I giovani e la scoperta di essere tali nell’economia della conoscenza

scritto da il 17 Aprile 2019

Qualche settimana fa, durante un convegno organizzato sui temi dell’innovazione imprenditoriale nell’aula magna del Dipartimento ionico dell’Università di Bari, alla presenza di imprenditori, investitori, startup e giovani studenti, uno dei relatori a mezz’ora dalla chiusura dei lavori ha sollevato un tema di discussione che ha colpito moltissimo quella parte di pubblico rimasta in ascolto. L’ imprenditore si chiedeva come mai i giovani fossero andati quasi tutti via nonostante si parlasse di temi di loro interesse e lamentava l’assenza di curiosità nelle nuove generazioni, sempre meno affamate di conoscenza e sapere.

Ho ponderato a lungo sulla riflessione che ha posto l’accento Pierino ( l’imprenditore che ha lanciato la provocazione ) cercando di comprendere meglio le nuove generazioni e capire se sono realmente indifferenti all’economia della conoscenza, in un momento storico in cui le nuove generazioni e aggiungerei anche le vecchie, hanno urgenza di scoprire buoni modelli. Tanti gli esempi di giovani e giovanissimi che nell’ultimo mese,  in posizioni e contesti totalmente differenti tra loro, hanno cercato di insegnare come si disegna il futuro.

Le vicende di Greta, Rami, Alaa, Simone e Katie rappresentano solo alcune delle storie fuori dal coro. Storie di mosche bianche cui non si è più avvezzi ad ascoltare. Forse per questo fanno notizia. Ma è cosi difficile essere giovani? Perché siamo sempre più abituati a considerare la normalità un eccezione?

Greta ha 16 anni e  il 20 agosto del 2018 ha deciso di smettere di andare a scuola fino alle elezioni legislative per lanciare la campagna di protesta “Friday For Future” contro gli uomini più importanti della Terra, per far capire quanto sia importante la questione del rispetto dell’ambiente. Adesso è candidata al premio Nobel per la Pace. Simone ha 15 anni, è uno studente di un liceo linguistico di Torre Maura ed  ha sfidato la protesta cittadina con intelligenza e coraggio sostenendo con educazione il pensiero di chi vorrebbe un mondo in cui  “nessuno sia lasciato indietro”. Rami ha invece 14 anni e grazie alla sua giusta dose di intuito e lucidità ha salvato la sua vita e quella degli altri 51 studenti della scuola media di Crema che erano a bordo di un autobus in balia di un terrorista. Alaa, ha 22 anni ed è una studentessa di architettura dell’università di Khartoum, in Sudan. E’ diventata in meno di 24 ore icona della rivoluzione sudanese, per mezzo di una foto che la ritrae in piedi sul tetto di un’automobile e con il braccio teso verso il cielo mentre guida i canti di protesta della folla scesa in piazza contro il presidente Omar al-Bashir. Katie ha 29 anni ed ha un dottorato di ricerca in Informatica e Intelligenza Artificiale presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Insieme al suo team (MIT e Max Planck Institute di Monaco di Baviera), ha creato un software in grado di unire masse di dati raccolti dal telescopio Event Horizon (EHT), una rete di otto radiotelescopi che «coprono» posizioni in tutto il mondo, dall’Antartide alla Spagna e al Cile, in un’unica immagine coerente per catturare per la prima volta nella storia un buco nero distante 55 milioni di anni luce.

Essere giovani è straordinario, ma può essere molto impegnativo. C’è così tanto cambiamento in corso che la tecnologia moderna rende impossibile ai teen sfuggire alla pressione generazionale. A dimostrarlo sono i risultati prodotti nell’ultimo  Global Youth Survey: hanno rivelato che il 57% dei giovani di tutto il mondo non ha familiarità con il concetto di economia della conoscenza. I giovani non sono pienamente consapevoli dei cambiamenti economici e delle sfide dell’economia della conoscenza che stanno già modellando il modo in cui le persone vivranno, impareranno e lavoreranno. Oltre la metà dei teen teme di non essere sufficientemente esperto di tecnologia per accedere alle opportunità che deriveranno dalla corsa al progresso tecnologico in settori come il data mining, l’apprendimento automatico e la blockchain.

Eppure il mondo della tecnologia è centrale per la vita dei giovani: a livello globale, l’88% dei teen compresi tra i 16 e i 35 anni usa i social media con evidenti segnali di allarme come la dipendenza o il cyberbullismo. L’indagine applicata a giovani delle 21 principali economie mondiali, ha rivelato anche forti differenze tra le economie emergenti e il G8.

In Argentina, Messico, Brasile e Stati Uniti, il 95% dei giovani usa regolarmente i social media, eppure in paesi come India, Indonesia e Pakistanmeno del 30% ha accesso a Internet, vasti territori che rappresentano circa un quarto della popolazione mondiale.

Il gap generazionale è evidente tra i giovani negli ambienti urbani e rurali e tra quelli con redditi alti e bassi. I giovani laureati provenienti da aree urbane e con alti redditi risultano essere più capaci di accedere all’istruzione e alle reti che li equipaggiano per l’economia della conoscenza. La quarta rivoluzione industriale ha certamente distinto la generazione dei Millennial o anche “Generazione Y” dalle precedenti, nel periodo più duro in termini di disgregazione tecnologica ed economica.

I Millennial, o per dirla tutta, quelli della mia età,  sono certamente la prima generazione a stare peggio dei loro genitori. Noi siamo la generazione che dovrebbe, o avrebbe dovuto gestire una serie di patate bollenti come l’invecchiamento della popolazione, il debito globale e il cambiamento climatico. Problematiche che stiamo lasciando in eredità alla nuova generazione Z.

La tecnologia non ha solo modellato il modo di vivere e lavorare, ma ha anche generato una serie di tendenze e paure che inevitabilmente stanno influenzando  l’approccio alle sfide globali e alle nuove opportunità di crescita.

I giovani da soli non cambieranno il mondo perché magari sono troppo distratti per pensarlo, eppure i dati pubblicati dal rapporto Deloitte dimostrerebbero il contrario. Secondo il Millennial Survey 2018, circa l’84% tra Millennial e generazione Z vorrebbero rendere il mondo un posto migliore.

Sotto il profilo dell’efficienza e della sostenibilità aziendale, il 48% dei giovani  ritiene che le aziende si comportino in modo etico mentre il 47% ritiene invece che i leader aziendali non si impegnano abbastanza per migliorare la società globale.

La percezione dei giovani è che nelle aziende che hanno più successo, ci sono ambienti di lavoro più stimolanti attraverso processi di valorizzazione e sviluppo di talenti.

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(Deloitte Millennial Survey 2018)

I Millennial  guardano al futuro lavorativo con flessibilità e diversità tanto che il 43% degli intervistati prevede di lasciare il proprio posto di lavoro entro due anni; solo il 28 % cerca di rimanere oltre i cinque anni. Le nuove generazioni Z sono ancora più flessibili, tanto che il 61% degli intervistati ha dichiarato di voler lasciare entro due anni il proprio lavoro se gli viene data la possibilità.

In tema di industria 4.0 la percezione dei giovani diventa meno ottimistica. Sia Millennial che generazione Z  si sentono impreparati ai cambiamenti della tecnologia. Solamente quattro su 10 Millennial (36 %) e tre su 10 Gen Z già in attività (29 %) credono di avere le capacità e le conoscenze di cui avranno bisogno per migliorare la società. Se tuttavia le competenze tecniche sono sempre necessarie, gli intervistati sono particolarmente interessati a sviluppare abilità interpersonali, fiducia e comportamenti etici, che considerano essenziali per il successo di un’azienda. I giovani vorrebbero che le aziende svolgessero un ruolo guida nella preparazione di persone per Industry 4.0. I giovani sono diventati un potente congegno che influenza le persone di ogni età e reddito, così come il modo in cui quelle persone consumano e si relazionano. In Brasile, la Generazione Z rappresenta il 20% della popolazione del paese.

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(McKinsey.com )

Un recente studio condotto da McKinsey per indagare i comportamenti della nuova generazione Z e la sua influenza sui modelli di consumo in Brasile nelle tre principali città del paese (Recife, Rio de Janeiro e San Paolo) ha dimostrato che l’attuale generazione ha diversi aspetti positivi tra cui una maggiore propensione alla mobilitazione per una varietà di cause. Credono profondamente nell’efficacia del dialogo per risolvere i conflitti ed infine, prendono decisioni e si relazionano con le istituzioni in modo altamente analitico e pragmatico. Al contrario, la generazione dei Millennial, si concentra su se stessa ed è meno disposta ad accettare diversi punti di vista. Nella figura 2 vengono messe a confronto le 4 principali generazioni in vita, rappresentate dai  baby boomer, i nati dal 1940 al 1959 nel periodo post-seconda guerra mondiale che si sono contraddistinti per il loro comportamento idealista e a tratti rivoluzionario. Poi è arrivata la Gen Xers (nati tra il 1960 e il 1979). Sono certamente i più materialisti ma anche i più competitivi, a differenza dei  Millennial (nati nel 1980-94) che sono nati nel pieno della globalizzazione e con abitudini di consumo “disruptive”. Infine c’è la Generazione Z, che si contraddistingue per una maggiore propensione al dialogo, tanto da essere considerata una generazione “realista”. Questa generazione si sente a proprio agio in quanto probabilmente è la prima generazione che non ha modo di essere se stessa.

Dagli anni 80 al 2010, periodo a cavallo delle due generazioni Y e Z è stato un susseguirsi di cambiamenti epocali. I Millennial hanno perso la propria innocenza in seguito agli attacchi dell’11 settembre e per via delle due crisi economiche del 2000 e 2008, cosi come ha descritto Alex Williams, giornalista del New York Times, nell’articolo “More Over, Millennials, Here comes Generation Z” (2005), ma anche la Generazione Z  è dovuta sbocciare già adulta nel bel mezzo di un susseguirsi di attentati terroristici e implosioni finanziarie. E quando nel 1998 il più piccolo della generazione Z compiva 3 anni, Larry Page e Sergey Brin fondavano a Menlo Park in  California la Google Inc, Steve Jobs svelava al mondo il primo iMac e a Lione veniva eseguito il primo trapianto di un arto della storia. Ed è sempre Steve Jobs che dopo qualche anno nel 2005, lasciava in eredità a generazioni passate e future, il suo testamento spirituale con “Stay Hungry Stay Foolish”, nel suo discorso di 14 minuti e 35 secondi, ai laureandi della Stanford University.

La verità è che crescere non è mai stato semplice. Ci siamo passati tutti nel periodo dell’adolescenza. È un momento di auto esplorazione, disordine, volubilità e opportunità. A incidere sulla crescita sono quasi sempre le aspettative sociali. L’istruzione viene spesso vista come una pressione sociale come anche il denaro e la famiglia. Questa generazione è pragmatica e decisamente più attenta al futuro rispetto alle precedenti. Vive però in un contesto che si muove troppo velocemente e si trova quindi costretta ad assimilare un numero sempre crescente di nuove informazioni che immediatamente perdono di interesse con la stessa velocità con cui vengono comprese. E allora se qualche volta i giovani si distraggono, lasciamoli fare, perché come ricordava la scrittrice Anita Brookner : “Il tempo speso in malo modo durante la gioventù è talvolta l’unica libertà che una persona abbia mai avuto.”

Twitter @lospaziodimauri