Il caso Google e il futuro della concorrenza

scritto da il 25 Novembre 2016

Non ha avuto eccessiva eco, nei giorni scorsi, l’ultima puntata della saga tra Google e la Commissione Europea: con tre distinte memorie, dedicate ai tre capitoli – Android, Search, Adsense – in cui l’indagine si è ramificata durante i sei anni del proprio corso, Mountain View ha replicato minuziosamente agli addebiti della Direzione generale per la concorrenza. La vicenda giudiziaria preoccupa, comprensibilmente, l’azienda, che rischia una sanzione pari al dieci per cento del proprio fatturato annuo e, soprattutto, uno stravolgimento del proprio modello industriale; ma le sue conseguenze non saranno limitate ai bilanci del motore di ricerca: esattamente come, negli anni ’90, furono i procedimenti a carico di Microsoft a marcare la distanza tra due opposte concezioni del gioco competitivo, sarà l’esito della disfida tra Google e il commissario Vestager a ricalibrare il significato della concorrenza in Europa per i prossimi vent’anni.

Le accuse sono note. Nel caso Adsense, il meno interessante, la Commissione contesta a Google l’imposizione ai partner di vincoli di quantità e posizionamento delle inserzioni che ostacolerebbero l’ingresso di altri operatori nel mercato. Nel caso Android, le doglianze del regolatore investono le modalità di distribuzione del sistema operativo mobile – come noto, gratuitamente accessibile e liberamente modificabile, ma la cui versione “autentica” richiede la preinstallazione dello store Google Play e del browser Chrome e la selezione di Google come motore di ricerca predefinito. Infine, il dossier sulla ricerca attiene all’integrazione tra i risultati del motore orizzontale e quelli generati dai motori verticali e, in particolare, dal servizio di comparazione dei prezzi Google Shopping – integrazione che danneggerebbe indebitamente i comparatori alternativi.

Al di là delle specificità, i casi Android e Search sollevano alcuni temi comuni. Il primo è quello della definizione del mercato rilevante. In entrambe le circostanze, il perimetro individuato dalla Commissione appare eccessivamente limitato. Chiunque abbia esperienza di acquisti online sa che i servizi di comparazione dei prezzi sono solo uno degli strumenti a cui è possibile ricorrere per orientarsi tra le varie offerte, e non certo il più diffuso; sovente i consumatori preferiscono rivolgersi direttamente ai negozi virtuali che hanno imparato a conoscere, magari tramite app; oppure servirsi di piattaforme che mettono i venditori in concorrenza tra loro, come eBay o come Amazon – il leader indiscusso del commercio elettronico, che alla vendita diretta ha affiancato da tempo con successo il proprio MarketplaceSono le scelte dei consumatori a tracciare i confini di un mercato: isolare il segmento dei comparatori restituisce un’immagine distorta e fuorviante dello shopping digitale.

Se restringiamo sufficientemente il mercato di riferimento, sarà sempre possibile additare un monopolista: la pizzeria sotto casa ha il monopolio delle mie pizze a domicilio; ma, dal momento che a volte mangio la pizza altrove, vado al ristorante o cucino da me, non ha il monopolio delle mie cene a base di pizza, delle mie cene pronte o dei miei consumi alimentari. Simili critiche si possono indirizzare all’indagine su Android: individuare mercati autonomamente rilevanti per i sistemi operativi mobili disponibili su licenza e, addirittura, per gli app store per Android induce a fraintendere la natura del contesto competitivo nel mercato degli smartphone. Per cominciare, il ruolo di Apple – che ha sostanzialmente creato il settore e vi ricopre un ruolo di primo piano – rimane completamente in ombra: con l’effetto paradossale di penalizzare, in un’ottica di tutela della concorrenza, il modello aperto perché non abbastanza aperto, avallando al contempo il modello chiuso. (Si dirà: Apple non ha una posizione dominante nel mercato degli smartphone; ma ce l’avrebbe, per esempio, se limitassimo l’analisi al mercato degli app store per iOs.)

Questo ci porta a un secondo tema comune alle due indagini: il trattamento dell’innovazione dei prodotti e dei modelli industriali. La Commissione afferma implicitamente che un motore di ricerca orizzontale e un motore di ricerca verticale siano prodotti distinti e che debbano rimanere tali. Allo stesso modo, gli uffici di Bruxelles pretendono di poter spogliare un sistema operativo mobile dalle funzionalità di ricerca e navigazione. Questo significa sterilizzare l’evoluzione dei prodotti, che dovrebbe essere dettata dalle strategie di mercato delle imprese e non dalle categorie tendenzialmente immutabili dei regolatori.

Ma questo significa anche negare al consumatore non solo i benefici immediati che gli derivano dall’innovazione – l’integrazione tra ricerca orizzontale e comparazione dei prezzi garantisce risultati più rilevanti; l’inclusione della suite di servizi Google nel sistema operativo Android assicura che i terminali siano configurati in modo riconoscibile e immediatamente pronti all’uso – ma persino la capacità di scegliere e di adeguare alle proprie esigenze i prodotti e i servizi di cui faccia uso: i comparatori tradizionali rimangono a un clic di distanza; e gli apparecchi Android sono ampiamente personalizzabili, come testimoniano i 2,5 milioni di app presenti sullo store ufficiale e scaricate 65 miliardi di volte nel solo 2015.

Infine, l’approccio perseguito dalla Commissione rivela un vecchio vizio dei regolatori antitrust: la tendenza a concentrarsi sulla protezione dei concorrenti, piuttosto che sulla tutela della concorrenza: quasi esistesse un diritto a una certa fetta di mercato. Se i comparatori di prezzo tradizionali, nella presente configurazione, non incontrano più i favori degli utenti, spetta a loro ideare nuove formule o tocca alle autorità impedire che vengano fagocitati? E siamo certi che i vincoli alla distribuzione di Android abbiano efficacia anticompetitiva perché limitano l’emergere di innumerevoli differenti versioni, quando si consideri che la filiera comprende anche milioni di sviluppatori che hanno tutto l’interesse a evitare la frammentazione dell’ecosistema?

Con l’indagine su Google, che si assomma ai numerosi altri fronti aperti tra Bruxelles e le multinazionali della tecnologia, il commissario Vestager si assume una responsabilità imponente, non solo alla luce dell’evoluzione del diritto antitrust, ma anche rispetto al ruolo dell’Europa nell’economia digitale. Le imprese rispondono agli incentivi e non è con maggiori vincoli alla libertà di sperimentare nuovi prodotti e servizi che il Vecchio continente recupererà il proprio gap d’innovazione.

Twitter @masstrovato