Startup e Pmi. Un matrimonio che s’ha da fare

scritto da il 15 Ottobre 2016

A volte credo che l’Italia sia divisa in sette, in gruppi, in universi paralleli che, nel migliore dei casi, si sfiorano e interagiscono brevemente. Ci sono due realtà in Italia che faticano a riconoscersi. Anzi, a volte credo proprio che si ignorino. Facciamo le presentazioni.

Le Pmi italiane rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana. Negli ultimi anni a causa della crisi e la loro ignoranza in fatto di mercati esteri (dove di solito andavano con il “cliente grosso che vende all’estero”) si trovano in un pantano. Costi di gestione massacranti, margini in crollo, incapacità ad analizzare i mercati stranieri, scarso potere di proiezione, analfabetizzazione digitale massima.

Le startup italiane sono generalmente sottocapitalizzate, un po’ tronfie nel modo di agire stile “ti spiego come funziona il mondo”, una naturale proiezione verso l’estero e una discreta conoscenza della lingua inglese (cosa mancante alle Pmi). È auspicabile che questi due universi paralleli si incontrino? Io direi di si.

Mi domando tuttavia come possano incontrarsi. Non avendo tutte le risposte ho pensato di fare due chiacchere con chi, sul fronte startup o Pmi, lavora tutto il giorno per far crescere il fatturato.

Schermata 2016-10-13 alle 12.07.11Partiamo con il signor Donato Iacovone, ceo Italia e managing partner Italia Spagna e Portogallo di EY. Chi sia EY non credo sia argomento da dibattere. “In Italia non mancano gli incubatori, anzi son pure tanti, non mancano le imprese. Quello che manca seriamente è UN incubatore. Tutto quello che è nato in Silicon Valley è nato grazie a realtà come Sequoia, venture capital (Vc) capaci di valutare le startup con alto potenziale. In Italia noi continuiamo a finanziare migliaia di startup con 10.000 euro l’una: è solo un modo per occupare dei ragazzi. Un modello di sviluppo è una cosa diversa”. Nel piano del ministro Calenda del 21 settembre “sono previste anche risorse per Industry 4.0 e per le startup. Se vogliamo che le startup non siano realtà da 100.000 euro di ricavo è necessario che qualcuno faccia le opportune valutazioni e allochi propriamente le risorse disponibili. In Italia al momento avremo 500 Venture Capital con 50.000 euro ognuno. Non permettono di fare nulla di serio.”

E sul tema Pmi cosa mi dici?

“Se porto una Pmi a fare una chiacchierata con gli incubatori di startup può succedere che l’imprenditore si interroghi su se stesso, parli con gli altri e poi venga fuori con un’idea, per esempio, per la sua supply chain. Mostrare le potenzialità delle startup, formare un’idea e lanciare un progetto pilota (a costi bassi!) è il modo migliore per convincere un imprenditore ad avvicinarsi al mondo delle startup. La Pmi fa innovazione dentro l’azienda: è un microcosmo che tende a proteggere il suo know how“.

“Il mondo cambia velocemente. Noi cerchiamo di far comprendere ad una Pmi che deve entrare in un sistema aperto, quindi utilizzare università e centri di ricerca, poi investire su una startup. Come EY stiamo portando avanti un tour sul territorio con il Sole 24 Ore in tutta Italia, incontrando aziende che innovano. Se fai vedere ad un’azienda un progetto pilota, mostri come leggere e raccogliere dati sui propri clienti, riesci a convincerla che oggi è in grado di vendere tramite negozi o canali B2b, ma che domani, potrebbe avere una potenzialità commerciale molto più estesa anche con internet. Con questi passaggi la Pmi capisce che una startup non è così lontana e anzi, che entrambe le realtà parlano la stessa lingua”.

“Un tema simile è quello della supply chain. Se si riesce a far capire all’imprenditore che con una gestione più intelligente, inoculata da una visione giovane come una startup, si può ridurre il magazzino, allora c’è spazio per dialogare”.

Sulla omnicanalità che si dice?

“Il tema della vendita omnicanale è un’altra area strategica; il marketing sul singolo punto vendita è divenuto complesso. Se gestisci una concessionaria di auto probabilmente arriverà un cliente che ne sa più di te. Ormai c’è una fusione di acquisto tra digitale e reale: in negozio il cliente vuole fare l’esperienza del web. Chi fa acquisti su Internet cerca un prodotto in rete, magari però apprezza il fatto di vederlo, toccarlo fisicamente nel negozio. Integrare queste due realtà, che sono ormai fuse nella testa del consumatore, è fondamentale. Se decidi di andare on line su piattaforme di vendita la cosa cambia. Quando vendi direttamente acquisisci i dati del cliente; se vendi su una piattaforma come Amazon, non sai chi sia il tuo cliente. Se perdi i dati non puoi più avere il feedback su come cambia la clientela. Di conseguenza risulta impossibile una pianificazione per elaborare strategie future e si diventa dipendenti dall’acquisizione di dati esterni”.

In più bisogna considerare che una Pmi, per definizione, è piccola. Più sei piccolo e meno hai naturale accesso a risorse mentali, economiche e semplice scambio di idee. In questo senso interagire in modo sinergico con una startup è una soluzione ideale. Oggi i costi per lanciare una startup, per esempio, non richiedono risorse enormi, di norma inferiori rispetto agli standard di investimenti di una media azienda. Le realtà dei distretti non funzionano più.”

dettoriE sin qui una visione strutturata, di una realtà che ogni giorno si confronta con Piccole e medie imprese. Tanto per non farmi mancare nulla ho pensato di andare a sentire anche l’altra campana. Chi con le startup ci dialoga tutti i giorni, le sostiene, le “introduce” al mondo delle Pmi, e prova a farle “adottare”. Il signor Gianluca Dettori è presidente di Primomiglio Sgr, venture capital advisor, e con il mondo digitale ci campa. “Il mondo delle startup è una sfida. Se pensiamo ad un partner industriale o ad una exit strategy (la strategia di uscita che può consistere, fra le diverse ipotesi, in una vendita delle quote o nell’approdo in Borsa, ndr) subito è Silicon Valley. In verità non esiste solo il software. Sempre più spesso osserviamo un flusso di proposte, idee per la meccatronica, Industry 4.0, servizi B2b. Quello che manca al momento è una exit per le startup. Se il mercato non costruisce una maniera per fare exit e rimettere in circolo il denaro per una startup non c’è futuro. Noi venture prendiamo soldi da investitori e in 10 anni dobbiamo darli indietro con un ritorno”.

“Quindi, senza un mercato exit florido non si va avanti. Le exit non si fan solo in Silicon Valley. Con il nuovo progetto Barcamper vogliamo creare un legame più forte con le Pmi, quanto meno quelle valide. Tra i nostri investitori abbiamo Unindustria Bologna (l’associazione confindustriale di Bologna). Tremila imprese, tutte in filiera. La maggioranza sono Pmi in meccatronica, medicale, macchinari e meccanica di precisione. È stato un percorso lungo, di 2 anni”.

Ok tutto bello, ma come li facciamo dialogare imprenditori e startuppari?

“Sul come farlo, c’è un tema di linguaggio. C’è un tema di linguaggio da parte delle startup che non sanno come interfacciarsi nel mondo fuori e non san dialogare. Scarsa capacità di interloquire con le Pmi. Dall’altro c’è anche l’altro tema: spesso le imprese non sono attrezzate culturalmente a lavorare con la startup. Il lavoro di mediatori tra startup e Pmi siamo noi Vc. Agli investitori spieghiamo cosa significa investire. Il punto è: dobbiamo riuscire noi ad allargare la platea con cui parliamo di startup”.

“Nella maggior parte dei casi (nelle Pmi) c’è un fondatore di una certa età, in comando, la seconda generazione o la terza, e spesso c’è un tema di chi è l’interlocutore. C’è poi il tema del linguaggio. Le startup son entità instabili, mutevoli e fragili. Certe cose puoi chiederle, altre no. Hanno un modo di ragionare che non sempre è comprensibile.

Solo con Confindustria si può parlare o anche con le altre realtà associative?

“Secondo me vale la pena dialogare con ogni realtà associativa; ci deve essere un tessuto economico forte, come l’artigianato. Diamo per scontate tante cose. E-commerce per artigiani? Siamo all’età della pietra. Ci sono startup che anche in Italia attiverebbero realtà e innescherebbero un volano mastodontico. Sono due mondi che fino a ieri non dialogavano. Il fenomeno delle startup con queste caratteristiche è relativamente giovane.”

Perfetto. Chi dovrebbe farlo l’ultimo passo?

“L’ultimo miglio tra startup e Pmi è da comprendere. Ogni azienda tradizionale sa quale è il suo prodotto e mercato. Una startup invece è in divenire. Per cui non arriva con un’offerta definita, ma con delle idee. Ha delle sue criticità. Se pensi di andare a trattare la startup come un fornitore qualunque sbagli. Anche solo il tema dei pagamenti: se pensi di pagare una startup a “babbo morto”, come si fa in Italia, la startup la uccidi. Per il resto le startup sono aziende come tutte le altre anche se spesso, per avere referenze, son più disposte a fare sconti. Ecco, quel che cerchiamo di fare a Bologna con Unindustria è di avvicinare questi due mondi perché possano trovare un terreno comune. Vi sono anche realtà evolute tra le Pmi. Alcune di loro riescono a interfacciarsi con il mondo startup; mi riferisco a scenari di open innovation. Un approccio laterale, una posizione (nel caso di alcune grandi aziende) di mentore o incubatori. Gli angel investor sono altre soluzioni per avvicinare questo mondo alle Pmi.”

Ok e le Pmi possono fare proiezione estera grazie alle startup?

“Certamente. Tra le tante differenze culturali che hanno le startup si pensano globali sin da subito. Poi magari sono locali. Oggi ogni attività consumer è tracciabile digitalmente. È l’evoluzione naturale a cui le startup sono già predisposte. In Italia invece, con uno storico diverso, se uno comincia a vendere fa fiere, usa metodi più tradizionali di gestire il cliente. La tecnologia digitale permette di rivedere ogni flusso e migliorarlo. Spesso le Pmi sono poco dotate di queste competenze e cosa ancora più importanti per loro non è facile costruirle velocemente.Le startup sono una soluzione per avere un approccio lavorativo digitale in tempi molto brevi. Per le Pmi adottare un percorso di interazione con le startup significa, quindi, acquisire realtà che sono già internazionali nel dna.”

Insomma, forzando un po’ l’opera del Manzoni: Pmi e startup, “questo matrimonio s’ha da fare”.

Twitter @enricoverga