Cosa c’entra lo snowboard con PMI e startup? L’importante è capirsi

scritto da il 27 Febbraio 2016

Mi piace svegliarmi presto, la mattina, così ho tempo di osservare e di scrivere. E poi, se voglio portare a sciare il Panatino (mio figlio di quasi 5 anni) devo mettermi in moto per tempo perché la preparazione è lunga: la colazione coi cartoni animati, un po’ di gioco insieme e il rituale della vestizione.

Come tra sci e snowboard…
Arrivati sulle piste, però, è sempre la stessa storia. Bisogna condividerle con chi fa snowboard. È vero che alla fin fine si scivola tutti sulla neve ma chi fa sci da discesa resta convinto di dover difendere territorio e tradizione da quelli arrivati dopo, un po’ pericolosi, che si sentono molto giovani. Gli amanti dello snowboard, invece, vorrebbero ridisegnare le piste con salti e ostacoli e mal sopportano quei musoni degli sciatori tradizionali.

Come avrete capito, nello sci come nella vita faccio parte dei conservatori. Scherzi a parte, però, quello che fa più sorridere è che certi mondi restano davvero impermeabili tra loro. Qualche mese fa chiesi a un amico che vende tavole un consiglio su quali sci comprare e mi sentii rispondere piccato che lui di sci non ne sapeva proprio nulla. Eppure, con il tempo, chi scia ha visto colorarsi le proprie tute e chi fa snowboard ha imparato un po’ di fair play e ad usare quella benedetta tavola smettendo (o quasi) di franarti addosso.

Ma è inutile nasconderselo, è come per Milan ed Inter, son squadre diverse e chi cambia, per la rispettiva tifoseria, è come se passasse al lato oscuro della forza.

… così tra PMI e startup
La stessa cosa, inspiegabilmente, accade per chi fa impresa in Italia. PMI da una parte, startup dall’altra. Le prime, nella vulgata, sono immobili rispetto al mercato: morti che camminano. Le altre sono inconcludenti e pericolose, perché a furia di sognare falliscono, creando problemi a dipendenti e fornitori.

Ad aggravare il tutto ci ha pensato il Governo, che si è messo (giustamente) ad agevolare le startup (Sintesi della normativa sulle startup innovative, aggiornata a febbraio 2016) dimenticandosi (ed è un errore) delle PMI, che ormai non sembrano essere più interessanti nemmeno per l’Accademia. E tutto è diventato “moda”.

Eppure in una bella intervista di Francesco Cancellato, Francesco Morace (autore di “Crescita felice”) ci ricorda che il segreto per rimanere competitivi sul mercato è “contaminare e farsi contaminare. Essere interdisciplinari, permeabili alle esperienze e alle idee altrui. Se la sfida della crescita passa dalla contaminazione, non ci sono settori e territori migliori di altri. Ognuno è della partita. È un’attitudine che si riscontra nelle università e nelle scuole, perlomeno tra alcuni docenti, nel nuovo artigianato, in alcune amministrazioni pubbliche. Io ho la sensazione che le nostre potenzialità siano sottotraccia, nonostante sulla superficie vi sia un’immagine decadente e stanca”.

È una tesi che mi è molto cara ma che purtroppo stride, se ci pensate, con quanto accade attualmente nel mondo di chi fa impresa oggi in Italia. L’incomunicabilità tra PMI e startup è una barriera da infrangere. Una barriera culturale, prima di tutto.

Forse conviene avere il coraggio di uscire dal mito e ripartire dalle definizioni perché come mi ricorda Maurizio Denaro “sul linguaggio si è aperto uno scontro socio-politico che pochi riescono a vedere. Ma il linguaggio è struttura di condivisione sociale, è l’articolazione del network sociale. Quando viene corrotto si crea un corto circuito che ha due effetti macro: rende l’uso dell’informazione molto manipolabile, impedisce di avere basi comuni su cui confrontare ipotesi diverse”.

Sono convinto che il fenomeno startup avrà effetti dirompenti in Italia se e solo se riuscirà a relazionarsi con le PMI. E mi spiego provando a riscrivere quell’epica sbagliata di cui sono vittima gli imprenditori (e di cui ho più volte parlato su questo blog).

Cosa non sono le PMI
Le piccole e medie imprese italiane hanno molti difetti, ma ormai tendiamo a sigillarle nello stereotipo dell’immobilismo, degli scarsi investimenti, di una scarsa attenzione al mercato. Bisognerà smettere di descrivere i nostri imprenditori come piccoli e un po’ ignoranti, ancorati ad un mondo che non c’è più. Se avrete voglia e tempo di ascoltare Andrea Pontremoli di Dallara Automobili Spa scoprirete che esiste un altro modo di essere PMI. Perché troppo spesso confondiamo le micro imprese con le medie imprese (che secondo la raccomandazione dell’Unione Europea impiegano meno di 250 persone e il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio non supera i 43 milioni). Un abisso dimensionale ed organizzativo tutto da esplorare. Siamo piccoli? Vorrà dire che cresceremo, ma senza perdere ciò che ci ha resi forti in passato. Per i più interessati alle definizioni segnalo una breve guida.

Cosa non sono le startup in Italia (salvo rare eccezioni)
Le startup sono imprese particolarmente innovative, che necessitano di ingenti capitali iniziali per scalare in tempi rapidi e conquistare quote di mercato. Il grande sogno di ogni startup è una exit milionaria a seguito della cessione dell’azienda a una grande impresa, meglio se multinazionale. Il vero problema è che in Italia ci sono pochi capitali e soprattutto ci sono pochissime grandi imprese, per non parlare delle multinazionali. Fare startup in senso classico appare quindi particolarmente difficile, per quanto la sfida sia affascinante e necessaria. Di certo, al di là di quanto previsto dalla normativa, il freelance non è una startup, la PMI che offre servizi di consulenza sul web non è una startup (salvo rare eccezioni).

Eppure l’unione fa la forza
Io resto convinto che l’unione fa la forza. In mancanza di multinazionali (che non a caso le startup vanno a cercare trasferendosi all’estero) forse bisogna iniziare, anche, un percorso che faccia dialogare queste due anime imprenditoriali. Perché, sono convinto anche di questo, si può imparare molto gli uni dagli altri. Perché è importante che i concetti di open innovation, di metodo lean, eccetera, diventino bagaglio culturale di ogni imprenditore. Perché ormai è necessario per tutti (professionisti compresi) tornare a pensare come startup: ogni volta che lanciamo un nuovo prodotto o che affrontiamo un passaggio generazionale. Non possiamo dimenticare, tuttavia, che chi fa impresa deve avere la forza di trasformare i propri sogni in progetti concreti, rapportandosi al proprio territorio, creando un percorso di crescita sostenibile.

Morale della favola
Il Panatino sta imparando a sciare come un gentiluomo, ma ha preteso di indossare tuta e caschetto come quei diavoli che vedi venir giù sopra una tavola. Quanto a me, non credo con questo articolo di aver scritto una pietra miliare dell’economia aziendale ma vorrei quanto meno aver sollevato il problema, aperto il dibattito. E questo sì, credo sia urgente.

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