Rialzarsi e ripartire, senza scorciatoie (ovvero Pinocchio, il gatto e la volpe)

scritto da il 13 Aprile 2017

Pubblichiamo il secondo di una serie di post di Fabio Bolognini, blogger e cofondatore di Workinvoice

Nella seconda tappa del nostro tour tra le imprese figlie di un dio minore stiamo per attraversare il girone degli imprenditori illusi e raggirati. Illusi che si possa fallire senza pagare dazio, raggirati da chi ha fatto promesse vacue di rinascita. In questo luogo, gli imprenditori sono condannati a rincorrere giorno e notte senza sosta i professionisti del concordato in bianco, i dispensatori di soluzioni ‘facili’ sul filo della legge, studiate per sfuggire all’insolvenza e al rimborso dei debiti, avvalendosi in modo spregiudicato delle procedure fallimentari.

Non sono pochi gli imprenditori raggirati da personaggi che ostentano sicurezza, usando termini legali poco comprensibili e sfruttano le scarse conoscenze della vittima, per convincerla che il ‘concordato in bianco’ è cosa semplice. Una specie di lavaggio legale, con un bel po’ di carte da cui emergere ripuliti e intatti, lasciando magari danni ingenti ai fornitori e alle banche a cui sono riservate percentuali irrisorie sul credito vantato, dopo l’omologa dei tribunali rassegnati. Agli ‘artisti’ delle procedure fallimentari costruite sulla sabbia sfuggono spesso frasi di questo tipo: “Le banche se lo sono cercato, le banche hanno le spalle larghe e cosa vuoi che sia se perdono un po’ di soldi”.

Gli imprenditori che qui vedete con pesanti zaini sulle spalle correre dietro ai professionisti dei concordati facili, ai prestigiatori degli svuotamenti aziendali, hanno tutti scoperto, troppo tardi e sulla loro pelle, che, senza una soluzione solida e un piano molto dettagliato, i concordati in bianco – chiamati più correttamente con riserva- si squagliano come neve al sole. Quei 90 o 120 giorni concessi dal tribunale per presentarsi con le carte vere scorrono sempre troppo veloci e il magico ‘lavaggio’ si trasforma in un incubo, nove volte su dieci con destinazione il fallimento e tutte le conseguenze relative, magari anche a livello penale per i vari reati commessi nell’esercizio delle cariche sociali.

In questo girone mi accompagna un altro dr. Gianni, che ho conosciuto alcuni anni fa nel suo ufficio disordinato nell’angolo del capannone, raggiunto dopo avere salito una scaletta di ferro sverniciato. Al capannone si accedeva insieme ai camion solo dopo avere guadato una pozzanghera permanente (inverno o estate) tra marciapiede e cancello d’ingresso. Alla terza visita imparai a rinunciare a scarpe eleganti senza suola in gomma pur di superare indenne la pozza.

Questo dr. Gianni è felicemente sopravvissuto alla sua disavventura di piccolo imprenditore insolvente. Ci è riuscito spinto dalla paura e da un’inattesa intraprendenza, accesa anche nelle notti insonni durante le quali inviava quesiti alla mia casella mail. Una notte deve avere scovato nella sua rete di contatti d’affari un industriale più grande e solidissimo con il quale aveva rapporti commerciali di grande stima. Con saggezza e umiltà lo ha contattato; prima proponendogli e poi pianificando insieme a lui un concordato classico, quelli in cui un’impresa sana rileva tutto il buono dell’impresa insolvente, affittandola prima e acquistandola dopo, senza scorciatoie, senza fare scomparire beni, sacrificando il minore numero di posti di lavoro possibile e usando professionisti corretti.

Si è salvato, ma potete chiedere al dr. Gianni se ricorda ancora la riunione in cui il suo socio, (pure lui imprenditore), illustrava con estrema fiducia tutti i vantaggi del concordato in bianco, deridendolo a tratti e facendolo sentire ingenuo e piccolo per quella sua caparbietà di volere salvare l’azienda e rispettare pure la legge.

Anzi i soci erano due, come il gatto e la volpe quando vogliono circuire Pinocchio.

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Uno suadente con la convinzione di potere influenzare a piacere il giudice del tribunale fallimentare cittadino, l’altro sicuro di convincere oltre 10 banche a concedere rinvii e moratorie sui rimborsi. Gatto e volpe sono entrambi miseramente falliti nel giro di un anno o due, entrambe le loro ‘prenotazioni’ di concordato si sono rivelate inadeguate e si sono trasformate in un biglietto per la dichiarazione di fallimento. Gatto e Volpe sono qui in questo girone a sfiancarsi dietro ai rispettivi professionisti imprecando per i consigli maldestri ricevuti.

Pinocchio invece è uscito dalla bocca della balena ed è vivo, ha una posizione nella nuova combinazione aziendale risorta da un concordato pulito e costruito finalmente su solide basi industriali. Il dr. Gianni ha persino acquistato con pochi euro il marchio del Gatto prendendosi una rivincita personale.

Durante questi anni ha imparato altre lezioni, che non mi ha mai confessato di persona. Una di queste è che rinunciare alla signora Carla per lasciare spazio a un responsabile della finanza ‘creativo’ e senza troppi scrupoli lo ha portato vicinissimo a un incubo personale. Le fatture false create per coprire i vuoti della cassa creano un solco di ostilità con le banche ingannate e avvicinano pericolosamente gli amministratori alle indagini delle procure quando non possono più essere nascoste e coperte. La saggezza della signora Carla non lo avrebbe mai permesso.

Il dr. Gianni, anche senza ricorrere ai voucher per export-manager, ha scoperto con orgoglio che i mercati internazionali possono creare un polmone utilissimo anche per un’impresa molto piccola, quando il mercato domestico langue, e che i prodotti industriali viaggiano benissimo sulle linee dell’e-commerce se si trovano i canali giusti e si sanno analizzare le informazioni disponibili in abbondanza nella rete. Con la stessa ostinazione per la sopravvivenza ha trovato all’estero anche fornitori di qualità per i componenti da assemblare, costruendosi una piccola filiera internazionale nonostante le dimensioni ridotte della sua impresa.

La banda dei concordati facili non è mai stata completamente sgominata, c’è ancora spazio nel girone di questi dannati, anche se questi anni di crisi hanno prodotto statistiche che dovrebbero scoraggiare coloro che hanno intravisto nelle procedure fallimentari un modo legale per raggirare un’ultima volta i creditori svuotando aziende decotte per lasciare poco o nulla.

Si scrive poco di queste situazioni sulla stampa, nonostante siano frequenti e ampiamente note. Un’esigua minoranza di imprenditori e di professionisti scorretti ha danneggiato l’intera categoria senza che le associazioni degli imprenditori abbiano mai intrapreso una seria campagna di moralizzazione o sanzionato chi danneggia spregiudicatamente colleghi e banche.

Il solco di profonda diffidenza che si è diffuso tra le banche e le imprese nasce anche da una lunga serie di casi in cui la crisi è stata prima nascosta e poi usata come pretesto per danneggiare i creditori.

Le storie di chi ha gestito e superato la crisi con la massima correttezza, anche avvalendosi delle procedure fallimentari, sono poco celebrate; invece possono essere un esempio e una guida per molti altri imprenditori nella prevenzione, così come nella rimozione di tante false illusioni crollate nei tribunali fallimentari di tutta Italia. Non è stato così, ma non è mai troppo tardi per farlo. Ecco perché ve ne ho raccontata una.

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