Modesta proposta: una via europea per salvare le banche

scritto da il 27 Gennaio 2016

La recente crisi di quattro istituti ha riproposto all’attenzione generale il problema dei crediti deteriorati del sistema bancario italiano e i rischi del bail-in. Ma come si può risolvere il problema rispettando i vincoli europei e, soprattutto, senza aggravio del debito pubblico?

Sul Sole 24 Ore si sono già lette diverse proposte per riuscire a sollevare il macigno che grava sul bilancio delle banche italiane. C’è la proposta di Zingales per creare una specie di TARP, un programma sul modello di quello del Tesoro USA, che ha comprato o garantito mutui e strumenti finanziari basati sui mutui per quasi 500 miliardi di dollari. C’è quella di Carnevale-Maffé e De Benedetti di fare un bail-in “morbido” , cioè di convertire i crediti di obbligazionisti subordinati e ordinari in capitale bancario, con una operazione di “debt to equity” volta a ristabilire coefficienti patrimoniali solidi.

Il principale problema è però che se nell’attivo dello stato patrimoniale i crediti delle banche sono iscritti per 100 ma valgono 20, nel passivo qualcuno prima o poi deve per forza avere i propri crediti o capitali ridotti di conseguenza, oltre al problema di dover dotare le banche di sufficienti capitali freschi perché continuino la loro operatività.

Un intervento statale, con una massa di NPL, cioè di crediti bancari deteriorati, che si avvicina al 20% del PIL italiano, è sinceramente complicato, non solo per via della normativa UE contro gli aiuti di Stato, ma per la mancanza di spazio fiscale, considerato l’impatto sul totale del debito pubblico. Questo porterebbe l’Italia a dover chiedere un intervento dell’ESM, il fondo salva-Stati europeo, per la ristrutturazione del sistema bancario, sulle orme di quanto già fatto dalla Spagna nel 2012/13.

Ma se invece di intervenire Stato per Stato – considerato che non sono solo le banche italiane ad avere problemi, basti pensare ad alcuni istituti francesi, come il Crédit Agricole, o anche tedeschi (la grande Deutsche Bank non è certo in splendida forma, per non parlare delle banche regionali) – si pensasse ad ampliare leggermente lo scopo dell’ESM per farlo intervenire direttamente nel capitale delle banche, in coordinamento con la neonata vigilanza della BCE?

L’ESM potrebbe quindi diventare azionista, quasi sempre di riferimento, delle banche con problemi a ricapitalizzarsi sul mercato, risanarle con la collaborazione della vigilanza BCE e delle banche centrali nazionali, finanziarsi con emissione di bond con buon rating, fra l’altro acquistabili tramite QE dalla BCE, e un domani rivendere sul mercato quelle partecipazioni.

I vantaggi sarebbero plurimi:

– il risanamento, gravando su un fondo sovranazionale, non peserebbe sulla situazione fiscale nazionale, rompendo il legame perverso fra banche insolventi e debito pubblico e quindi anche fermando le fughe di capitali dai Paesi senza spazio fiscale a quelli che si possono permettere (in teoria) di salvare le loro banche.

– La mancanza di condizionalità fiscali nazionali all’intervento dell’ESM disincentiverebbe gli Stati e le banche centrali a “nascondere la polvere sotto il tappeto” finché la situazione è talmente compromessa da essere difficilmente gestibile.

– Agevolerebbe aggregazioni creditizie a livello europeo favorendo il consolidamento del mercato unico dei capitali dell’eurozona, favorendo la trasmissione delle politiche monetarie della BCE.

– Essendo l’ESM ad avere la diretta partecipazione nelle società bancarie si ridurrebbero le diffidenze “politiche” a salvare con soldi del Paese X le banche del Paese Y.

– Il board dell’ESM, dove sono rappresentati i Paesi della zona euro, secondo il peso che hanno nella BCE, sarebbe sia decisore che garante dei nuovi organi sociali delle banche, tagliando, ove esistano, legami attualmente non chiari fra banche e politica nazionale.

– Sarebbe possibile ridurre il ricorso al bail-in a casi sporadici e comunque limitandolo ai soli strumenti finanziari surrogati del capitale (cioè le obbligazioni subordinate) ricreando fiducia nella solidità del sistema bancario europeo nel suo complesso e rafforzando quindi le basi dell’economia dell’Eurozona, con ovvi risvolti positivi sugli investimenti.

Certo, la maggiore controindicazione sarà che alla politica nazionale dei vari Paesi difficilmente piacerà non avere più le banche sotto il suo “benevolo ombrello”. Ma, visti i risultati di questi ultimi anni, sarebbe proprio una male?

Twitter @AleGuerani