Il passaggio generazionale e la lezione di Gianluca Vacchi

scritto da il 17 Settembre 2016

In questi giorni mi hanno chiesto di partecipare in qualità di relatore ad una serie di incontri formativi sul passaggio generazionale. Il tema è delicato sia per gli effetti sul sistema economico sia per i risvolti psicologici degli attori coinvolti, effetti troppo spesso sottovalutati da chi affronta l’argomento in maniera tecnica.

È un tema che negli ultimi anni – con il protrarsi della crisi economica – è divenuto più problematico sia per la maggiore fragilità delle imprese, sia per la maggiore difficoltà ad essere imprenditori in un contesto economico estremamente complesso e mutevole.

Sullo sfondo però c’è sempre il rapporto tra due o più generazioni e gli effetti di questo sulla continuità aziendale. L’argomento è stato più volte sviscerato e non è facile introdurre nuovi stimoli di discussione ma mai come in questo caso è utile provare a ribaltare i punti di vista. Fortunatamente l’attualità e la rete, come sempre, mi sono di grande aiuto e mi piace l’idea di poter condividere con il lettore qualche riflessione.

Questa estate è scoppiato il fenomeno Gianluca Vacchi, personaggio seguitissimo e criticatissimo su internet. Lo dico subito, il suo profilo instagram mi diverte e trovo alcune immagini come quella del samurai a cavallo di una pecora (quasi a richiamare un novello Don Chisciotte) particolarmente ispirate.

La storia in breve del fenomeno Gianluca Vacchi
Gianluca Vacchi è azionista e membro del consiglio di amministrazione della società di famiglia la IMA S.p.a. (società quotata alla Borsa di Milano, tra le principali aziende internazionali specializzate nel processo e nel confezionamento di prodotti farmaceutici, cosmetici, alimentari, tè e caffè). Da anni non vi ricopre incarichi operativi, delegandone al cugino Alberto (presidente di Unindustria Bologna nonché ex candidato alla presidenza di Confindustria) la gestione. Ha avuto altre esperienze imprenditoriali (Toy Watch, Last Minute Tour, ecc). È diventato famoso soprattutto perché ama viver bene e farlo sapere. Sulle sue attività imprenditoriali molto è stato scritto, così come sull’opportunità o meno della sua presenza online. Sono sincero: sono cose che mi interessano poco, mi auguro che le sue iniziative siano state e siano di successo e non essendo una persona che conosco personalmente né un parente stretto non mi sento proprio di fare la morale a nessuno.

La lezione di Gianluca Vacchi
Mi è piaciuta molto invece una risposta (passata stranamente sotto traccia) che ha dato ad uno dei mille e più commenti particolarmente severi nei suoi confronti, perché racchiude una grande verità spesso trascurata: “Ti rispondo perché non mi sembri una persona sgarbata e vorrei darti un aiuto a comprendere alcune dinamiche dell’essere un uomo come me. Lavorare, Rossella, può voler dire andare in ufficio ma lavorare è anche sostenere il rischio, elaborare strategie e avere l’intelligenza di delegare, capacità tanto importante quanto quella di saper gestire. Il mio mestiere è quello di fare l’azionista, di aziende che non mi sono trovato e nel caso alcune me le sia trovate, erano in una condizione assolutamente non paragonabile a quella attuale. Vedi cara Rossella, la piccola mentalità che vede nell’approccio calvinista l’unico riconducibile al lavoro, appartiene a un mondo soprattutto italiano che considera che l’avere un’azienda presupponga una predeterminazione genealogica del ruolo, condizione che subordina l’interesse aziendale a quello familiare e personale”.

“Io ho un’etica che mi ha sempre imposto di far prevalere l’interesse aziendale su quello personalistico e questo è il motivo per cui, in pace con me stesso e in adempienza totale alla logica del bene aziendale, ho sempre deciso di non occuparmi della ‘gestione quotidiana’. Sostenere il rischio è però, ti assicuro, il lavoro più difficile insieme alla scelta che attiene al tema centrale della delega, ovvero la scelta di chi delegare per una corretta ed efficace gestione aziendale. Spero di esserti stato utile e salutandoti ti abbraccio e ti auguro buona domenica”.

Morale della favola
In questa risposta emergono alcune regole base su cui riflettere: l’interesse aziendale non deve essere subordinato a quello familiare e personale; un buon passaggio generazionale non è solo quello in cui il figlio subentra al padre nel ruolo di imprenditore ma anche quello in cui l’erede fa un passo indietro ma sa gestire la delega perché è fondamentale avere l’intelligenza di delegare a chi si reputa più “efficace” nella gestione ordinaria dell’azienda.

Se i concetti possiamo ritrovarli in qualunque libro o articolo sul tema è ben più raro trovarne una difesa pubblica così intensa. Saper fare un passo indietro per dedicarsi ad altre attività imprenditoriali in settori che si reputano più confacenti alle proprie capacità o in cui ci si sente più liberi di operare o anche semplicemente godersi la vita preservando il patrimonio e l’azienda è un grande merito che va rivendicato senza sensi di colpa.

Le vere scelte imprenditoriali nella vita sono davvero poche. Saper capire il proprio ruolo tutelando la continuità aziendale è certamente una di quelle più importanti. Del resto uno dei principali meriti di Umberto e della famiglia Agnelli non è stato forse quello di avere scelto ed appoggiato Marchionne?

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