Perché la finanza e il mondo accademico odiano tanto l’analisi tecnica

scritto da il 23 Novembre 2021

Analisi tecnica: è un insulto ?

Purtroppo nel mondo istituzionale a volte pare proprio di sì: io sicuramente non consiglierei a mio figlio di recapitare dei curriculum candidandosi come “analista tecnico” perché equivarrebbe per i più a cercare un posto come stregone.

Questa cattiva nomea dell’analisi tecnica nel mondo istituzionale è oggi tale che o non esistono più gli analisti tecnici oppure gli analisti tecnici sono relegati sotto altro nome a fare gli scrittori di newsletter per intrattenere il pubblico dei clienti.

E questa cattiva fama nel mondo istituzionale fa pari con quella stessa cattiva fama che l’analisi tecnica riscuote nel mondo accademico.

analisi-tecnica

Anche nei seriosi chiostri delle migliori università infatti l’analisi tecnica non trova spazio per l’inveterata convinzione che essa non funzioni. In altre parole se apri un manuale di analisi tecnica, scegli una metodologia e poi la programmi e la testi ottieni risultati non conclusivi.

Come se fosse vero l’opposto, aggiungo io, ovvero che se apri a caso una pagina di un manuale di finanza aziendale e applichi la prima regola che ti capita per mano diventi ricco in pochi anni.

Esistono del resto pochi professori ordinari di finanza aziendale che possano sostenere apertamente di avere guadagnato fortune tradando i mercati con il loro sapere scientifico.

Io penso che il mondo istituzionale ed accademico pensino male dell’analisi tecnica perché siano caduti in un qui pro pro di tipo storico che continua ancora oggi a mietere vittime: l’analisi tecnica nasce nel diciannovesimo secolo come metodologia empirica all’interno di un contesto filosofico in cui empirismo e positivismo avevano cambiato le carte in tavola nella ricerca  scientifica.

In mercati finanziari agli albori dove liquidità e trasparenza erano sconosciute i trader di allora iniziano a creare un corpus di regole appunto “empiriche” per decodificare l’andamento dei mercati, regole che vennero spesso tramandate di padre in figlio e di bocca in bocca finché non trovarono qualcuno che per la prima volta all’inizio del ventesimo secolo le codificò e le  rese pubbliche senza poterle però testare: non esistevano in quei tempi certo i computer e serie storiche dei prezzi prontamente disponibili per tutti.

Fin qui tutti noi saremmo pronti a chiudere un occhio su quelle imprecisioni o anche talvolta illusioni che l’analisi tecnica incorpora: sicuramente non erano il prodotto di malafede ed in ogni caso non è possibile nunc per tunc sapere se per quei tempi erano strumenti adeguati oppure no perché noi stessi non possiamo testare, e faccio un esempio, i prezzi intraday del corn del 1892 alla borsa di Chicago.

Quindi oserei dire che per gli albori dell’analisi tecnica e per i primi passi della stessa nel mondo delle transazioni di Borsa deve esistere una grandissima ammirazione verso padri fondatori che con righello e matita iniziarono a cercare l’introvabile ovvero pattern ripetitivi nel comportamento dei prezzi.

Il problema viene dopo, quando l’analisi tecnica, che io definisco “classica”, ovvero quella dei padri fondatori, incontra il computer e le serie storiche dei prezzi disponibili a chiunque su internet. Ecco in questo momento nasce l’analisi tecnica “moderna”, che supera quella “classica” perché l’ha ribaltata come un calzino sottoponendo a test statistico ogni pattern che quella “classica” teneva ancora sugli scaffali.

Qui, negli anni 90, avviene la rottura tra un mondo e l’altro perché per la prima volta nella storia è possibile separare il grano dall’oglio, per la prima volta è possibile rispondere alla domanda se il pattern del testa e spalla o il pattern della trendline siano veramente efficaci oppure no.

Solo negli ultimi decenni eminenti accademici come Andrew Lo, professor of Finance presso la MIT Sloan School of Management, per la prima volta hanno spezzato una lancia a favore dell’analisi tecnica cancellando gli anatemi che fino a quel momento il mondo universitario riservava per i chartists.

E questo perché per la prima volta qualcuno riesce a dimostrare che in realtà esistono pattern dell’analisi tecnica che esprimono un bias nel comportamento dei mercati (la rottura dei massimi di periodo, l’accumulazione dei volumi, etc.).

Non significa che tutta l’analisi tecnica funziona, significa che bisogna cercare, adattare, modificare e spesso creare da zero ma alla fine qualcosa in qualche periodo e su qualche mercato funziona.

Del resto oggi sono i tempi della finanza comportamentale e si sa che anche in economia ci sono le mode come nella produzione di camicette per donna.

E se arriva l’onda alta della finanza comportamentale dopo decenni di austerità sull’efficienza dei mercati (e guai a chi osa contraddirla !) ecco subito che tutti nel mondo accademico ed istituzionale corrono ad accodarsi.

Diciamolo sottovoce, ma se qualcosa dell’analisi tecnica “classica” funziona non è forse un segno antesignano di potenza e gloria illimitata della finanza comportamentale?

Thomas Demark prova a coniare la definizione “analisi tecnica moderna” con il suo libro “The new Science of Modern Technical Analysis”, Wiley, 1994 ma questa trova poca fortuna. Per Thomas Demark c’è l’analisi tecnica dei padri fondatori e c’è quella moderna che si basa su regole precise che è possibile programmare e testare. Però è il tempo in cui prima con i trading systems e poi con la finanza quantitativa e quindi con l’intelligenza artificiale l’attenzione dei market players viene definitivamente indirizzata verso un qualcosa che non contiene più la parola “analisi tecnica”, indipendente dal fatto che questa sia più o meno efficace di quella “classica”.

Eppure per quasi un secolo l’analisi tecnica è stata condannata tour court dal tribunale delle mode dell’economia.

E oggi davvero non consiglierei a nessuno di cercare lavoro come analista tecnico.

E questo nonostante chiunque operi sui mercati, istituzionale o retail che sia, parta proprio dallo studio dell’analisi tecnica per affrontare la giornata. L’analisi tecnica è infatti diventata uno standard nella lettura dei mercati.

Su Riuscireinborsa.it abbiamo condotto una ricerca sulle diverse metodologie operative partendo da 6 input (rendimento, necessità di quella metodologia, capitale iniziale, impiego del tempo, sofisticazione intellettuale, rischio).

È risultato che l’analisi tecnica risulta essere lo strumento più efficace e dal minor costo attuativo per analizzare i mercati. Di seguito la classifica delle diverse metodologie / settori della finanza ordinate secondo questo indicatore proprietario:

Classifica importanza delle metodologie e settori della finanza Fonte www.riuscireinborsa.it

Classifica importanza delle metodologie e settori della finanza. Fonte: Riuscireinborsa.it

La lettura della tabella è semplice: al primo posto abbiamo l’analisi tecnica perché è oggi indispensabile conoscerla per chi opera sui mercati come investitore, all’ultimo posto abbiamo le commodities, che sono lo strumento meno necessario e/o utile per un investitore medio.

Se non conviene definirsi analista tecnico meglio vendersi come esperto di finanza quantitativa o di intelligenza artificiale o ancora di data mining facendo l’occhiolino sempre e comunque, soprattutto in ambito accademico, alla finanza comportamentale.

Non so che cosa possa passare di diverso nella sostanza con l’analisi tecnica “moderna” se non fosse che ormai analisi tecnica è dominio riservato al popolino retail dei mercati finanziari e dominio incontrastato dell’industria del brocheraggio.

Possiamo sicuramente asserire che l’industria finanziaria ha sfruttato la relativa semplicità dell’analisi tecnica come strumento di marketing per dare un falso senso di controllo dei mercati agli sprovveduti che si avvicinano al trading per la prima volta. Vade retro!

Oggi se parli di analisi tecnica “classica” o “moderna” che sia, tanto non lo capisce nessuno la differenza, finisci sempre male.

Povera analisi tecnica… ha compiuto un viaggio di quasi 2 secoli per trovarsi oggi spodestata e derisa e senza nessuno che le possa riconoscere almeno un merito: quello di avere contribuito alla democratizzazione dei mercati, perché in fin dei conti l’analisi tecnica è alla portata di tutti e forse è anche questo il segreto del perdurante successo tra i trader e gli investitori.

Twitter @EmilioTomasini

La pagina di Emilio Tomasini sul sito dell’Università di Bologna