La prima “tempesta perfetta” della storia e il bank run che non ti aspetti

scritto da il 07 Agosto 2015

Quel 25 settembre le campane del villaggio di Esplechin nell’Hainaut (odierno Belgio) suonarono a festa per celebrare l’accordo fra Edoardo III Plantageneto, re d’Inghilterra, e Filippo VI di Valois, re di Francia, per una tregua di un anno nel conflitto che passerà alla storia come la Guerra dei Cent’anni. Correva l’anno 1340 e questo è il prologo alla storia che andrò a raccontare: la prima “tempesta perfetta” economica della storia.

Il CRAC IN RIVA ALL’ARNO 

La tregua di Esplechin fu un sollievo momentaneo per Edoardo III. Il re inglese infatti era accerchiato su più fronti: oltre al conflitto oramai secolare con i ribelli scozzesi, guidati in quel momento da Davide II Bruce (figlio del Robert Bruce ritratto nel film Braveheart), nel 1337 decise di aprire le ostilità con Filippo VI per rivendicare la corona di Francia, a cui poteva ambire per discendenza femminile dalla casata dei Valois.

Le ripercussioni economiche furono però pesanti: i commerci di lana con le Fiandre cessarono a causa dell’embargo francese ed imperiale mentre agli onerosi costi militari necessari per soggiogare la ribellione scozzese si aggiunsero quelli per arruolare un secondo esercito ed approntare pure una flotta, indispensabile per difendersi dalle incursioni francesi su mare. Ben presto le casse reali si svuotarono.

Re Edoardo dovette quindi trovare un modo per finanziare le sue spese di guerra. Quei mercanti italiani che erano sempre nei suoi domini ad acquistare con oro sonante la lana inglese per le manifatture di tessuti di Firenze potevano essergli d’aiuto. Del resto erano già famosi banchieri che operavano con filiali in tutt’Europa e sicuramente la “gratitudine del Re” non era da disprezzare per chi basava i suoi commerci sull’importazione della lana dall’Inghilterra.

fiorino_firenze

“Le grosse banche del paese ad economia dominante (Firenze) presenti nel paese sottosviluppato (Inghilterra), per garantire regolari rifornimenti di materia prima (lana) alle manifatture della madrepatria, sono trascinate dalla logica delle cose a concedere crediti sempre più ampi al potere pubblico del paese sottosviluppato.”(1)

Fu così che le due più grandi banche fiorentine dell’epoca, i Peruzzi e i Bardi, si trovarono a prestare sempre più grosse somme di denaro a questo re guerrafondaio. Fino ad arrivare a una somma compresa fra i 600mila e i 900mila fiorini d’oro. Commissioni, interessi e altre penalità contribuirono a farla lievitare velocemente. Fatto sta che sia la lunghezza della guerra senza conquiste territoriali significative (e quindi entrate per la corona, fra razzie e nuove tasse), sia l’insufficienza delle tasse e delle concessioni cedute a garanzia dei prestiti a coprire i rimborsi, costrinsero Eduardo III a dichiarare bancarotta, nel 1342.

Tutto questo accadeva, ma guarda i casi della storia, mentre il settore bancario già inziava ad andare in difficoltà. Un anno prima, nel 1341, diverse banche fiorentine avevano dichiarato fallimento: gli Acciaiuoli, i Cocchi, i Perendoli, i Bonaccorsi, i da Uzzano, gli Antellesi, i Corsini. Ma la notizia della bancarotta di re Edoardo, per la rilevanza delle somme e la pubblicità dell’evento, fece da catalizzatore per le paure dei grandi depositanti, soprattutto la nobiltà del Regno di Napoli, che, dopo avere entusiasticamente investito presso le due banche fiorentine i proventi del loro export agricolo e lucrato ottimi rendimenti, adesso iniziavano a temere per la sicurezza dei loro crediti.

Dal timore presto si arrivò al panico, addirittura corse voce che Firenze sarebbe uscita dallo schieramento guelfo (al quale apparteneva l’angioino Regno di Napoli) per “vendersi” all’Imperatore a causa della crisi finanziaria. Fu il primo “bank run” della storia (avete presente la recente corsa agli sportelli in Grecia?) e, siccome anche allora le banche prestavano a leva, cioè concedevano prestiti in misura maggiore dei depositi, la fine fu inevitabile: i Peruzzi fallirono nel 1343, i Bardi nel 1346.

Fu la catastrofe. Il fallimento delle due più importanti banche del mondo di allora provocò una crisi sistemica a Firenze, maggiore centro finanziario del tempo: molti fiorentini che avevano lì i loro risparmi riuscirono a recuperare solo dalla metà a un quinto degli stessi; la contrazione del credito e della ricchezza creò un’ondata deflattiva che portò alla crisi di numerose altre imprese e a una generale crisi di fiducia.

Impressionanti al riguardo le parole del cronista Giovanni Villani, che visse in prima persona quegli anni:

“Ecche n’avenne che per cagione di ciò non potendo rispondere a cui dovieno dare in Inghilterra, e in Firenze, e in altre parti dove avieno affare, e del tutto perderono la credenza, e fallirono di pagare, ispezialmente i Peruzzi, con tutto che non si cessassono per le loro grandi posessioni ch’avieno in Firenze e nel contado, e per loro grande potenzia e stato ch’avieno in Comune.

Ma per questa difalta e per le spese del Comune in Lombardia molto mancò la potenzia e stato di mercatanti di Firenze; e però di tutto il Comune ella mercatantia e ogni arte n’abassò, e vennero in pessimo stato, come inanzi si farà menzione; però che fallite le dette due colonne, che per la loro potenzia, quando erano in buono stato, condivano colli loro traffichi gran parte del traffico della mercatantia di Cristiani, ed erano quasi uno alimento, onde ogn’altro mercatante ne fu sospetto e male creduto.

E per le dette cagioni e per altre, come si dirà tosto, la nostra città di Firenze ricevette gran crollo e male stato universale non guari tempo apresso”. (2)

Esattamente come il fallimento della Lehman Brothers nel 2008 fu insieme il risultato ma anche il moltiplicatore degli squilibri economici latenti nell’economia mondiale degli anni 2000, così il fallimento dei Bardi e dei Peruzzi segnò la fine di un ciclo di espansione economica allora senza precedenti in Europa. E nel suo centro finanziario, Firenze, si portò appresso anche una crisi di finanza pubblica e valutaria.

Twitter @AleGuerani

1 – continua

(1) Carlo M. Cipolla “Il Governo della Moneta a Firenze e a Milano nei Secoli XIV-XVI” pag.16
(2) Giovanni Villani “Nuova Cronica” Libro dodicesimo, LXXXVIII