Euro e dracma, due monete per un futuro sudamericano

scritto da il 03 Luglio 2015

Sembra che per la Grecia qualsiasi scenario sia possibile, dalla capitolazione ai piedi dell’euro alla risurrezione della dracma. Una sorta di via di mezzo è la doppia circolazione di euro e dracma, ipotesi che potremmo vedere in nuce già se la Grecia in default si trovasse “costretta” ad emettere propri “assegnati” a fianco della circolazione di euro ormai razionato.

Questa via di mezzo prevede una circolazione solo domestica della dracma (a stampa greca) in modo da risolvere le problematiche di tesoreria e solvibilità della Grecia senza rinunciare alla UE e all’euro (a stampa europea). D’altra parte il desiderio di una valuta “sovrana” sottende l’obiettivo della sua emissione in gran quantità, ben oltre i limiti della politica monetaria della BCE e delle restrizioni di protocolli e memorandum comunitari. Pertanto la dracma è da attendersi particolarmente “debole” e poco interessante all’estero. Coerente sarebbe comunque stabilirne ex lege la validità come mezzo di pagamento solo entro i confini greci, così da evitare qualsiasi eventuale problema di scarsità di liquidità interna.

Questa soluzione può prevedere un tasso di cambio fisso o libero con l’euro. Qui parlerò della prima, e più sponsorizzata, possibilità di un cambio fisso o ancora meglio “strisciante” per la gestione di una progressiva svalutazione della dracma.

In un certo senso si tratta di una riedizione dello SME ma senza la possibilità per soggetti esteri di “attaccare” la valuta; è possibile che operatori domestici lancino un attacco dall’interno, ma è talmente molto poco realistico – sono molto probabili stretti controlli sugli operatori finanziari, le cui dimensioni non ritengo comunque adatte ad attaccare alcunché – che l’idea può essere velocemente accantonata.

Ma come nello SME, resta necessaria da parte della Banca di Grecia un’attività di gestione della moneta per tenere il tasso di cambio nel sentiero previsto, dato che il valore dell’euro (in termini di altre valute e quindi di merci extra-UEM) non starebbe fermo così come i flussi valutari da e verso la Grecia. Inoltre i tassi di inflazione dei prezzi in euro e in dracme sarebbero solo in parte conseguenza diretta della politica monetaria nazionale, e la loro divaricazione potrebbe costringere ad ulteriori interventi (teoricamente in entrambe le direzioni). Questa attività della Banca centrale, per quanto finalizzata a stabilizzare il cambio rispetto agli obiettivi, è comunque fonte di volatilità aggiuntiva (diversa dall’eventuale sentiero svalutativo).

In questo regime di “cambio fisso interno” l’euro diventerebbe un bene-rifugio più che una moneta, probabilmente tesaurizzato da chi opera in specifici in settori (percettori netti di euro come l’export e il turismo) a scapito degli altri. Tale asimmetria di atteggiamento rispetto alle valute verrebbe rafforzata se il cambio-target non venisse percepito come corretto, cioè se al cambio ufficiale si percepisse la dracma come sopravvalutata. Ne discenderebbero spinte sul cambio di mercato, che potremmo dire “ombra”, con possibili effetti cumulativi di sfiducia sul potere d’acquisto delle dracme, e conseguente drenaggio delle riserve ufficiali di euro per contrastare le tensioni.

Dubito che in caso di tensioni BCE e Banca di Grecia coopererebbero: è più facile che il peso del target cada tutto sulla sola e apostata Banca di Grecia, appunto come nello SME accadde per le relazioni lira-marco. In breve avremmo la famosa moneta “buona” scacciata dalla moneta “cattiva” con tanto di mercato nero dell’euro, come tanti esempi storici suggeriscono. Va ricordato anche che rincorrere il “vero” tasso di cambio implica comunque l’utilizzo di risorse, che quindi, non verranno allocate in altre forme produttive di ricchezza reale (non un grande affare per una economia che dovrebbe pensare a riprendersi).

S’è detto che il fine di tutto questo è permettere allo Stato di far fronte ai propri impegni senza restrizioni. Per questo lo Stato pagherebbe stipendi, pensioni e forniture solo in dracme (ma altrimenti perché staremmo a ragionarci?), potendo però accettare pagamenti sia in dracme che in (graditissimi) euro al cambio ufficiale. In effetti tutto il “listino” statale dovrebbe essere in dracme così da avere un qualche controllo della finanza pubblica. In effetti questo implica l’acquisizione di risorse (imposte) a un valore in euro sempre decrescente, da cui problemi per l’acquisto di forniture all’estero (rigorosamente in euro). È anche vero che un aiuto (allo Stato, non ai greci) potrebbe venire dal fiscal drag indotto dall’inflazione della dracma.

Il debito pubblico iniziale resterebbe in euro: la conversione in dracme esporrebbe i creditori a perdite, e il rischio che questi successivamente si rifiutino di finanziare il Paese non è il migliore degli affari per chi deve riprendersi. La conversione d’imperio in dracme (in pratica limitata dal debito stipulato sotto normativa estera e da accordi internazionali preventivi) implicherebbe direttamente tassi di interesse comprensivi della nuova parità valutaria, delle prospettive di svalutazione e del rischio implicito nelle prospettive stesse: è da escludere che si tratti di una situazione desiderabile. Successive emissioni di debito potrebbero essere anche in dracme, ma nel caso gli stessi titoli dovrebbero – per costruzione e per coerenza – circolare solo tra operatori nazionali, il che non è ottimale per la loro liquidità e quindi per il tasso che dovrebbero pagare.

Come sempre, le importazioni pagate in valuta “debole” implicherebbero un grado di inflazione “importata” (il passthrough, l’elasticità dei prezzi, non sarebbe del 100%, ma nemmeno pari a nulla; è da attendersi tra un 50% un 75% dipendentemente dalla struttura delle importazioni e loro relazione con le esportazioni). La dinamica svalutativa della dracma (altrimenti, come già detto, perché staremmo a ragionarci?) si aggiungerebbe comunque all’inflazione dei prezzi in euro. Benché positivo per i debitori (in primis lo Stato greco), questo è decisamente dannoso a livello sia di consumi che di risparmi per i percettori di redditi fissi in dracme (dipendenti pubblici e i pensionati, tra i vari). Si assisterebbe quindi alla divaricazione del potere d’acquisto tra chi opera con l’estero e chi solamente a livello domestico.

I tassi di interesse incorporerebbero la problematicità della situazione: già i tassi sul prestito pubblico greco in euro sarebbero più alti rispetto ad oggi, e con loro tutta la struttura dei tassi in Grecia; i tassi agli operatori solo domestici dovrebbero incorporare la debolezza relativa rispetto ai percettori di redditi in euro; inoltre i tassi di interesse in dracme dovrebbero anche recuperare il differenziale inflazionistico tra le due valute.

In altre parole, avremo vincitori e vinti decisi non dal cieco e spietato mercato bensì da un “tratto di penna” del Governo e della Banca di Grecia. Pensare di sistemare il tutto con meccanismi come la Scala Mobile implica solo un avvitamento fino a rendere la dracma carta-straccia.

Si tratterebbe di ricreare la Grecia dell’era-dracma, con questa inconvertibile se non in euro, una seconda moneta in libera circolazione fuori e dentro la Grecia ma fuori dal controllo della politica monetaria nazionale. Uno scenario praticamente sudamericano in cui mi sfugge come il futuro possa portare il rilancio dell’economia greca e non piuttosto l’ampliamento del gap con i Paesi “core” – e pure quelli “semi-core” – dell’Unione.

Può perfino crearsi un paradosso: dato quanto sopra, e le già viste scene di bankrun (sì, correvano a ritirare euro, non a comprare feta!), esiste il rischio che la preferenza verso l’euro sia tale da manifestarsi in una fuga dalla dracma tale da costringere la Banca di Grecia a frenare le emissioni (o ridurre la circolazione) di valuta locale affinché i pagamenti degli interessi sul debito greco in euro restino sostenibili rispetto alle entrate fiscali in dracme (contereste davvero sul fiscal drag in un Paese ad alto tasso di evasione?). In effetti si tratterebbe di una situazione simile a quella occorsa durante le crisi (sottolineo: crisi, di nuovo) finanziaria del ’97-’98 nel sud-est asiatico. Dalla padella alla brace.

Si tratta di una prospettiva accettabile se il fine è l’isolamento finanziario e commerciale del Paese, contando sulla libertà di emissione di dracme (come se stampare più soldi significasse creare più ricchezza reale dal nulla) e su entrate a qualsiasi titolo in una qualsiasi valuta pregiata. Una soluzione autarchica però rilassata dalla contemporanea libera, anzi desiderata, partecipazione all’area valutaria  dell’euro. Un futuro sudamericano per la Grecia, un futuro cubano per Creta…

Socrate(s), tira fuori le maracas!

Twitter @LBaggiani