Ue e Cina si preparano alla resa dei conti dell’11 dicembre

scritto da il 15 Novembre 2016

Il prossimo 11 dicembre si celebra il quindicesimo anniversario della firma del protocollo che celebrò l’ingresso della Cina nella WTO, l’organizzazione del commercio internazionale, sulla quale tanti fiumi d’inchiostro sono stati versati prima e dopo la crisi. La ricorrenza non meriterebbe attenzione se non fosse per un dettaglio parecchio rilevante, come ci ricorda uno studio del Parlamento europeo diffuso un anno fa. “La sezione 15 del protocollo prevedeva che la Cina potesse essere tratta come una non market economy (NME) nei procedimenti anti dumping se le aziende cinesi non fossero state in grado di provare che operano in condizioni normali di mercato”. Questo stato di NME era previsto durasse proprio 15 anni al termine dei quali la Cina avrebbe potuto ottenere lo stato di economia di mercato.

Lo stato di NME ha un ruolo determinante quando si tratta di valutare i procedimenti antidumping, che la Cina ha collezionato in questi anni, visto che consente di utilizzare metodologie di analisi diverse rispetto a quella basata sulla semplice struttura dei costi interni per misurare i margini di dumping. Ciò nel presupposto che i costi interni siano tenuti artificialmente bassi grazie al sussidio pubblico (si pensi al caso dell’acciaio). Sicché in questi quindici anni molti prodotti cinesi, proprio in virtù dello status NME di quest’economia, sono stati considerati fonte di dumping e soggetti a dazi. Una situazione che non ha mancato di alimentare le discussioni fra la Cina e l’Ue – si pensi al caso dell’industria dei pannelli solari – risultando la Cina il secondo maggior partner commerciale dell’Unione dopo gli Usa.

L’anniversario, quindi, non avrebbe dignità di cronaca se non per il fatto che l’accordo del 2001, secondo l’interpretazione che ne danno i cinesi, prevedeva che alla scadenza del quindicesimo scattasse il riconoscimento automatico per la Cina dello status di economia di mercato, market economy status (MES) che il paese asiatico insegue dal 2003. In tal modo la valutazioni antiduping avverrebbero esclusivamente sui costi interni dei prodotti cinesi. Un’interpretazione che lo studio del Parlamento Ue ha definito “altamente controversa”. Nel frattempo tuttavia la status MES alla Cina è stato riconosciuto da alcuni paesi, come il Brasile, mentre altri, come l’Australia e il Sud Africa, ne hanno fatto la base per accordi bilaterali. Il succo è chiaro: tutti vogliono fare affari con la Cina come se fosse un paese con un’economia di mercato anche se sanno benissimo che è vero il contrario.

L’Ue si trova esattamente nella stessa posizione. La Cina è un partner importante, ma molti temono che riconoscerle lo status MES significherebbe far sparire i dazi sui prodotti cinesi e quindi mettere in crisi diversi settori industriali europei. Non a caso il Parlamento Ue ha votato alcuni mesi fa una risoluzione non vincolante per la Commissione Ue, che alla fine dovrà dire la sua, proprio per non concedere lo status MES alla Cina. Risoluzione alla quale hanno fatto seguito alcune dichiarazioni, rilasciate lo scorso 20 luglio da due commissari europei che hanno sottolineato come il problema non sia tanto la concessione dello status MES alla Cina, quanto la costruzione di un sistema di regole che consenta di difendere l’industria europea dal dumping cinese, anche nel caso che tale status venga concesso. Il che somiglia a un tentativo diplomatico per far contenti i cinesi e non spaventare gli europei.

La proposta della Commissione Ue dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno, ma intanto l’attenzione rimane alta sull’anniversario dell’11 dicembre. Specie adesso che le elezioni Usa hanno designato un presidente che nella fase della campagna elettorale è stato assai poco tenero con i cinesi. Gli Usa peraltro da tempo contestano il passaggio automatico da NME a MES per la Cina alla scadenza del 15esimo anno.

Aldilà di come andrà a finire questa vicenda, la morale appare chiara. I paesi avanzati hanno siglato un patto con la Cina 15 anni fa che ha consentito al paese asiatico una straordinaria crescita, almeno fino alla crisi del 2008, e ai paesi avanzati di far procedere la globalizzazione (e la delocalizzazione), anch’essa entrata in crisi nel 2008. Il patto adesso è entrato in crisi: il nodo è venuto al pettine. L’anniversario è caduto nel momento più basso della globalizzazione. La scadenza di dicembre, in tal senso, più che a una festa somiglia a un funerale.

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