Lo zen, la politica e l’arte di evitare la manutenzione della regolazione

scritto da il 18 Gennaio 2016

Pubblichiamo un post di Vitalba Azzollini, autrice di paper e articoli in materia giuridica che lavora presso la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, Divisione Corporate Governance. Le opinioni espresse non riflettono il punto di vista dell’istituzione –

LO ZEN E L’ARTE DI EVITARE (CON CURA) LA MANUTENZIONE DELLA REGOLAZIONE

di Vitalba Azzollini

Le leggi e le istituzioni, al pari degli orologi, devono periodicamente essere pulite, ricaricate e regolate sull’ora esatta (Henry Ward Beecher)

La regolazione richiede una manutenzione costante poiché “nel tempo, anche la legislazione meglio ideata può diventare obsoleta, più onerosa o cessare di raggiungere i propri obiettivi”: soprattutto in un periodo di scarsità di risorse, è importante che venga adottata e resti in vigore solo se necessaria, considerati i rilevanti costi che comporta.

Pertanto, in via preventiva, è indispensabile che ogni atto normativo sia fondato sull’analisi dei benefici, degli svantaggi, dell’idoneità a produrre i risultati prefissati, degli effetti sulla coerenza dell’ordinamento giuridico, delle modalità nelle quali influirà sulle attività dei suoi destinatari; in via successiva, è necessario accertare che lo stesso atto sia stato adeguatamente implementato dalle amministrazioni competenti, abbia realmente ottenuto gli esiti previsti e apportato valore aggiunto.

Soprattutto, la verifica ex post è funzionale alla manutenzione dell’ordinamento, in quanto serve a valutare se le regole emanate, da un lato, siano ancora utili ovvero se, non essendo più attuali, intasino il panorama normativo e debbano essere eliminate; dall’altro, se richiedano modifiche o integrazioni che le rendano più efficaci. In questo senso, l’esame successivo rappresenta anche il momento iniziale di un nuovo e diverso intervento normativo, fondato sulle evidenze relative a quello precedente: è un processo circolare, definito come “ciclo della regolazione”.

Non a caso l’Ocse indica con lo stesso acronimo sia l’analisi ex ante che e la verifica ex post della regolazione (RIA, Regulatory Impact Analysis ma anche Regulatory Impact Assessment): “la classificazione ex ante ed ex post è effettuata soltanto per motivi espositivi poiché l’analisi ex ante deve basarsi necessariamente su studi ex post riferiti ai fallimenti dell’intervento di regolazione o sul suo costo eccessivo”. Ugualmente, la Commissione UE afferma che il processo di policy making è un ciclo, in cui la fase della valutazione finale non fa che introdurre il ciclo successivo, che si fonda sull’esperienza di quello precedente.

Per la manutenzione della regolazione sono stati elaborati diversi sistemi, in sede UE e negli ordinamenti nazionali.

In Gran Bretagna la Post Implementation Review (PIR) mira a valutare le policy dopo la loro attuazione, per stabilire se stiano ottenendo gli effetti ipotizzati. Nell’ottica del ciclo della regolazione la PIR ha, altresì, la funzione di verificare la correttezza della valutazione svolta a monte, nonché di fornire indicazioni sullo sviluppo futuro della politica intrapresa. Nel Regno Unito, il Department for Business Innovation and Skills (BIS) ha predisposto al riguardo un Impact Assessment Toolkit, ossia istruzioni per compiere valutazioni di impatto, le cui fasi vanno “formalmente prodotte e pubblicate”.

In sede UE, al fine di verificare se “il quadro normativo per un dato ambito di azione risulti adeguato all’obiettivo perseguito e cosa occorra eventualmente modificare”, nonché a individuare “gli oneri eccessivi, le incoerenze e le misure obsolete o inefficaci” che contribuiscono a determinare “l’effetto cumulativo della legislazione”, la Commissione europea ha innanzitutto previsto lo strumento del fitness check (Smart regulation in the European Union); successivamente, ha varato il programma REFIT, (Regulatory Fitness and Performance Programme), al fine di “eliminare i costi regolatori non necessari e assicurare che il corpo della legislazione dell’Unione europea rimanga appropriato allo scopo”.

Analogo per alcuni versi al fitness check della UE è la RAER, Retrospective Analysis of Existing Rules, introdotta negli Stati Uniti con l’executive order 13563 del 2011 (Improving Regulation and Regulatory Review) e disciplinata con due successivi memorandum: la REAR è funzionale a individuare insiemi di atti normativi strutturalmente connessi che, nel corso del tempo, si siano rivelati inefficaci e onerosi in modo ingiustificato per i destinatari; a fornire indicazioni sui miglioramenti possibili della legislazione vigente, anche sulla base dell’esperienza maturata; ad attuare un “processo continuo di scrutinio delle regole esistenti”.

Un’altra tecnica utilizzata, specie nei Paesi anglosassoni, per la manutenzione dell’ordinamento, affinché non sia gravato da norme non più attuali, è quella delle sunset rule: regole che, disciplinando esigenze di natura transitoria o situazioni destinate ad esaurirsi in un dato lasso temporale, “tramontano” a una determinata scadenza anziché restare in vigore indefinitamente. In pratica, ne viene disposta l’automatica abrogazione decorso un certo termine, a meno che non siano esplicitamente rinnovate, a seguito della valutazione dei risultati conseguiti e della perdurante attualità.

Questa soluzione, volta a evitare un sovraccarico regolatorio, pare risalga a Thomas Jefferson secondo il quale ogni legge, persino la Carta costituzionale, non doveva superare 19 anni di durata. Un esempio concreto di sunset provisions è fornito dal Patriot Act, in cui vennero inseriti termini di scadenza per evitare che norme di carattere emergenziale, in deroga a principi di libertà, diventassero definitive.

In Italia, tale tecnica è stata adottata nella legge Golfo-Mosca, in materia di quote di genere nei consigli d’amministrazione: nel 2022 esaurirà la sua efficacia, non in quanto avrà necessariamente raggiunto lo scopo prefissato, ma perché rappresenta una deroga al principio d’eguaglianza (formale) e, pertanto, non può che essere temporanea.

Un ulteriore metodo di manutenzione della regolazione è rappresentato dalle cosiddette clausole valutative (review clause), frequenti nell’esperienza statunitense e in sede UE, presenti anche in Italia a livello di normativa regionale: esse si concretano nella prescrizione esplicita, contenuta nel corpo di una disposizione, di verificare se quest’ultima necessiti si essere modificata o abrogata, a una certa scadenza. La valutazione diviene così parte integrante del processo di attuazione della norma contenente la clausola indicata: negli USA tale valutazione viene operata dal General Accounting Office, che si avvale di specialisti appositamente formati, di approcci metodologici e protocolli tecnici sperimentati.

Anche l’ordinamento italiano prevede uno strumento di manutenzione, che è teso (insieme all’AIR, analisi di impatto della regolazione, “valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo … mediante comparazione di opzioni alternative”, cui è funzionalmente connesso) ad assicurare la qualità della regolazione e consentirne la semplificazione: si tratta della verifica di impatto (VIR), consistente “nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi” sui destinatari pubblici e privati degli stessi.

Non serve essere esperti per capire l’importanza di AIR e VIR in termini non solo di certezza di diritto, ma altresì di trasparenza delle scelte politiche e di accountability dei governanti, tenuti ex ante a fornire una “motivazione leggibile delle scelte regolatorie” ed ex post a renderne conto. Eppure questi ultimi manifestano una forte resistenza alla valutazione di impatto, nonostante rappresenti – come visto – una fase essenziale per evitare che l’ordinamento sia appesantito da norme inutili, obsolete o non correttamente attuate, che i cittadini vengano gravati da oneri non necessari e le attività private limitate in maniera intrusiva.

Chi governa è, infatti, sempre più uso conferire ai propri provvedimenti – sebbene talora constino di meri annunci o di principi di carattere generale, ovvero non precisino obiettivi concreti e ne rimandino la determinazione ad altre sedi – una sorta di presunzione di efficacia: si reputa così legittimato a vantare i risultati delle politiche adottate senza fondarli su evidenze empiriche e correlazioni causali dimostrate, o almeno attendere che siano accertati, ma pretendendo atti di fede da parte della cittadinanza, le cui risorse ha peraltro utilizzato. Il fine ultimo è quello di evitare che la valutazione – preventiva e successiva – degli effetti di quelle politiche si traduca in un giudizio su chi le ha disposte e in un’eventuale conseguente sanzione elettorale.

Questo malvezzo finisce per impedire la necessaria manutenzione dell’ordinamento: ne deriva che ogni nuovo governante eredita la mole delle regole varate da quelli precedenti e – spesso per attestare il proprio attivismo e promuovere il consenso – ne aggiunge di nuove, alimentando quel monstrum normativo ipertrofico e caotico che è diventata la legislazione nazionale.

Un’efficace manutenzione della regolazione – come quella di un motore – richiederebbe di intervenire nel groviglio di un eccesso di prescrizioni spesso illeggibili, obsolete, inefficaci, stratificate o poco conciliabili con quelle precedenti, contraddittorie, fonti di incertezze e contenzioso, assimilabili per molti versi a certi “aggeggi sporchi di grasso”:* forse per questo il legislatore preferisce non sporcarsi le mani, limitandosi semmai a messe a punto minimali. Il sistema normativo, come “un disegno tecnico o meccanico o uno schema elettronico”*, consta di “complessi e noiosi elenchi di nomi, linee e numeri. Niente di interessante”* per i politici nazionali.

La valutazione ex ante ed ex post della regolazione, così come la manutenzione meccanica, è “tutta una questione di pezzi, di parti, di componenti e di rapporti. (…) Tutto deve essere misurato e dimostrato. È opprimente, pesante. Di un grigiore senza fine”:* per questo, probabilmente, i governanti italiani preferiscono evitarla.

“Una motocicletta funziona in totale accordo con le leggi della ragione, e uno studio dell’arte della manutenzione della motocicletta è veramente uno studio in miniatura dell’arte della razionalità stessa”.* Lo stesso può dirsi per l’arte della manutenzione della regolazione. Peccato che della razionalità, da qualche tempo, nel Belpaese si siano perse le tracce: per la regolazione, e non solo, è del tutto evidente.

Twitter @vitalbaa

*da “Lo Zen e l’Arte della Manutenzione della Motocicletta”, R. M. Pirsig