Sul fondo greco per le privatizzazioni da 50 miliardi

scritto da il 15 Luglio 2015

Sembra che, a proposito della privatizzazioni in Grecia (si può leggere qui la dichiarazione del Vertice euro del 12 luglio, ndr), siamo tornati alle stime inverosimili del 2011, quando governava Papandreou. Ecco un mio post di gennaio 2014, che ritengo valido ancora oggi 

PRIVATIZZAZIONI E DEBITO NELL’EUROZONA, LEZIONI DAL FIASCO GRECO

Nel bel mezzo della crisi europea si è tentati di pensare che i Paesi ad alto debito potrebbero attenuare l’impatto recessivo del processo di consolidamento di bilancio vendendo asset pubblici e partecipazioni nelle imprese statali (state-owned enterprises, SOE) e utilizzare il ricavato per riacquistare il  proprio debito. Oltre a fornire risorse finanziarie per sostenere programmi di aggiustamento e di riforme e a migliorare la solvibilità dello Stato, le privatizzazioni sono spesso associate a vantaggi di lungo termine, poiché attirano investimenti esteri e competenze manageriali, stimolando la concorrenza e la crescita.

E infatti, le privatizzazioni hanno fatto parte del programma di intervento (condizionalità) della Troika (Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale e BCE) in Grecia sin dall’inizio della crisi. Nel marzo 2011 Grecia e Troika firmarono un accordo che prevedeva  un piano di privatizzazione molto ambizioso, comprendente la vendita di servizi di pubblica utilità, di complessi per il turismo, la concessione ai privati dell’aeroporto di Atene e del porto del Pireo, la vendita di partecipazioni pubbliche nella società telefonica OTE, e la parziale privatizzazione della Banca agricola greca. In cambio, la Grecia avrebbe ottenuto un accesso ai fondi EFSF (European financial stability fund) a tassi privilegiati. Il piano originale era quello di raccogliere 50 miliardi di euro entro il 2015, circa il 17% del debito di allora.

Le privatizzazioni sono progredite a un ritmo deludente: nel 2012 sono state completate solo 2 su 35 gare di offerta (si veda tabella 1), principalmente a causa dei ritardi nelle necessarie modifiche normative e regolamentari (le cosiddette “government pending actions”, nel gergo della Commissione). Nel 2013, sono state completate 10 gare.

Tabella 1: Le privatizzazioni greche

Fonte: Leila Fernandez Stembridge, Commissione europea

Fonte: Leila Fernandez Stembridge, Commissione europea

Negli anni successivi, il gettito atteso dalle privatizzazioni delle imprese statali, dei beni immobiliari e delle banche, è stato drasticamente ridimensionato (si veda Tabella 2), scendendo a soli 8,7 miliardi di euro negli accordi (Memorandum of Understanding, MOU) del 2013.

Tabella 2: I ricavi previsti delle privatizzazioni greche

Fonte: Leila Fernandez Stembridge, Commissione europea

Fonte: Leila Fernandez Stembridge, Commissione europea

In questo articolo mi concentrerò sulla seguente questione: le privatizzazioni su larga scala sono una valida opzione per migliorare la solvibilità dei Paesi ad alto debito (1)? La mia tesi è che, in pratica, la vendita di asset pubblici difficilmente permette di migliorare la solvibilità dello Stato, e questo  vale in particolare quando un paese è in difficoltà finanziarie. Dunque il fiasco greco con le privatizzazioni ha probabilmente portata generale. Per prima cosa illustrerò un semplice esempio numerico per spiegare l’effetto delle privatizzazioni sul bilancio dello stato e in seguito descriverò l’evidenza empirica rilevante.

Esempio

Si consideri il seguente esempio (Tabella 3). Un paese (la “Grecia”) ha un debito in scadenza pari a 100 €, composto da 100 obbligazioni del valore nominale di 1 €. I ricavi greci provengono da due fonti: uno (il “Turismo”) genera 74 € di sicuro, e uno (per esempio, il “porto del Pireo”) rende, in media, 20 €. Poiché il valore del totale dei ricavi attesi (€ 94) è inferiore al debito in scadenza la Grecia è insolvente e il suo debito si vende in sconto, a 94 centesimi per un’obbligazione (questo è il rapporto tra il totale dei pagamenti attesi, € 94, e il numero di obbligazioni in circolazione, 100).

Tabella 3: Un esempio di privatizzazione

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Al fine di migliorare la solvibilità, il governo (o meglio, la Troika) decide di privatizzare il porto del Pireo, e di utilizzare il ricavato per riacquistare il debito. Si noti che questo esempio descrive una privatizzazione di dimensioni molto ampie, pari A circa il 20%  del debito totale (a prezzi pre-privatizzazione) e dunque paragonabile al piano originale di privatizzazioni della Grecia. Consideriamo il caso in cui il settore pubblico è (in)efficiente quanto il settore privato nella gestione dei porti (Tabella 3, prima colonna). In questo caso, il Pireo sarà venduto per € 20 (il valore attuale atteso dei redditi netti), e, con il ricavato il governo potrà riacquistare 21,28 (= 20/0,94) unità del proprio debito. Dopo la privatizzazione, il debito da rimborsare scenderà a 78,72 € (= 100-21,28)

È migliorata la solvibilità del governo? Niente affatto. Il governo ha rinunciato a 20 € di entrate provenienti dal Pireo, e ora deve rimborsare € 78,72 debito, con solo le entrate del turismo (74 €). La Grecia è esattamente insolvente come prima, e infatti il ​​prezzo del suo debito sul mercato secondario è invariato (e pari  a € 0,94 = pagamenti attesi / debito in circolazione = 74/78,72). Le attività e le passività di bilancio si sono ridotte nella stessa misura e dunque la solvibilità è immutata.

Consideriamo ora il caso in cui il settore privato è molto più efficiente (+30%) rispetto allo Stato nel gestire i porti, e può generare € 26 (anziché € 20) dalla gestione del Pireo (seconda colonna della tabella 3). Se i mercati dei capitali sono competitivi, il Pireo ora si vende per 26 €. Sarà redditizio per gli investitori privati ​​fare offerte di acquisto fino a questo prezzo. È facile dimostrare che, dopo la privatizzazione, il prezzo del debito sul mercato secondario salirà a 1 €, cosicché il governo potrà riacquistare esattamente 26 unità del ​​suo debito. Così il debito calerà a 74 unità, che il governo potrà rimborsare al valore nominale con i rimanenti proventi del turismo (il che conferma che il debito, dopo la privatizzazione, si deve vendere alla pari).

Tre lezioni dall’esempio

Questo esempio ci offre tre lezioni:

1. In primo luogo, il governo migliora il proprio bilancio solamente se riesce ad appropriarsi dell’aumento del valore di mercato che verrà generato dal settore privato. Si noti, tuttavia, che occorre una “grande” inefficienza pubblica (-30%) per generare un “piccolo” miglioramento nella solvibilità (il prezzo del debito sale da € 0,94 a € 1);

2. In secondo luogo, perché questi benefici si materializzino, il governo deve cedere i diritti di controllo sull’asset privatizzato: se il governo vende quote di minoranza, o mantiene una golden share, non si avranno benefici;

3. In terzo luogo, i mercati finanziari devono essere competitivi ed avere “tasche profonde”, in modo che le imprese statali siano vendute a un prezzo che rispecchia il valore dei  dividendi futuri;

Infine, si noti che un piano di privatizzazione “di successo” dovrebbe essere associato a un miglioramento del prezzo del debito sul mercato secondario, il che significa che l’accesso al mercato finanziario del Paese dovrebbe migliorare.

L’evidenza empirica

1. Quanto sono grandi i guadagni di redditività, di produttività, di dividendi, di valore di mercato generati dalla privatizzazione delle imprese di proprietà statale (SOE)? C’è una vasta letteratura empirica, che si riferisce principalmente agli anni ‘80 e ’90. I risultati di questa letteratura non sono univoci e variano a seconda dei settori, periodi e Paesi considerati, poiché aspetti quali il quadro normativo e i dettagli del processo di privatizzazione sono cruciali. La Tabella 4, tratta da uno studio di Megginson e Netter del 2001 (2), mette a confronto le performance pre e post-privatizzazione di 113  imprese statali privatizzate.

Tabella 4: Studi empirici sulle privatizzazioni

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Qualunque sia la misura di efficienza considerata, i miglioramenti seguiti alle privatizzazioni appaiono almeno un ordine di grandezza al di sotto di quanto necessario per migliorare la solvibilità (30%, nell’esempio). Si noti che, da un punto di vista metodologico, questa letteratura è poco convincente: non confronta i cambiamenti pre e post privatizzazione delle aziende di Stato rispetto a quelli intervenuti in  un “gruppo di imprese controllo”, composto da SOE che non sono state privatizzate.

Dunque i miglioramenti di performance osservati potrebbero essersi verificati anche nelle imprese rimaste in mano pubblica, rendendo fuorviante l’inferenza sugli effetti della privatizzazione. Goldstein (2003) (3) esamina l’evidenza dell’esperienza privatizzazione italiana degli anni 1990 mettendo a confronto i cambiamenti pre e post privatizzazione di imprese privatizzate con quelli relativi a un gruppo di controllo di imprese dello stesso settore. Lo studio non trova alcun effetto statisticamente significativo delle privatizzazioni.

2. La seconda questione è quella del trasferimento dei diritti di controllo. Bortolotti e Faccio (2004) (4) considerano un campione di 118 aziende di Stato privatizzate nel corso degli anni ‘90 in Europa. L’evidenza suggerisce che il trasferimento dei diritti di controllo dopo la privatizzazione è stata lungi dall’essere completata: in ben il 65% dei casi analizzati, il governo ha mantenuto almeno il 10% delle azioni delle imprese privatizzate, e/o si è riservato diritti di controllo tramite golden share (si veda la tabella sotto). Questo fatto evidenzia come la politica sia riluttante ad allentare la propria presa sulle aziende di Stato e fornisce una possibile spiegazione sullo scarso impatto delle privatizzazioni sulle performance delle ex imprese pubbliche.

Tabella 5: Diritti di controllo

Fonte: Bortolotti e Faccio, 2004

Fonte: Bortolotti e Faccio, 2004

Infine, sembra improbabile che un Paese che ha perso l’accesso ai mercati internazionali del debito possa  proficuamente vendere attività sul mercato al loro “prezzo di equilibrio” (il valore attuale dei flussi di reddito che genera), anche se questo non si può escludere in linea di principio.

Nel caso greco non sembra che il piano di privatizzazioni abbia portato ad alcun aumento delle quotazioni del debito né abbia coinciso con un qualsivoglia miglioramento delle condizioni di accesso del Paese ai mercati finanziari.

Conclusioni
Le privatizzazioni dovrebbero essere giudicate per i loro meriti: per ridurre il ruolo dello Stato nell’economia, se e in quanto tale ruolo è associato alla corruzione, al finanziamento illecito di clientele politiche, alla distorsione della concorrenza, a barriere all’ingresso e inefficienza.

Come strumento di emergenza, volto a migliorare la solvibilità in tempi di crisi, è improbabile che possano essere efficaci. Un Paese in crisi ha poche alternative rispetto a un mix di rigore fiscale, ristrutturazione del debito e deprezzamento reale, eventualmente da realizzare attraverso tagli a stipendi e salari. L’implicazione è che la politica della Troika, orientata a condizionare l’assistenza finanziaria alle privatizzazioni, è sbagliata e controproducente.

Twitter @pmanasse

Note

(1) Questo articolo è basato sulla mia presentazione al Madariaga – College of Europe Foundation a Bruxelles il 2013/12/12, “Is Large-Scale Privatization a Viable Way to Cut Debt in the Eurozone?”

(2) William L Megginson, Jeffry M Netter, 2001 Dallo stato al mercato: Un sondaggio di studi empirici in materia di privatizzazioni, Journal of Economic Literature Volume 39, n. 2, pp 321-389

(3) Andrea Goldstein, Privatization in Italy 1993 – 2002: Goals, Institutions, Outcomes, and Outstanding Issues, April 2003 CESifo Working Paper Series No. 912

(4) Bortolotti, B. e M.Faccio 2004, “Reluctant Privatizations “, EGCI Working Paper n, 40