Il bail-in europeo è uno tsunami necessario, ma difendere i propri soldi è possibile

scritto da il 28 Dicembre 2015

Pubblichiamo un post di Diego Valiante, responsabile istituzioni e mercati finanziari del Ceps (Centre for European Policy Studies) –

IL BAIL-IN È UNA CURA COSTOSA, NECESSARIA PER L’INTEGRAZIONE

di Diego Valiante

All’indomani degli accadimenti che hanno coinvolto i risparmiatori di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara ci s’interroga sul funzionamento dei meccanismi di bail-in, anche alla luce delle nuove regole europee introdotte dalla direttiva UE 2014/59 e recepite dall’Italia con il D. Lgs. 180/2015. Tra le misure più importanti della direttiva, che disciplina i fallimenti e le ristrutturazioni degli istituti di credito e si applicherà dal primo gennaio 2016, c’è sicuramente il bail-in, che prevede l’abbattimento di alcune passività (oltre al capitale azionario) per ripianare le perdite e ricapitalizzare la banca.

Nelle tristi vicende delle quattro banche locali abbiamo già visto una parziale applicazione del bail-in europeo, tramite le linee guida sugli aiuti di stato in vigore dall’agosto 2013 e che si applicano anche agli esborsi del fondo di risoluzione. A differenza del bail-in che si applicherà dal 1 gennaio, le passività catturate in quest’operazione hanno escluso le obbligazioni non subordinate (senior) e i depositi sopra i 100.000 euro, che invece entreranno a far parte della nuova disciplina europea.

Questo strumento è stato introdotto anche in altre giurisdizioni bancarie importanti, come gli Stati Uniti, nel tentativo di limitare i salvataggi pubblici ed evitare il procrastinarsi di situazioni finanziarie insostenibili.

Rischi per il sistema e per i correntisti 

Il nuovo bail-in si applicherà principalmente quando l’autorità di risoluzione nazionale deciderà di ricapitalizzare una banca, ovvero nei casi in cui: la banca non è riuscita a raccogliere sufficiente capitale privato (se la ricapitalizzazione le restituirà sostenibilità); l’autorità decide per una vendita parziale o totale della banca; o costituisce (come nel caso italiano) una bridge bank (o good bank) che continuerà ad operare sul mercato e una bad bank che raccoglierà gli attivi deteriorati e riverserà le perdite sul pubblico. Il bail-in dovrà coprire almeno l’8% delle passività totali della banca, per poter accedere alle risorse del fondo di risoluzione, che poi copriranno un 5% addizionale, prima di ritornare a un successivo bail-in delle altre passività e poi all’accesso a risorse statali o dello European Stability Mechanism (ESM).

Tra le passività incluse nel bail-in, ci sono anche i conti correnti sopra la soglia di garanzia dei 100.000 euro (coperta dal fondo interbancario). Tuttavia, ci sono delle salvaguardie per questi depositi. Primo, è possibile diluire il valore dei conti presso banche differenti, poiché il calcolo è effettuato per depositante per banca. Secondo, la direttiva europea prevede che i depositi sopra i 100.000 euro, detenuti da persone fisiche e piccole e medie imprese, ricevano una preferenza rispetto a tutte le altre passività che saranno catturate nel bail-in durante le procedure di risoluzione.

Gli incentivi e gli effetti strutturali 

Gli incentivi e gli effetti strutturali del bail-in sono ancora poco chiari. Si può facilmente intuire che il costo del capitale per le banche potrebbe crescere. Crescerà però maggiormente per quelle che sono in difficoltà, dando un vantaggio competitivo a quelle amministrate meglio. C’è, inoltre, un rischio di contagio nel mercato secondario degli strumenti finanziari ibridi (e.g. obbligazioni subordinate).

Il bail-in dovrebbe funzionare bene per gli shock idiosincratici (ovvero i fallimenti isolati di piccole banche), ma meno per rischi sistemici (Goodhart & Avgouleas, 2014). La paura che ci sia un effetto contagio su altre banche potrebbe congelare la liquidità sui mercati secondari e far crescere oltremodo i costi di finanziamento, quindi accelerando una potenziale crisi sistemica. Inoltre, nel caso europeo il bail-in si applica a livello di singola entità e non di capogruppo.

Questa soluzione è in linea con il principio europeo di trattamento paritario tra entità di diversi stati membri, ma pone dei problemi per i gruppi transfrontalieri (specialmente non europei) e la loro capacità di ridistribuire capitale tra le varie sussidiarie in altri stati, accentuando l’incertezza e il potenziale rischio sistemico in una situazione di crisi.

Le pressioni di mercato nella ricerca di una soluzione privata alla ricapitalizzazione potrebbero anche accelerare l’uso di pratiche di vendita aggressive, come nel caso di Banca Etruria, su cui la magistratura sta svolgendo accertamenti anche riguardo a responsabilità penali.

Tuttavia, le pressioni di mercato offrono anche uno strumento per rafforzare la vigilanza bancaria che, nel caso delle quattro banche, è stata carente non solo sul controllo dei conflitti d’interesse nella governance bancaria, ma anche in merito alla vigilanza della vendita di strumenti finanziari, troppo formalistica nel valutare l’appropriatezza dello strumento per il profilo di rischio dell’investitore.

Anche la vigilanza diretta degli investitori dovrebbe crescere a fronte dei rischi concreti derivanti da una potenziale gestione sbagliata.

Queste pressioni dovrebbero accelerare le ristrutturazioni bancarie, che sono attualmente in stallo per l’impossibilità di avere un quadro completo sul valore reale delle sofferenze individuali che riempiono i bilanci delle banche italiane per oltre il 10% (per un valore di circa 200 miliardi). La mancanza di una asset quality review, cioè una valutazione esterna e trasparente degli attivi, per le banche che non sono sotto la giurisdizione diretta della BCE è una mancanza su cui Bankitalia dovrebbe intervenire al più presto.

È quindi necessario che il bail-in sia affiancato da una vigilanza trasparente e con forti poteri sanzionatori, per supportare le forze di mercato come motore per ristrutturare i bilanci bancari. In futuro, infatti, il rischio sistemico potrebbe essere generato non da eventi singoli (come nel caso di Lehman Brothers nel 2008 o la Grecia nel 2010), ma da una prolungata incapacità di ristrutturare i bilanci delle banche (oberati dalle sofferenze) e quindi di ripristinare un flusso di credito sano per il sistema economico. Questa incapacità ha condannato il Giappone a oltre 20 anni di stagnazione.

Il completamento dell’Unione monetaria  

Il punto forse più interessante del bail-in, tuttavia, emerge dal lato macroeconomico. Una maggiore condivisione del rischio tra privati nell’Unione bancaria dovrebbe rompere l’abbraccio mortale tra banche locali e governi nazionali, limitando l’intervento disordinato dei governi e quindi il conseguente processo di frammentazione finanziaria e danneggiamento dei canali di trasmissione della politica monetaria, come illustrato in due miei post del 2012 e 2014.

Si tratta dell’affiancamento di un meccanismo di condivisione del rischio privato (bail-in e mutualizzazione delle perdite con i contributi al fondo di risoluzione) a quello pubblico, quale la parziale backstop fiscale del fondo di risoluzione europeo tramite la clausola che permette l’accesso ai mercati e all’ESM. Rimane a tutt’oggi, come ultima istanza, l’intervento dei governi nazionali, sebbene producano effetti dannosi sull’integrazione finanziaria. Tuttavia, questo avviene sotto la giurisdizione degli aiuti di stato, inclusi tutti gli interventi di salvataggio dei fondi nazionali interbancario e di risoluzione, per evitare che mascherino interventi pubblici distorsivi della concorrenza e dell’integrazione finanziaria.

Pertanto, sebbene il bail-in crei delle potenziali criticità sul controllo del rischio sistemico, rimane una precondizione importante per una vera condivisione del rischio unitaria tra i Paesi europei (una backstop fiscale europea), che si farebbe carico della stabilità del sistema finanziario (inclusi i potenziali effetti collaterali del bail-in stesso).

La creazione della backstop fiscale al sistema finanziario è il vero anello mancante dell’Unione monetaria. Un sistema finanziario in cui i governi nazionali possano fallire senza che le banche chiudano e i governi introducano controlli sui flussi di capitale è l’obiettivo che aprirebbe la strada alla ristrutturazione dei debiti nazionali per riportarli alla sostenibilità e a una ritrovata capacità di investire nel lungo termine.

L’onda lunga del bail-in è pertanto un tassello (forse) costoso ma una cura necessaria per completare un lungo e complesso processo d’integrazione.

Twitter @diegovaliante