Perché il Sud non è la Germania dell’Est

scritto da il 03 Maggio 2016

Ogni volta che un presidente del Consiglio si reca al Sud, sulla scia dei suoi predecessori, si sente parlare di nuovi piani di sviluppo, di investimento, di stanziamenti per infrastrutture e via dicendo.

L’ultima in ordine cronologico è la visita di Matteo Renzi a Reggio Calabria, nel museo che ospita i meravigliosi Bronzi di Riace. Firmato nell’occasione il Patto per la Calabria con il presidente della Giunta calabrese Mario Oliverio (valore 7,5 miliardi di euro), che segue il Patto per la Campania (circa 10 miliardi di euro) e che precede il Patto per la Sicilia (da circa 12 miliardi di euro). Il tutto (anche i patti per le altre regioni meridionali) è parte del disegno complessivo del Masterplan per il Mezzogiorno lanciato dal Governo nel novembre 2015.

Che sia la volta buona per cercare di ridurre l’ormai ultra-secolare gap Nord-Sud? Non semplice da credere.

Chi beneficia principalmente degli investimenti pubblici al Sud?

Non si può mettere in dubbio che il Mezzogiorno necessiti di un ammodernamento delle sue infrastrutture e che avrebbe bisogno di tanta spesa pubblica per cercare di sistemare alcuni parametri decisivi per una crescita economica. Ci sarebbe davvero bisogno di opere stradali, portuali, aeroportuali, banda larga e tanto altro.

Quando si parla dei ritardi del Sud e dei rimedi per invertire la rotta, l’esempio spesso richiamato è quello della Germania dell’Est post-riunificazione. Un recente rapporto dell’Aspen Institute prova a ricostruire analogie e differenze, evidenziando che mentre nel 1991 il Mezzogiorno italiano si trovava in una situazione migliore rispetto alla Germania Orientale che era uscita distrutta dai disastri del comunismo, sin dal 1993 si verificò un sorpasso dei Länder orientali sia in termini di PIL pro-capite, sia di occupazione. Nel 1991 il PIL pro-capite della Germania dell’Est era di poco superiore al 30% rispetto a quello dell’Ovest, due anni dopo superava il 60%, fino ad avvicinarsi al 70% negli ultimi anni. Nel frattempo lo stesso parametro del Meridione italiano è rimasto sostanzialmente stabile, di poco superiore al 50% rispetto al dato del Nord-Italia.

A fare la differenza nella risalita delle regioni tedesche orientali sono stati sicuramente gli ingenti trasferimenti pubblici nazionali ed europei (circa 2.000 miliardi di euro tra il ’91 e il 2011). Pur non rappresentando l’unico fattore di sviluppo, sicuramente i fondi hanno aiutato notevolmente la crescita del territorio e l’avvicinamento agli standard dell’Ovest. Non altrettanto successo hanno sortito invece i  fondi nazionali e comunitari destinati al Meridione, dalla celebre Cassa del Mezzogiorno in poi (circa 230 miliardi di Euro fino al 1993, quasi il doppio se arriviamo ai giorni nostri).

Se i trasferimenti di denaro ci hanno fin adesso consegnato – ad esempio – una Calabria con un tasso di disoccupazione generale del 23% e una disoccupazione giovanile del 65% (dati Eurostat), perché dovremmo credere che questa volta sarà diverso?

Non è una questione di lotta tra Keynesiani e anti-Keynesiani, nel Mezzogiorno è differente e sono quasi sempre i medesimi soggetti che riescono ad approfittare delle risorse pubbliche che arrivano nel territorio.

Lo scriveva chiaramente, tra gli altri, Giovanni Falcone nel 1991. Insegnamenti troppo spesso dimenticati: «Parlando dei guadagni della mafia, non possiamo dimenticare gli appalti e i subappalti. Mi chiedo anzi se non si tratta degli affari più lucrosi di cosa Nostra. Il controllo delle gare di appalto pubbliche risale a molte decine di anni fa, ma oggi ha raggiunto dimensioni impressionanti. Non importa se l’impresa che si è aggiudicata i lavori sia siciliana, calabrese, francese o tedesca: quale che sia la sua provenienza, l’impresa che vuole lavorare in Sicilia deve sottostare a talune condizioni, sottostare al controllo territoriale della mafia».

Ancor più significativo ai fini del presente post il seguente passaggio: «Siamo giunti al punto che qualsiasi intervento economico dello Stato rischia soltanto di offrire altri spazi di speculazione alla mafia e di allargare il divario tra Nord e Sud. Lo stesso dicasi dei contributi a fondo perduto. Soltanto una politica di incentivazione, purché ben gestita, può ottenere a mio avviso effetti positivi»[1].

E quanto sostenuto a chiare lettere dal Giudice assassinato, ha trovato conferme anche nelle ricerche empiriche. In un recente working paper pubblicato dalla Banca d’Italia l’autore[2], oltre a dare evidenza dell’impatto negativo della criminalità organizzata sulla crescita e sullo sviluppo economico del territorio coinvolto, sostiene che la spesa pubblica nel Meridione può rappresentare un’opportunità di profitto per le mafie, capaci di falsare le gare pubbliche e la concorrenza, oltre che di far lievitare i costi per i bilanci degli Enti locali.

Risulta quindi chiaro che sussiste un deficit di legalità che allontana nettamente il caso del Mezzogiorno italiano da quello della Germania dell’Est (la quale resta comunque ancora distante dall’Ovest nonostante i miliardi spesi). Se non si riduce questo spread, non basteranno fiumi di denaro per far ripartire il Sud. Di contro, in un contesto come quello meridionale, più soldi pubblici transitano, maggiori saranno le possibilità di arricchimento per le casse delle mafie e di qualche politico/funzionario pubblico corrotto.

Su questo campo Matteo Renzi ha parlato di priorità del Governo, promettendo battaglia alla criminalità e sostegno alla magistratura. Valuteremo i risultati, a cominciare dai nuovi poteri all’Anac presieduta da Raffaele Cantone previsti dal nuovo codice degli appalti.

Ma sull’altro campo, quello della «politica di incentivazione» di cui scriveva Falcone, si potrebbe invece far qualcosa?

Incentivi fiscali e costo del lavoro  

Se gli investimenti pubblici sono attesi da molti come una conditio sine qua non per far ripartire il Meridione, è anche dovuto al fatto che gli investimenti privati latitano. Ma non potrebbe essere altrimenti. Perché un imprenditore italiano o estero dovrebbe investire il suo denaro in un territorio caratterizzato da alta illegalità, pubblica amministrazione inefficiente e, perfino, disincentivi fiscali? Nonostante nel Mezzogiorno la produttività del lavoro sia infatti minore rispetto a quella del Settentrione, il costo del lavoro non riflette questa differenza. Questo è un elemento distorsivo evidente, che scoraggia gli imprenditori di tutta la Penisola.

Ma ci sono anche altre storture macroscopiche. Nel caso della Calabria, ad esempio, a causa dei disavanzi nel settore della Sanità le addizionali Irap e Irpef sono alle stelle. Le inefficienze e gli sprechi del settore pubblico vengono fatti pagare al settore privato.

Per attrarre investimenti privati e per aiutare le imprese del territorio dovrebbe essere economicamente più conveniente fare impresa al Sud piuttosto che nel resto d’Italia, ma nella realtà accade il contrario.

“Cosa fare” resta sempre la domanda regina. Forse si dovrebbe discutere senza faziosità di politiche similari a quelle infelicemente chiamate “gabbie salariali”. In Italia sono un tabù (non completamente a torto), ma quantomeno si discuta seriamente di come poter ridurre tangibilmente il costo del lavoro nel Mezzogiorno, perché non ci sarebbe modo migliore per dare seguito a quell’idea di “incentivazione” a cui accennava il giudice Falcone.

Anche i finanziamenti europei dovrebbero essere finalizzati a questo obiettivo, consentendo al Sud di rimettersi in moto ripartendo dal lavoro, non dall’assistenzialismo politico-mafioso diventato con il tempo elemosina.

Twitter @frabruno88

 

[1] Cit. da Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, “Cose di Cosa Nostra”, Cap. V “Profitti e perdite”, 1991.

[2] Pinotti Paolo, “The economic costs of organized crimes: evidence from southern Italy“, Banca d’Italia – Working Papers