La Francia studia da startup nation mentre in Italia le imprese sono in crisi di identità

scritto da il 18 Giugno 2017

Il nuovo presidente francese Macron disegna per la Francia un futuro da startup nation confermando quello che aveva annunciato in campagna elettorale: “La Francia creerà un fondo di investimento di 10 miliardi di euro per lanciare nuove imprese nel settore dell’informatica, dell’innovazione tecnologica. Sarà un fondo che darà visibilità all’innovazione e alla Francia”.

E ancora: “Voglio che la Francia diventi una startup nation. Una nazione che pensa e si muove come una startup. L’impresa è il futuro della Francia”

Il 10 febbraio scorso, allora semplice candidato, si era rivolto direttamente agli scienziati americani che si occupano di cambiamento climatico, con un messaggio su YouTube in inglese: “Per favore, venite in Francia, siete i benvenuti”.

Macron in sostanza ha un disegno, punta sulle imprese, sull’innovazione e su una immigrazione di qualità con agevolazioni destinate a scienziati e ricercatori.

Non mi illudo che tutto questo verrà fatto, non mi lascio affascinare dalle semplici affermazioni ma certamente traccia una via da seguire. Condivisibile o meno (chi scrive crede lo sia) è comunque un piano di sviluppo per il Paese.

In Italia invece non vedo né piani, né disegni, né roboanti ma apprezzabilissime dichiarazioni tipo: “L’impresa è il futuro della Francia”.

In Italia giochiamo ad auto ingannarci tra buonismo e tentativi consolatori.
Abbiamo il più alto numero di micro imprese tra i Paesi d’ Europa e ci siamo completamente dimenticati di loro e delle loro esigenze facendo finta che siano tutte startup.

Contemporaneamente, crogiolandoci sul numero delle nuove startup, trattiamo queste ultime come PMI creando solo confusione, fornendo dati e statistiche sbagliate, ingannando il Paese.

Il problema è stato posto recentemente da un articolo di Arcangelo Rociola di AGI.

Secondo una ricerca di Startup Europe Partnership le startup italiane non crescono. Sono solo 135 quelle che da startup sono passate alla fase di scaleup, sono riuscite a crescere velocemente scalando il loro mercato (si veda il grafico qui sotto). Rociola in sintesi ricorda quello che tutti sanno: le startup italiane non si comportano da startup innovative semplicemente perché in gran parte sono micro imprese nonostante rispondano ai requisiti laschi della normativa.

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Nulla di male sia chiaro, obiettivo della normativa startup è sempre stato quello di scardinare un sistema giuridico anche a favore in un futuro non troppo lontano delle PMI tradizionali.

Ripeto, nulla di male, basta dirselo con sincerità senza raccontarsi favole e soprattutto senza fondare norme e decisioni politiche su dati inquinati. Perché le startup innovative (quelle vere) vanno aiutate con agevolazioni mirate e costruite sulle loro caratteristiche, così come dovrebbe esserlo il mondo della ricerca, dell’innovazione, ecc. Partendo dall’attrarre talenti.

Contemporaneamente leggo che il gap competitivo dell’Italia con la Germania è concentrato nelle nostre nanoaziende, che però hanno il 90% dei lavoratori.

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La sfida dimensionale delle nostre PMI dovrebbe diventare una priorità per il Paese perché l’Italia (non nascondiamocelo) ha un debito verso di loro.

Le imprese oggi devono crescere dimensionalmente, devono imparare a mettersi in discussione anche guardando al mondo startup, devono studiare marketing e finanza, devono conoscere il loro settore ed internazionalizzarsi. Noi professionisti dobbiamo accompagnarle in questo percorso e dobbiamo farlo (o imparare a farlo se preferite) in fretta perché il mondo è cambiato. Le energie di tutti devono essere focalizzate su innovazione e rinnovamento. Non su altro.

È necessario che le micro e le piccole imprese trovino un percorso anche formativo per prendere consapevolezza delle nuove sfide che le aspettano. Abbiamo bisogno che si crei un dialogo virtuoso tra università, associazioni di categoria, imprese e professionisti. Il passaggio generazionale oltre ad essere una sfida può e deve diventare una straordinaria (benché faticosa, anche se nessuno lo dice) occasione per ripensare l’impresa e per favorirne la crescita.

PMI e startup sono due realtà differenti, entrambe hanno bisogno di imparare a vedersi diverse, di attrarre giovani talenti, di poter competere nel mondo senza complessi di inferiorità e senza un apparato statale e burocratico il più delle volte vissuto come ostile.

Soprattutto hanno bisogno di riflettere e capire chi sono e cosa vogliono diventare da grandi. Definizioni condivise e dati reali sono il primo passo. Dobbiamo smettere di ingannarci e di ingannare gli imprenditori. Perché solo tra identità forti è possibile il confronto e la contaminazione.

Dobbiamo ripartire dai dati reali ed immaginare anche noi un futuro per questo Paese. In cui ci sia spazio per startup e PMI, in cui il comune denominatore sia l’innovazione, che non è solo tecnologia (non basta comprare un nuovo macchinario, non basta più) ma è anche di business model, di processo, ecc.

Costruire il futuro richiede visione e coraggio (soprattutto politico). Altrimenti non lamentiamoci se le politiche economiche di questo Paese non portano risultati.

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