Economia circolare, chiave per il futuro?

scritto da il 17 Maggio 2017

Pubblichiamo un post* di Nicola Ghisalberti, autore sul blog Gli Immoderati, studente di economia –

La popolazione globale è inesorabilmente in crescita: da poco ha superato i sette miliardi e mezzo di abitanti. Nella classifica dei venti paesi più popolosi del pianeta ne troviamo soltanto quattro occidentali, uno europeo: la Germania. I restanti sedici sono per lo più nazioni emergenti: Cina, India, Brasile, Pakistan e via discorrendo, sino ad arrivare al ventesimo posto, la Thailandia. Si prevede che nel 2100 la popolazione globale possa raggiungere e superare i dieci miliardi di abitanti; attualmente, in sole due nazioni – Cina ed India – vive più di un terzo della popolazione mondiale.

Sarà possibile soddisfare la crescente domanda dei mercati in via di sviluppo – sempre più bisognosi di materie prime ed energia – senza impattare sulle opportunità attuali e future delle nazioni Occidentali?

In molti hanno provato nel tempo a dare una risposta a questa domanda. C’è stato chi, dal canto suo, ha invocato la necessità di una politica di gestione delle nascite, adducendo a giustificazione la necessità strategica di un “controllo” sulle aree in via di sviluppo, al fine di preservare l’attuale status-quo delle cose [non certo a per farlo volgere a favore dei controllati].

Altri invece, preso atto della prevaricante forza economica delle nazioni sviluppate, sostengono che sarà impossibile per i mercati in via di sviluppo accaparrarsi le risorse necessarie per raggiungere il medesimo livello di welfare di cui godiamo in Occidente. Queste persone sono le stesse che probabilmente pensavano, sino a poco tempo fa, che realtà emergenti come Tata Motors o Huawei non potessero rappresentare una minaccia per le grandi, robuste multinazionali occidentali. Nel 2008 Tata comprò Jaguar Land Rover e qualcuno cominciò a cambiare idea.

Come possiamo, vivendo in una società che ogni giorno irradia nel mondo la parabola del successo frutto dell’inventiva e delle idee, negare le opportunità di progresso sociale che noi abbiamo, a chi oggi vive nei paesi emergenti? Come possiamo privare, per esempio, una famiglia indiana del sogno di avere un frigorifero, corrente elettrica o acqua potabile solo perché per i loro bisogni non c’è energia a sufficienza per tutti, o materie prime per creare i prodotti?

Giorno dopo giorno la popolazione mondiale cresce, così come il denaro a disposizione – benché 700 milioni di persone vivano ad oggi sotto l’intollerabile soglia di povertà assoluta, stimata dalla Banca Mondiale in 1,90 $ al giorno – conseguentemente ne aumenta il potere di acquisto, la relativa domanda di beni e servizi e di conseguenza di materie prime.

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Fra non molto, milioni di persone avranno abbastanza reddito per potersi permettere quella tecnologia e quegli strumenti che noi occidentali consideriamo low cost, ma che per altri rappresentano un investimento sul loro futuro. Pensiamo ad applicazioni per smartphone che supportano i coltivatori – tramite modelli statistici per le previsioni del tempo – nel decidere quando iniziare la semina, con impatti fortemente positivi sul rendimento delle colture. La conseguenza logica di questo processo è che nelle economie emergenti, generazione dopo generazione, il reddito disponibile andrà aumentando così come il paniere di beni consumati varierà, arricchendosi di beni via via sempre meno necessari.

Viviamo in un sistema chiuso, il pianeta Terra. Le risorse, seppur abbondanti non sono infinite. Come risolvere dunque questo problema di allocazione di risorse?

Una risposta, la migliore a mio avviso tra le tante formulate negli anni più recenti, è quella che viene definita Circular Economy. Essa si concretizza concependo un determinato prodotto non soltanto come un bene il cui fine esclusivo è vendita, ma pianificando il suo riutilizzo [come materia prima] al termine del suo naturale ciclo di consumo. È un concetto molto più complesso del semplice riciclo tradizionale. Si tratta di un vero e proprio processo di “reconceiving the product from the scratch”. Questo significa pianificare sin dalla fase di design iniziale del prodotto le modalità di riutilizzo più efficaci ed efficienti delle componenti, per rendere il rifiuto nuovamente una risorsa, sia essa poi utilizzata in azienda o venduta a terzi. Questo nuovo modo di concepire il prodotto in maniera sostenibile sin dalla sua progettazione iniziale, consente all’azienda che lo vende di avere un semplice, rapido accesso a fonti materie prime ad un costo prossimo allo zero.

schermata-2017-05-16-alle-11-21-35Numerose aziende – diverse con ottimi risultati – si sono lanciate in una fase di sperimentazione di quello che è il primo step che successivamente conduce ad un sistema di Economia Circolare: il Waste Management. Uno degli esempi più evidenti di Waste Management lo ha dato Apple, che ha fatto del trattamento dei suoi prodotti difettosi [e successivamente “ricondizionati”] una risorsa per generare nuovo valore aggiunto. L’azienda di Cupertino non soltanto ha ottenuto un elevato grado di soddisfazione del cliente nella fase di gestione del reso, ma ha anche generato valore mediante il processo interno di analisi e riparazione mirata del pezzo difettoso, rivendendolo ad un prezzo inferiore come prodotto ricondizionato.

Questo ha permesso ad Apple non soltanto il largo impiego di componenti commissionate ad aziende terze, in paesi a basso costo di manodopera, ma ha anche aumentato il grado di soddisfazione dei clienti. Apple è soltanto uno dei tanti casi in cui uno studio accurato del prodotto riesce a portare benefici che vanno ben oltre il normale ciclo di vita del prodotto; ci sono tantissime realtà aziendali che stanno nascendo in tutto il mondo che riescono a vedere come materia prima quello che altri percepiscono come scarto.

Un’economia circolare insomma, che promuova attivamente lo sfruttamento di una risorsa abbondante ed inesauribile come lo sono i rifiuti, per favorire un ampliamento delle risorse disponibili – seppur, come ben noto, scarse – a beneficio di tutti. Una linfa nuova, specialmente per quelle regioni del mondo che si reputano sviluppate; un nuovo modo assolutamente creativo di concepire l’economia, il consumo e lo scarto.

*L’autore ha rivisto il post, pubblicato su Gli Immoderati, in questa nuova versione per Econopoly