”, intese come quelle modifiche del quadro legislativo che incidono sulle “cause” e non solo sui sintomi dei problemi. Eppure sarebbe possibile fare subito riforme a basso costo e alto rendimento.

Un recentissimo lavoro di Michal Andrle, Alvar Kangur, and Mehdi Raissi del Fondo Monetario cerca di misurare i benefici ed i costi della principali riforme strutturali di cui il nostro paese necessiterebbe per avvicinare le proprie istituzioni economiche al quelle degli altri paesi europei. Il pacchetto di misure ipotizzate è realistico e politicamente “fattibile”. Si considera un aggiustamento fiscale di 2 punti di PIL per 4 anni, ottenuto con una riduzione del cuneo fiscale, una riduzione delle aliquote agevolate IVA, una imposta sulla prima casa, una riduzione dei consumi pubblici e un aumento degli investimenti pubblici; una riforma della contrattazione salariale che ripristini il legame con la produttività (si veda il mio lavoro con Thomas Manfredi); politiche attive del mercato del lavoro (centri del lavoro, asili nido, misure contro la povertà); riforme che aumentino la concorrenza nel commercio, professioni e trasporti; riforme nella pubblica amministrazione e nel sistema delle banche (facilitando la soluzione dei crediti non esigibili).

Lo studio stima che l’intero pacchetto di riforme potrebbe complessivamente far aumentare il PIL tra i 6 ed i 13 punti percentuali. Il grafico sotto mostra la dinamica del PIL in conseguenza delle singole misure: gli effetti si sommano, ad esempio passando dalla linea continua rossa (misure fiscali) a quella rossa tratteggiata (misure fiscali + contrattazione salariale) e così via.

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Nei primi due anni si avrebbe un piccolo impatto negativo (circa -1%) solo per le misure di bilancio, mentre il pacchetto di riforme e individualmente ciascuna delle altre riforme, in particolare quella della contrattazione salariale, darebbe frutti immediati. Questo studio non tiene conto dei “costi politici” delle riforme, che possono complicare le cose non poco  come mostra la recente esperienza dei paesi del Sud Europa.

La buona notizia è che questi costi sono significativi quando l’economia si trova in fase di recessione, perché il consolidamento fiscale può aggravare la recessione e le flessibilità del mercato del lavoro può fare aumentare i licenziamenti. Ma oggi il nostro paese cresce a tassi discreti e ha dunque una finestra di opportunità che non dovremmo sprecare. Per farlo dovremmo cambiare l’Agenda: la cattiva notizia è che non sarà facile.

Twitter @pmanasse