E se i cinesi si comprano il Milan? Chi ci guadagna?

scritto da il 28 Aprile 2016

Ammetto di non essere un esperto di calcio. Ma riconosco che il calcio, come pochi altri sport di gruppo, è utile. Non mi riferisco alla disciplina in sé come pratica di allenamenti e vita sana. Mi riferisco al soft power degli sport di squadra.

Ai vecchi tempi si usavano i gladiatori. Poi, anche per una questione di decoro, è stato necessario adottare altre soluzioni. E così gli americani hanno il football (bestioni corazzati che si affrontano in un arena) seguito dal più moderato baseball e, ovviamente, il basket. Noi europei, con i sudamericani, abbiamo il football. Il Regno Unito (e le sue ex colonie) ha il cricket. Invece la Cina, potenza economica ormai emersa più che emergente, non si può dire che possa vantare, ancora, un vero sport nazionale di squadra. Qualcosa che permetta alla gente di emozionarsi, eventualmente di stare lontano dalle strade (meglio una partita di calcio che proteste in piazza, da qualche tempo aumentate causa malcontento sui livelli salariali e perfino disoccupazione), magari piazzare qualche scommessa (i cinesi adorano scommettere).

E allora guardiamo un po’ ai numeri in casa del Dragone per capire se il calcio ha chance di successo oppure no.

A Nanchino, per esempio, abbiamo il Nanjing Olympics Stadium, 62mila posti. I biglietti venduti sono aumentati del 172 per cento negli ultimi cinque anni e ora i tifosi sognano il primo campionato nazionale. Chi c’è dietro? Il Suning Commerce Group, in trattativa ormai dichiarata per acquisire una quota significativa dell’Inter. Con un fatturato annuo di circa 14 miliardi di euro, oltre 1600 negozi in franchising, Suning è un colosso dell’elettronica di consumo (che le fabbriche cinesi hanno bisogno di vendere per tenere su di giri la domanda interna). Nel 2015 si compra il Jiangsu Sainty per 73 milioni di euro, dà il proprio nome al club e si prepara a investire nel prossimo business cinese: il calcio.

Oggi i club della Chinese Super League sono tutti proprietà di grandi gruppi nazionali (spesso legati al mercato immobiliare che tanto lavoro dà agli operai edili…): Guangzhou R&F Properties (immobili) è proprietario del Guangzhou R&F Football club; Aerbin Group possiede il Dalian Aerbin Fc; Greenland Holding Group Company Limited controlla lo Shanghai Greenland Shenhua Fc; Shijiazhuang Yongchang Junhao Fc è di proprietà del gruppo Yongchang Real Estate Development Group; China Fortune Land Development possiede l’Hebei China Fortune Fc; l’Henan Jinaye Group (immobili specialmente nella provincia di Henan) gestisce l’Henan Jianye Fc, team sponsorizzato da un altro colosso degli immobili, la Central China Real Estate Limited.

Agli immobiliaristi si sono aggiunti anche altre realtà: lo Shandong Luneng Taishan Fc è della Shandong Luneng Group, una controllata della State Grid Corporation of China, la più grande società elettrica al mondo, con un fatturato che supera i 330 miliardi di dollari (di proprietà del governo cinese); Shanghai International Port Group (società che controlla il porto di Shanghai, il più grande attracco commerciale dell’intero continente asiatico, che tanto lavoro dà alle maestranze cinesi…) controlla lo Shanghai SIPG Fc; il Beijing Guoan Fc è di Citic Group (China International Trust and Investment Company), dove la quota di maggioranza è (indovinate?) della Repubblica popolare cinese, ovvero, tanto per cambiare, dello Stato. Last but not least, Alibaba, gigante del commercio online, nel 2014 ha rilevato il 50% della proprietà del Guangzhou Evergrande per 140 milioni di euro.

evergrande

L’interesse di questi gruppi per il calcio è come dire “figlio” di Xi Jinping: poco dopo la sua nomina a presidente approva la proposta di legge del ministro dello sport, Liu Peng, per favorire l’ingaggio di grandi campioni riducendo quasi a zero la pressione fiscale sulle società sportive. Nel 2014 rilancia il settore giovanile, dando impulso all’apertura di centri calcistici e il via a corsi di formazione per circa seimila allenatori. Nel 2015 il calcio entra nei programmi scolastici sin dalle elementari e diventa una disciplina come tutte le altre, valutata nel rendimento. Il ministero dell’Educazione invierà ispettori per monitorare i progressi dei diversi istituti nella promozione del football tra gli alunni.

Per Xi Jinping “il calcio è qualcosa di imprescindibile per fare della Cina una nazione di vertice nel panorama sportivo internazionale”. Il suo obiettivo è organizzare una fase finale della Coppa del Mondo. Segnalo al proposito un libro molto interessante che spiega la “passione” politica della Cina per il calcio (come panacea per la popolazione).

Ora i cinesi vanno a fare shopping all’estero.

Il Wanda Group di Wang Jianling si è preso poco più di un anno fa il 20% dell’Atletico Madrid sborsando 52 milioni di dollari. Nel 2015 ha anche acquistato per 1,05 miliardi di euro la Infront Sports & Media, società leader nel marketing sportivo, con sede a Zug (paradiso fiscale meglio di Panama), in Svizzera, il cui presidente è Philippe Blatter, nipote dell’ex numero uno della Fifa (i casi della vita, si potrebbe dire). La società possiede i diritti internazionali di 25 discipline sportive ed è partner della Fifa, dei campionati tedesco e italiano e di squadre come Inter, Milan e Werder Brema.

Nel 2015 la United Vansen International Sport, base a Pechino, si compra il club olandese Ado Den Haag. Rastar Group, invece, ha il 58% dell’Espanyol, seconda squadra di Barcellona, e nel suo piccolo perfino il Pavia, club di Lega Pro (la ex serie C), è dell’imprenditore Xiadong Zhu.

E, finalmente, torniamo ai grandi club italiani. All’Inter abbiamo accennato, tocca al Milan. Perché ci dovrebbe interessare? Beh, chiedetelo al Silvio nazionale. A quanto pare Berlusconi potrebbe infine decidere di cedere il club rossonero (in crisi di bilancio e risultati da un quinquennio) a un non ben identificato “gruppo di investitori cinesi” che, secondo indiscrezioni, sarebbe guidato dal Ceo di Alibaba, Jack Ma (il quale ha fatto dell’ironia sulla questione, raffreddando gli entusiasmi, con un post sul social network Weibo). Non penso sia necessario ribadire che i grandi gruppi cinesi non muovono un dito in Cina (e all’estero) se non hanno l’ok del partito.

Quanto a noi italiani, sarebbe ora di cedere ai cinesi non solo il Milan ma anche diversi altri club. Riporta la Gazzetta dello Sport che “12 dei 19 club sportive più importanti sono in rosso”. Il bello è che noi italiani siamo conosciuti nel mondo anche per il calcio. Quindi vendendo i nostri club (nostri? Miei no di certo) potremmo ulteriormente ampliare la brand awareness (insomma il concetto di “amiamo l’Italia, nazione che ha la pasta, la Ferrari, il calcio e molto altro ancora”) e far sì che nel mondo i nostri prodotti, servizi e quello che la nostra nazione offre, possano crescere di valore (o percezione di valore). Un bel vantaggio per la bilancia commerciale, soprattutto alla voce export.

Twitter @enricoverga