Italia e Francia divise anche sulla Libia, ecco qual è la posta in gioco

scritto da il 11 Ottobre 2018

È con crescente preoccupazione che si assiste al deterioramento della situazione in Libia, causata dalla lotta per la rappresentanza unitaria del Paese, il controllo delle risorse energetiche nonché dei fondi della Banca centrale e della Libyan Investment Authority, tra i sostenitori del governo ufficiale di Tripoli presieduto da Fayez Sarraj e le fazioni della Cirenaica riconducibili a Khalifa Haftar, capo del governo di Tobruk.

La frammentazione interna risale all’indomani del rovesciamento del regime di Gheddafi tra coloro che ne avevano favorito la caduta, inizialmente riuniti nel Consiglio Nazionale di Transizione, per poi dividersi politicamente arrivando a scontrarsi militarmente, rendendo la Libia di fatto uno stato fallito, teatro di un conflitto tra milizie non impermeabili al fondamentalismo islamico, in cui il sistema giudiziario tollera uccisioni, torture e arresti arbitrari e dove, più in generale, lo stato di diritto e la tutela dei diritti umani sono inesistenti.

Questo quadro a tinte fosche, a poche centinaia di chilometri a sud dell’Italia, è alimentato sia dall’attivismo degli stati membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sia dai suoi vicini geografici. Tutti attori che, pur condividendo la linea ONU per una Libia sicura e pacificata, hanno interessi in contrasto e appoggiano l’una o l’altra fazione per scopi lontani da quelli ufficiali.

Le ragioni dello scontro sono diverse, a partire dalla rivalità tra conservatori e riformisti sunniti. I primi, rappresentati dall’Egitto, hanno l’obiettivo di controllare la Cirenaica e contrastare il governo di Tripoli, nato su basi fragili e ormai manifestamente debole, ma che rappresenta un esperimento di condivisione delle responsabilità di governo potenzialmente in grado di mettere in discussione il sistema autoritario caro ai conservatori al potere in Egitto. In questa azione, l’Egitto è sostenuto da Russia e soprattutto Francia, per ragioni economiche e un allineamento alla politica di protezione degli stati del Sahel in chiave antifondamentalista portata avanti dai francesi.

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Dal canto suo, l’Italia concentra nell’area rilevanti interessi geopolitici, economici e di sicurezza. Tradizionale partner della Libia – che, è bene ricordarlo, non fa parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, non ha accordi bilaterali commerciali con l’UE né ha mai ratificato le Convenzioni internazionali sullo status dei rifugiati e sul diritto del mare – il nostro Paese ha visto mutare drasticamente la propria posizione negli ultimi anni. Solo nel 2010, l’Italia registrava un interscambio di oltre 17 miliardi di dollari con la Libia, quasi tre volte quello francese e inarrivabile per chiunque, di cui gran parte necessario per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Nel 2011, l’anno della caduta del regime di Gheddafi e l’inizio del conflitto interno, l’interscambio è tracollato a meno di 6 miliardi mentre nel 2017 si è attestato a 3 miliardi. Numeri eloquenti che rendono l’idea delle dimensioni del danno economico bilaterale, a cui vanno aggiunte la contestazione del ruolo geopolitico nell’area e le problematiche in materia di sicurezza.

Al fine di recuperare la posizione perduta, l’Italia ha sostenuto fin dal principio il governo di Tripoli – unico centro di potere riconosciuto dall’ONU in Libia – lavorando nel contempo per ripristinare il controverso Trattato di amicizia italo-libico del 2008 mediante la rielaborazione di memorandum su singoli punti. L’impegno politico-diplomatico ha permesso alla compagnia di bandiera nel settore degli idrocarburi di siglare accordi di estrazione di petrolio e gas validi per i prossimi decenni, rinnovando una presenza che va avanti da quasi 60 anni e che conferma la leadership italiana nel settore e il ruolo di interlocutore privilegiato del governo ufficiale. Leadership però contestata dalla Francia che, sostenendo le milizie della Cirenaica, intende allungare le proprie mire sui ricchissimi giacimenti petroliferi della regione, con l’ambizione di sostituirsi all’Italia come partner privilegiato della Libia del futuro.

schermata-2018-10-08-alle-11-48-47È in questa ottica che bisogna leggere l’attivismo transalpino – simile a quello che portò alla caduta del vecchio regime – per nuove elezioni nel Paese da tenersi entro l’anno. La speranza è infatti quella di trasferire il potere alla fazione libica che gode dell’appoggio francese, approfittando del progressivo disimpegno statunitense in Libia che priva l’Italia del sostegno di un alleato di primaria importanza.

La contrapposizione italo-francese, oltre ad alimentare pericolosi dissapori tra due Paesi fondatori dell’Unione europea, impedisce lo sviluppo di una linea comune internazionale, contribuendo al peggioramento di una situazione che danneggia tutti e che paradossalmente rischia di avvantaggiare sia il fondamentalismo islamico che i Paesi occidentali, da posizioni diverse, cercano di contrastare, sia gli attori meno esposti, com’è il caso della Cina, che negli ultimi tempi ha aumentato l’interscambio commerciale con la Libia, ottenuto la firma di una dichiarazione d’intesa per inglobarla nella nuova via della seta cinese (Belt and Road Initiative), con l’obiettivo di riportare le proprie aziende sul suolo libico ed essere in prima linea quando si tratterà di ricostruire il Paese.

Twitter @andreafesta_af

*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non impegnano l’Amministrazione di appartenenza.