Sharing economy, in Italia siamo ancora alle fondamenta (e cosa fare)

scritto da il 09 Febbraio 2016

Pubblichiamo un post di Alessandro Notarbartolo, fondatore (2013) del social network Tabbid.com, piattaforma in crescita nel mercato dei microlavori. Alessandro vive a Milano e ha 41 anni. Ha da sempre la passione per il mondo social e con il tempo ha acquisito gli skill necessari approfondendo le sue competenze in Marketing ed Economia europea presso l’Università Statale

SHARING ECONOMY: IN ITALIA SIAMO ANCORA ALLE FONDAMENTA

di Alessandro Notarbartolo

La rivoluzione globale iniziata negli Stati Uniti con le prime piattaforme come TaskRabbit e Airbnb, proseguita poi in tutti i paesi ritenuti avanzati da un punto di vista “social”, purtroppo non ha avuto, fino ad oggi, così tanta evidenza in Italia. In realtà qui da noi siamo ancora nella fase di costruzione delle fondamenta.

Stiamo parlando della sharing economy, un fenomeno che si basa sulla condivisione di beni, delle competenze e di tutto ciò che porta valore agli utenti di una determinata community.

La sharing economy, o consumo collaborativo, rappresenta un vero e proprio modello economico alternativo. Ha come fine quello di produrre profitto per le piattaforme che lo utilizzano e valore (anche sociale) per le persone che partecipano alla condivisione di beni e servizi.

In Italia siamo difronte a un gap culturale. Serve tempo affinché le persone maturino l’adozione degli elementi fondamentali alla base della sharing economy. Che sono:

1) fiducia verso gli altri utenti;

2) connessione tra il mondo on line e quello off line;

3) approccio alternativo per la soddisfazione di un bisogno.

Per rendere bene l’idea siamo ancora in una fase paragonabile a quella delle chat con il nickname rispetto a quella che poi si è sviluppata successivamente con Facebook, in cui gli utenti del più famoso social network affermano la loro presenza on line con il proprio nome e cognome.

Ecco, questa è la fase in cui si trova la sharing economy in Italia, una fase in continua evoluzione, di sicuro conseguenza di ciò che accade oltreoceano e che si sta preparando, seppur lentamente, a una vera diffusione.

Ci sono piattaforme italiane che interpretano correttamente questa fase di sviluppo, in cui si trova il nostro Paese, con un continuo push d’entusiasmo e che di certo rappresentano al meglio il nuovo modello economico:

– Gnammo è il primo social network gastronomico, grazie al quale chi ama cucinare può incontrare chi ama mangiare. La tavola rappresenta il più antico luogo di ritrovo sociale e i ragazzi di Gnammo lo hanno reso fruibile con un semplice click. E’ l’esempio più significativo di sharing economy applicata al food.

– Zego è la startup del carpooling urbano istantaneo, presente in quattro città (Milano, Torino, Genova e Padova) e con una forte espansione soprattutto a seguito del blocco legislativo di UberPop. La caratteristica interessante di Zego è che le persone contrattano e stabiliscono tra di loro il prezzo della corsa.

– GiveAway, creata da IQUII, è un’app innovativa che permette alle persone di creare valore attraverso il dono. L’app consente ai suoi utenti di donare le cose non utilizzate e che possono essere così riusate da altre persone in grado di dare maggior valore all’oggetto dismesso. Il guadagno è sia per chi regala che per chi riceve.

Il grande sforzo che bisogna fare per diffondere la sharing economy nel nostro paese è quello di applicare una comunicazione che arrivi alle masse, comprensibile dalle persone comuni e non solo dagli addetti ai lavori. Questo rappresenta un must per mettere in moto questo nuovo modello che fino ad oggi è stato patrimonio solo per pochi. I veri propulsori dell’economia collaborativa, invece, sono la famiglia italiana, l’uomo comune, il vicino di casa. Se questi tre soggetti hanno ben chiaro il concetto di sharing economy come alternativa per la soddisfazione di un bisogno (inclusi i vantaggi di valore e di risparmio) allora possiamo essere sicuri del fatto che il fenomeno si svilupperà velocemente.

Nel caso di Tabbid, il social network dei lavoretti, il salto di qualità è avvenuto nel momento in cui il concetto di economia collaborativa, intesa come modalità di fruizione delle competenze di altri, è giunto alle persone comuni mediante una comunicazione molto semplice e comprensibile. La piattaforma è passata da un centinaio di visite al giorno fino ad arrivare a picchi di 6000/8000 visitatori unici giornalieri. Rimane ancora tanto da fare e da sviluppare ma il dato è davvero significativo.

Il momento della vera partenza della sharing economy italiana si avvicina, ma per far sì che diventi un fenomeno vero dobbiamo guardarla, analizzarla e adeguarla alla nostra cultura. Solo allora gli innumerevoli articoli che giornalmente trattano l’argomento smetteranno di menzionare le piattaforme americane e si dedicheranno a quelle made in Italy.

Twitter @notarbart