Perché la blockchain può rivoluzionare anche il mondo delle professioni

scritto da il 29 Giugno 2016

È vero, il progresso tecnologico ha fatto passi da gigante. Oggi basta un click, qualche secondo e … wow, eccoci connessi. Ma connessi con chi o meglio con cosa?

Oggi il termine connesso è super inflazionato ma dovremmo usarlo in maniera appropriata e soprattutto all’occorrenza. In realtà siamo connessi con il mondo, il che semplicemente significa che siamo informati a prescindere da qualsiasi distanza geografica. Siamo in grado di essere collegati in qualsiasi parte del mondo e di avere aggiornamenti su qualsiasi fronte. Viviamo costantemente portando nella nostra routine un oggetto tecnologico, talvolta in tasca, talora in borsa, ma in ogni caso non ce ne separiamo mai. Sembra che sia l’accessorio indispensabile senza il quale ci sentiremmo sperduti, disorientati.

È pur vero che continuano ad esserci e ci saranno sempre i tradizionalisti, conservatori, amanti del passato ma sicuramente oggi siamo molto meno restii ad accettare le innovazioni. La verità è che, nolenti o volenti, viviamo nell’era della rivoluzione tecnologica e in fondo gli apparteniamo senza riserve. Siamo andati così avanti che sembra quasi impossibile poter recuperare il passato. Forse ne resta ancora qualche ricordo nascosto in uno dei tanti cassetti della nostra memoria che ogni tanto ci viene voglia di rispolverare.

Il mondo sta cambiando e noi dobbiamo esserne coscienti.

La tecnologia ha già cambiato radicalmente il mondo della finanza, mettendo in crisi le banche e il loro ruolo di sovrane indiscusse. Se la parola connessi oggi è estremamente abusata, è innegabile come la seconda parola più in voga negli ultimi tempi sia “fintech”, dapprima una novità, oggi quasi una realtà diffusa.

Ma cosa succede se la tecnologia decide di invadere anche il mondo degli “azzeccagarbugli”?

Tra i portavoce di tale movimento di cambiamento vi è sicuramente la tecnologia blockchain, il protocollo su cui si basa anche la moneta Bitcoin.

“Gli elementi che hanno reso la blockchain una novità di interessante rilievo in ambito finanziario – sostiene Biancamaria Rossi, del Bitcoin Luiss Lab – e che negli ultimi tempi la stanno rendendo molto attraente anche sul versante legale, sono principalmente l’eliminazione di terzi intermediari, l’impossibilità di modificarla e la pubblicità dei dati: infatti la blockchain può essere definita come un registro pubblico decentrato, nel quale vengono registrate tutte le transazioni avvenute utilizzando bitcoin. Ma in realtà questo è solo uno dei tanti risvolti pratici della blockchain. Ciò che rende le implicazioni di tale tecnologia ancora più significative è il fatto che essa possa essere utilizzata come registro in cui inserire qualsiasi tipo di informazione e di conseguenza anche un contratto, un atto o un certificato, evitando da un lato l’intermediazione di terze parti, come la banca, il notaio o l’avvocato e mantenendo, dall’altro lato, le garanzie di certezza e pubblicità”. In Spagna, la certificazione di un documento costa in media 250 euro. Grazie alla blockchain, qualsiasi tipo di dati può essere certificata a partire da 20 centesimi, che è un taglio dei costi del 99,9% rispetto ai costi di un notaio, presentando lo stesso grado di affidabilità.

Che significa tutto ciò? Sicuramente innovazione e cambiamento.

E i cambiamenti più incisivi e significativi si stanno verificando proprio sul fronte dell’attività notarile e legale, un settore destinato ad essere ripensato completamente.

La startup italiana Eternity Wall è tra le pioniere in questo ambito e tramite il servizio Notarize è già possibile sfruttare la blockchain per garantire la certezza delle date e l’integrità dei documenti, in maniera gratuita.

Ma che le funzioni notarili possano essere facilmente replicate e sostituite dalla tecnologia, in fondo si è sempre saputo. Ora la grande novità riguarda invece gli avvocati, il nocciolo duro del settore legale. Sembra che la tecnologia voglia perlomeno scuoterli dal loro tradizionale torpore.

Sarà veramente possibile? Ancora non possiamo dirlo.

In realtà sembra che il futuro della professione legale sia iniziato almeno 20 anni fa, proprio agli esordi del boom tecnologico.

Jay Leib, direttore delle vendite di software per la Record Technologies, si occupava di trovare soluzioni per analizzare ed organizzare i documenti per i clienti in apposite banche dati. La spinta al cambiamento si manifestò quando arrivarono i documenti relativi ad una causa con Microsoft. Leib pensò che fosse tutto uno spreco di tempo e carta. Così lui e il suo socio in affari, Dan Roth, decisero di creare un programma che avrebbe aiutato gli avvocati a gestire i documenti elettronici per il contenzioso. La loro idea li ha portati ad acquistare un programma di ricerca elettronica. Entro il 2000, Leib e il suo partner, Dan Roth, hanno lanciato la propria creazione, Discovery Cracker.

“Gli avvocati avevano bisogno di strumenti per tenere il passo con i tempi”.

Nel 2013, Leib e Roth hanno così fondato NexLP, una società che utilizza l’intelligenza artificiale per analizzare i dati e identificare i comportamenti. Viene utilizzato il sistema del cosiddetto pattern recognition. Si tratta sostanzialmente di un metodo che consente di riconoscere a prima vista i problemi, nel momento stesso in cui stanno accadendo, capace di individuare da subito le anomalie e i documenti sui quali ci si dovrà focalizzare.

L’intelligenza artificiale sta quindi cambiando il modo in cui gli avvocati pensano, il loro modo di fare business e il modo in cui interagiscono con i clienti. Si tratterà di un cambiamento radicale e rivoluzionario che costringerà i professionisti del settore legale a ripensare il loro modus operandi.

In realtà ciò su cui si è concentrato Leib non ha riguardato tanto l’analisi di dati quanto la possibilità di adottare misure preventive tra cui la previsione dell’esito del contenzioso e la misurazione dei flussi di lavoro in tempo reale. La sua azienda utilizza un sistema di codice capace di apprendere dai documenti esaminati gli elementi più rilevanti in maniera tale da poter prevedere poi anche i risultati futuri.

Roth ha invece contribuito a sviluppare la tecnologia che può trasformare le informazioni ricevute in storie. Si tratta di Story Engine, un programma in grado di leggere i dati non strutturati e riassumere le conversazioni, comprese le idee discusse, la frequenza della comunicazione e lo stato d’animo delle persone che parlano.

Un altro fronte verso il quale sta marciando la tecnologia nel mondo legale è sicuramente quello della capacità di previsione dell’esito futuro del contenzioso. Nel 2014, Daniel Martin Katz, professore del Chicago-Kent College of Law, successivamente presso la Michigan State University, insieme ai suoi colleghi ha creato un algoritmo per prevedere gli esiti dei casi della Corte Suprema degli Stati Uniti. Ha raggiunto circa il 70% di precisione su 7.700 sentenze, dal 1953 al 2013. Se l’adozione di tale algoritmo divenisse globale, le conseguenze sarebbero sorprendenti: si finirebbe con il ridurre o addirittura con l’eliminare totalmente il rischio di potenziali sconfitte.

Maggiore efficienza, rapidità, oggettività e capacità di prevedere il futuro esito della controversia. Queste sono alcune delle mete verso le quali sta navigando l’evoluzione tecnologica in ambito legale. Ma non solo. Come se già tutto ciò non bastasse, sembra che l’intelligenza artificiale possa spingersi ancora oltre in questo settore.

Il nuovo obiettivo del progresso tecnologico infatti non è tanto quello di agevolare e trasformare la professione legale quanto destituire gli avvocati del loro ruolo tradizionale. Di sicuro ora vi starete chiedendo come. La risposta è: attraverso un software.

Dentons, uno studio legale affermato in tutto il mondo, ha infatti creato NextLaw Labs, una sussidiaria indipendente progettata per rivoluzionare il settore legale attraverso l’innovazione. Finora i loro piani stanno funzionando: Il Financial Times ha riconosciuto Dentons come il più lungimirante studio legale d’America, lo scorso anno.”Quello che mi ha attirato è l’opportunità di reinvenzione”, ha dichiarato Dan Jansen, CEO di NextLaw Labs.

Tra i progetti di NextLaw Labs sicuramente si distingue il progetto Ross Intelligence. Si tratta di un software basato sulla tecnologia di IBM che soffre soluzioni innovative nel mondo legale. Ideato da Andrew Arruda e Jimoh Ovbiagele, Ross Intelligence utilizza il sistema di calcolo cognitivo per migliorare la ricerca giuridica. Gli utenti chiedono questioni giuridiche in inglese e Ross ricerca la legislazione, la giurisprudenza e le fonti secondarie. “Siamo decisi a lavorare con gli studi legali innovativi che hanno visto il futuro e vedono qualcosa di grande”, dichiara Andrew Arruda.

“L’obiettivo di Ross in realtà non è sostituire gli avvocati, ma consentire loro di fare di più di quanto non fossero in grado di fare prima”, dice Arruda.

E sembra che Ross abbia già trovato lavoro. Recentemente infatti è stata pubblicata la notizia relativa all’assunzione di Ross presso BakerHostetler, una società con più di 900 avvocati che sta utilizzando il software per le materie di diritto fallimentare. “A BakerHostetler crediamo che le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, possano aiutare a migliorare i servizi che forniamo ai nostri clienti,” ha dichiarato il chief information officer, Bob Craig.

Ma se allora gli avvocati devono mettersi nuovamente in discussione, è impensabile che ciò possa avvenire senza che tale opera di re-building non riguardi anche i loro strumenti di lavoro. E la tecnologia ha già trovato una soluzione al riguardo. Si tratta dei cosiddetti smart contract.

Nonostante il nome riconduca al termine “contratto”, non stiamo parlando propriamente di contratti in senso legale. Gli smart contract sono più simili a dei software, pensati per automatizzare parte degli intenti che i contratti vorrebbero garantire, offrendo garanzie diverse.

L’immutabilità ereditata da Bitcoin e, più in generale, dalla blockchain viene infatti utilizzata per forzare l’esecuzione di alcune semplici logiche “contrattuali”, senza la possibilità, per un ente terzo, di manipolare o comunque interferire nella loro esecuzione.

Più nel concreto, alcuni smart contract che trovano già applicazione permettono di offrire prodotti nuovi e prima impensabili: da semplici promesse irreversibili di pagamento in data futura a più complesse assicurazioni peer-to-peer, prive di intermediari.

La perfezione matematica della blockchain non lascia spazio all’imperfezione intrinseca dei dati del mondo reale, che tipicamente sono parte imprescindibile dei termini contrattuali.

L’interesse per questa nuova tecnologia sta coinvolgendo non solo la vibrante sfera delle startup fintech, ma anche le più tradizionali banche e assicurazioni e le startup di nuova generazione che tentano di puntare sul legaltech.

La piattaforma che maggiormente si è addentrata nella sperimentazione di tale materia è Ethereum. Pur essendo nata da poco, il fermento che ha suscitato è notevole. Basti pensare al recente record stabilito dal cosiddetto smartcontract “theDAO”, il quale, implementando la logica di un semplice fondo di investimento, ha raccolto circa 150 milioni di dollari nell’arco di pochi giorni, diventando così l’esempio di crowfunding di maggior successo nella storia.

Se da un lato l’immutabilità di questa nuova tipologia di contratti può ravvivare gli entusiasmi di molti, dall’altra è necessario mantenere la dovuta cautela per evitare di inciampare nelle inevitabili insidie alle quali i cosiddetti “first mover” da sempre sono soggetti. Proprio con riferimento al “theDAO”, occorre dire che un errore nel codice dello smart contract ha provocato un utilizzo imprevisto dai partecipanti, ma formalmente previsto dal codice. Il “furto” (se di furto possiamo parlare) di oltre 50 milioni di dollari presenti in questo fondo di investimento decentralizzato non è stato causato da problemi alla blockchain in sé, quanto all’immaturità dello strumento, che ha dimostrato di non essere pronto a gestire logiche così complesse.

Non si può, tuttavia, non prendere coscienza di come il legaltech stia conquistando territori sempre più vasti, facendo vacillare le certezze del tradizionale sistema giuridico di fronte alla perfezione matematica della blockchain.

Non si tratta di idee visionarie, bensì di un processo tecnologico in continua evoluzione che cerca di trovare le risposte per le domande del futuro in un adeguato bilanciamento di interessi. È una storia in divenire e sta a noi scegliere se esserne gli autori o gli spettatori.

Hanno contribuito all’estensione del post Biancamaria Rossi (Bitcoin Luiss Lab) e Thomas Bertani, founder di Oraclize.