Brexit e il prezzo della democrazia

scritto da il 30 Giugno 2016

Pubblichiamo un post di Vitalba Azzollini, autrice di paper e articoli in materia giuridica che lavora presso la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, Divisione Corporate Governance. Le opinioni espresse non riflettono il punto di vista dell’istituzione –

La cosiddetta Brexit e le conseguenze negative che ne potranno scaturire inducono a domandarsi se il referendum sia uno strumento utile nelle democrazie rappresentative ovvero se esso non comporti più danni che vantaggi alle popolazioni interessate, nonché a quelle indirettamente coinvolte.

Considerato che “il sistema rappresentativo è una procura data a un certo numero di uomini da parte della massa del popolo, che vuole difesi i suoi interessi e al tempo stesso non ha il tempo per difenderli da sé” (Constant), la delega della sovranità e, quindi, il conferimento di poteri mediante elezioni a soggetti politici esige idonei contrappesi.

Gli istituti di democrazia diretta assolvono a tale funzione: da un lato, limitano il monopolio del potere legislativo statuale e i suoi eventuali eccessi e degenerazioni; dall’altro, risultano utili a vagliare, per questioni particolari, se la posizione dei rappresentanti sia effettivamente in linea con la volontà della maggioranza dei rappresentati; infine, costituiscono l’occasione per rendere più trasparenti, mediante confronti pubblici, le motivazioni dei governanti, consentendone la conoscenza ai cittadini.

Stabilita, dunque, la funzione dello strumento referendario, affinché esso operi al meglio occorre, innanzitutto, un elettorato consapevole: la democrazia può compiersi solo con un “popolo informato” (Tocqueville), altrimenti essa diviene “il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse ad entrambe” (Madison).

Poiché, tuttavia, come accennato, non tutti dispongono di “tempo” per approfondire il tema oggetto di consultazione, compito dei rappresentanti è consentire ai rappresentati di acquisire una coscienza chiara delle diverse opzioni, motivando in maniera argomentata le posizioni proposte sulla base di analisi preventive circa i costi e i benefici che esse potranno comportare. Tuttavia, se pure nelle proprie scelte “la gente utilizza scorciatoie informative” e “un voto competente sui referendum (…) necessita di una certa quantità di informazione, ma meno di quanto comunemente si ritiene” (Lupia e Johnston), il frequente ricorso da parte dei politici a semplificazioni e banalizzazioni, atte a incidere più sull’emotività che sulla ragione, distorce gli elementi di valutazione forniti all’elettorato.

Analogamente, la riduzione del confronto pubblico a una competizione tra sostenitori e oppositori del quesito – e talora dei propri rispettivi interessi – con il conseguente protagonismo degli esponenti dei partiti, produce l’effetto di ottundere il senso critico, anziché stimolarlo con considerazioni ragionate circa la sostanza della decisione in gioco. Dunque, non può imputarsi al referendum la cattiva gestione che ne viene fatta da chi detiene il potere ovvero da chi aspira a conquistarlo.

Parimenti, tuttavia, non vanno sottaciute le responsabilità di cittadini la cui propensione all’apatia e alla deresponsabilizzazione atrofizza ogni capacità di cognizione politica. Se, come sempre più sovente accade, essi votano rappresentanti nei quali non si riconoscono del tutto, ma da cui discordano meno rispetto ad altri, la delega conferita sulla base di una fiducia non piena dovrebbe indurli a una verifica più oculata su quanto viene loro presentato come scelta maggiormente vantaggiosa: esperti indipendenti dalla politica offrono a chi sia interessato, anche se non “addetto ai lavori”, critiche qualitativamente argomentate sull’operato dei pubblici decisori. Infine, alcuni media, troppo attenti a farsi portavoce delle contrapposte posizioni e poco impegnati ex ante ad analizzarne nel dettaglio le implicazioni, hanno contribuito a rendere il voto referendario non “stupido”, bensì “razionalmente ignorante” (Henderson).

Ma se è vero che “non c’è scampo al problema dell’ignoranza, perché nessuno sa abbastanza per governare da solo. Presidenti, senatori, governatori, giudici, professori, filosofi, editori e così via sono solo un po’ meno ignoranti di noi. Persino un esperto è una persona che sceglie di essere ignorante su molte cose in modo da poter almeno sapere tutto di una” (Schattschneider), la soluzione al quadro sopra delineato non può essere quella di escludere dal voto su determinati temi, con limitazioni variamente declinate, coloro i quali vengono reputati inidonei ad esercitarlo: il rischio è quello di rendere il popolo ancora più “suddito” di governanti che non sempre dimostrano di agire per il bene di tutti, o comunque con maggiore buon senso rispetto alla gente comune.

“There ain’t no such thing as a free lunch”: è, dunque, sufficiente che ognuno dei soggetti coinvolti paghi il prezzo – salato – della democrazia.

La politica che comunica puntando sull’emozionalità dell’elettorato, anziché usare argomenti convincenti e fondati, e produce così scelte irrazionali, resta essa stessa vittima, inevitabilmente, degli strumenti di cui si è servita – distorcendone la funzione – per rafforzare il proprio potere: la sanzione “sociale” opera ancor prima di quella elettorale.

I cittadini, poco avvezzi a pretendere dai propri rappresentanti trasparenza circa ragioni, atti e obiettivi misurabili delle loro proposte, non possono poi reclamare un diritto di ripensamento, lagnandosi del risultato di proprie scelte poco informate: l’eventuale errore commesso può consentire loro, in prosieguo, una maggiore consapevolezza nell’esercizio delle prerogative democratiche di cui sono titolari.

E quel giornalismo che lamenta cali di lettori o ascoltatori, ma abdica al ruolo di watch-dog del potere, mostrandosi incapace di autocritica severa circa la propria funzione, viene poi penalizzato sul libero mercato dell’informazione. Invece, allo scopo di evitare che siano i dissenzienti a dover pagare un costo troppo alto per l’esito referendario, è necessaria nei loro riguardi la tutela di maggioranze rafforzate in caso di consultazioni su temi particolari.

Ogni scelta ha un prezzo e, in democrazia e non solo, ciò significa assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti: il referendum è un mezzo idoneo a far emergere chiaramente quella di ognuno – nessuno escluso – come il post-Brexit sta dimostrando. Ora è il momento di pagare il conto.

Twitter @vitalbaa