La Germania vuole gli onori ma resiste sugli oneri. Vediamo perché

scritto da il 30 Dicembre 2015

Pubblichiamo un post di Francesco Bruno, Master in Law and Economics, già collaboratore di Leoni blog – 

PERCHÉ LA GERMANIA NON VUOLE L’EUROASSICURAZIONE

di Francesco Bruno

La polemica si è innescata qualche giorno fa tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e la cancelliera tedesca Angela Merkel, poco prima di un Consiglio Europeo acceso e con altri non pochi motivi di divisione tra Roma e Berlino. Ovviamente le mosse dei leader europei sono dettate da motivazioni politiche, ma cerchiamo di capire i contenuti delle varie partite in gioco, concentrandoci sul tema dell’assicurazione europea sui depositi bancari.

Di cosa stiamo parlando

L’Unione Bancaria Europea si fonda su tre pilastri:

1) un unico meccanismo di supervisione e vigilanza;

2) un unico meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie;

3) un comune meccanismo di assicurazione dei depositi.

I primi due pilastri sono già diventati realtà, con la supervisione accentrata nelle mani della BCE, guidata da un italiano, Mario Draghi – ma solo per le banche sopra una certa soglia dimensionale – e la recente introduzione di un meccanismo unico di risoluzione dettato dalla Direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) della quale abbiamo tanto sentito parlare negli ultimi tempi e che presto sarà pienamente operativa.

Adesso manca l’ultimo pilastro, un sistema di assicurazione dei depositi bancari per l’Eurozona. La proposta legislativa è stata presentata dalla Commissione Europea lo scorso 24 novembre e prende il nome di EDIS (European Deposit Insurance Scheme).

I punti salienti della proposta:

  • Il livello di protezione per i depositanti sarebbe analogo a quello attualmente in vigore a livello nazionale, il quale protegge dai rischi i depositi fino all’importo di 100.000 euro;
  • Non dovrebbe esserci un aggravio di costi per il sistema bancario;
  • Gli istituti meno solidi dovrebbero contribuire maggiormente per il reperimento delle risorse necessarie a garantire i depositi;
  • Lo schema sarebbe obbligatorio per gli Stati Membri aderenti al meccanismo unico di vigilanza, facoltativo per gli altri Membri dell’Unione Europea.

Lo schema verrebbe implementato in tre fasi:

  1. Un’iniziale periodo di riassicurazione fino al 2020. Ciò significa che fino a quella data i sistemi nazionali potrebbero accedere ai fondi EDIS solo dopo aver esaurito le proprie risorse.
  2. Una seconda fase di coassicurazione fino al 2024, dove si potrebbe accedere sin dall’inizio ai fondi EDIS nella misura iniziale del 20% (che potrebbe crescere durante la fase) degli importi necessari.
  3. La fase finale di riassicurazione totale che partirà nel 2024. Da quel momento l’EDIS sostituirebbe integralmente i sistemi di garanzia nazionali, con una completa condivisione del rischio.

Come sempre, il timing delle riforme europee è lungi dall’essere tempestivo, a causa dei difficili equilibri politici da raggiungere tra gli Stati Membri. E infatti – come già capitato all’introduzione dei precedenti pilastri dell’Unione Bancaria – la Germania ha mostrato la sua insofferenza nei confronti della proposta della Commissione.

Le riluttanze tedesche

Fondamentalmente le resistenze della prima economia dell’Eurozona sono analoghe a quelle già viste in passato, quando le trattative concernevano il secondo pilastro dell’Unione Bancaria o quando – ancora prima – si discuteva di proposte morte sul nascere come nel caso degli Eurobond. Ricordo una visita di scopo didattico che feci presso l’Ufficio Regionale di Amburgo della Deutsche Bundesbank.

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Era il marzo del 2013, si parlava del progetto di Unione Bancaria. La direttrice della filiale esponeva con entusiasmo il prossimo accentramento dei poteri e della vigilanza in capo alla BCE. Ma durante il question time, le domande di noi studenti “terroni d’Europa” ma anche di quelli statunitensi, ponevano l’accento sulla necessità di collettivizzare anche i rischi, nonché sulla circostanza che la crisi del settore bancario fosse molto legata a quella dei debiti sovrani e che probabilmente necessitasse di una soluzione europea.

Le risposte furono nette: “Prima tutti i Paesi si mettono a posto, poi si può passare alla mutualizzazione dei rischi e delle perdite”. Ognuno lavi i suoi panni sporchi, che si parli di banche o di debiti pubblici non fa alcuna differenza, per Berlino.

La posizione era ed è rimasta quella, contraria ad un processo inverso che collettivizzi i rischi partendo da situazione di solidità finanziarie profondamente diverse. Posizione ribadita dal ministro Wolfgang Schäuble, il quale è stato perentorio nel bocciare la proposta della Commissione, ed espressa molto chiaramente al recente Consiglio europeo dalla stessa Merkel.

Sostiene Schäuble che la proposta della Commissione sarebbe contraria ai Trattati dell’Unione Europea e quindi richiederebbe una modifica degli stessi. La Germania non si farebbe scrupolo di adire la via del contenzioso ove necessario. Secondo il ministro tedesco la proposta della Commissione sarebbe inoltre del tutto prematura, considerato che non vi è stata ancora una completa implementazione della Direttiva sulla risoluzione delle banche in crisi.

Previamente, infine, si dovrebbero ridurre i rischi nel settore bancario, facendo i conti con le ricadute della crisi, e solo al termine di questo percorso di penitenza procedere ad una collettivizzazione dei rischi e a una condivisione delle perdite. L’inversione della sequenza favorirebbe – secondo il Schäuble – scenari di moral hazard. (azzardo morale o irresponsabilità, ndr).

Ma la misura è necessaria?

Attualmente è già presente un’assicurazione nazionale sui depositi bancari fino a 100.000 euro. Quindi, da un punto di vista della tutela del risparmiatore, non si avrebbe alcuna innovazione. Si pone allora la legittima questione sulle riluttanze dei tedeschi, i quali non vedono alcuna fretta di implementare la terza gamba dell’Unione Bancaria.

Una lettura qualificata inerente i benefici che un’assicurazione europea sui depositi potrebbe significare per il sistema bancario dell’Eurozona è fornita da Dirk Schoenmaker e Guntram B. Wolff in un post pubblicato dal think tank Bruegel, il quale – oltre ad offrire quattro opzioni al legislatore europeo – cerca di spiegare perché sia necessario l’accentramento del sistema di garanzia dei depositi.

In sintesi:

  • Se uno dei dichiarati motivi per l’adozione dell’Unione Bancaria è il superamento dei rapporti tra banche centrali nazionali ed istituti di credito, nonché il cosiddetto diabolic loop rappresentato da un massiccio acquisto di titoli di stato da parte di banche dello stesso Paese, è evidente che tale obiettivo non potrà essere raggiunto finché i governi nazionali fungeranno da fiscal backstop – il classico paracadute – per il sistema di garanzia dei depositi. È chiaro che le autorità nazionali continueranno a mantenere ed a reclamare ruoli primari anche nella supervisione delle banche nazionali fino a che verranno utilizzati i fondi nazionali.
  • Un modello accentrato di garanzia dei depositi è già previsto in un sistema di unione bancaria molto più stabile ed evoluto rispetto a quello europeo, come quello statunitense.
  • È necessario – per l’integrità dell’unione bancaria – garantire che la salvaguardia dei depositi non debba dipendere e affidarsi alla situazione finanziaria del Paese dove la banca in crisi ha sede.
  • Attualmente il costo del finanziamento bancario è differente all’interno dell’Eurozona, ulteriore fattore da considerare per valutare i rischi sui depositi e che occorrerebbe superare.

Tuttavia, gli autori avvertono che il peso dei depositi richiederebbe comunque un fiscal backstop in caso di crisi, poiché le risorse accumulate attraverso i contributi delle banche potrebbero non essere sufficienti. Alla luce di ciò gli autori evidenziano che all’interno di molti Paesi dell’Eurozona i depositi bancari valgono più del 100% del PIL.

Concludendo, sembrerebbe che l’Eurozona non possa fare a meno di completare l’Unione Bancaria e che il passaggio del sistema di garanzia dei depositi dal livello nazionale a quello europeo sia uno step fondamentale, con buona pace della Germania. Un’unione bancaria implica necessariamente una condivisione del rischio e un superamento dei trattamenti differenziati attualmente esistenti.

Di contro, non si può ignorare il peso della legacy che non è mai stato debitamente affrontato e con il quale si stanno facendo attualmente i conti in Italia, in Portogallo e nella stessa Germania.

Il periodo di transizione delineato dalla Commissione nella sua proposta resta dunque incerto e non esente da rischi, ma il completamento dell’Unione Bancaria è un processo irreversibile e non può essere messo in discussione, al fine di non vanificare il lavoro fatto fin ora per prevenire le crisi bancarie in futuro e per internalizzare il costo delle stesse.

Twitter @frabruno88