Nel Regno Unito salario sotto il livello di sussistenza per uno su quattro

scritto da il 16 Ottobre 2015

Scopro, grazie a una interessante release dell’ONS (Office for National Statistics), che nel Regno Unito si parla di living wage, versione aggiornata dei salari di sussistenza resi famosi dagli economisti classici. Ma soprattutto che tale forma di retribuzione ormai riguarda una grossa quota dei salari britannici. Tanto è vero che alcuni studiosi piuttosto volenterosi hanno addirittura elaborato una misura del living wage, definita come la soglia di salario minima richiesta per coprire le spese di sostentamento, grazie a un’iniziativa promossa dalla Living Wage Foundation e dal sindaco di Londra, Boris Johnson. Anche il governo ha ritenuto necessario occuparsene, visto che dall’anno prossimo verrà pubblicato il National living wage. Nel frattempo tocca accontentarsi dei dati diffusi dell’ONS, che tuttavia mi paiono molto eloquenti.

La prima notizia è che la proporzione dei salari inferiori alla paga di sussistenza è cambiata notevolmente negli ultimi anni. Chi conosce l’evoluzione del mercato del lavoro britannico certo non si stupirà. E tuttavia sarà sorpreso di leggere che nel 2014 c’erano circa sei milioni di salari sotto il livello di sussistenza, distribuiti fra Londra e fuori.

Un grafico mostra che ormai la percentuali di chi ha una paga inferiore alla sussistenza sfiora a Londra il 20% mentre svetta verso il 25% nel resto del Regno Unito, in decisa accelerazione dal 2010. Ciò vuol dire che in teoria un lavoratore su quattro, in media, sta sotto il living wage.

È interessante anche notare la divaricazione crescente fra l’andamento del salario di sussistenza, che in termini reali è cresciuto del 3% fra il 2008 e il 2014, e la mediana della paga oraria, che sempre fra il 2008 e il 2014, è diminuita del 10%, sempre in termini reali. Una situazione che un grafico mostra in tutta la sua eloquente chiarezza. Significa che mentre aumenta il costo minimo della vita, diminuisce e assai di più la paga. Il che, ne converrete, è alquanto scoraggiante.

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E scopriamo che nel 2014 in situazione di salario inferiore alla sussistenza si trovavano il 16% dei lavoratori maschi a Londra e il 18% fuori, mentre le percentuali per le lavoratrici salgono rispettivamente al 22% e al 29%. Salari sotto la sussistenza anche per il 48% dei lavoratori fra i 18 e i 24 anni londinesi e il 58% dei giovani fuori Londra. I giovani sono sempre quelli più penalizzati. Ma neanche agli anziani va così bene: nella classe fra i 55 e i 64 si sfiora il 20% fuori Londra mentre per gli ultra sessantacinquenni si supera il 30%.

Se dal chi passiamo al dove, scopriamo che buona parte di questi salari sotto la sussistenza sono erogati nel settore dei servizi, dalla vendita e customer satisfaction, alla ristorazione o le pulizie, e che la quantità di lavoratori con queste retribuzioni nel settore privato è quasi tripla rispetto a quella del settore pubblico. Il che consente di apprezzare una delle conseguenze finora poco osservata della discussa rivoluzione che ha interessato il lavoro inglese. Tutto questo non ricorda forse la Gig economy che si fa strada dagli Stati Uniti?

Infine, possiamo osservare che la qualificazione gioca un ruolo determinante. Le cosiddette “occupazioni elementari”, quindi low skilled, sono quelle dove si concentrano i salari sotto la sussistenza. Però, dicono tutti, l’economia britannica va bene.

Mi chiedo per chi.

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