Il lessico felpato di Visco, una vigilanza titubante e la spending da 50 miliardi

scritto da il 01 Giugno 2017

In un Paese senza memoria, che dimentica in fretta, è altamente meritorio il ricordo di Carlo Azeglio Ciampi fatto dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nell’apertura delle Considerazioni finali, il consueto appuntamento di riflessione di fine maggio offerto dal massimo esponente della Banca d’Italia.

Ciampi, scomparso il 16 settembre scorso, una vita in Via Nazionale, è ricordato così: “Entrato in Banca d’Italia nel 1946, ne fu Governatore dal 1979 al 1993. Appena nominato, dovette affrontare il dissesto bancario più grave del dopoguerra [Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi, ndr], con la Banca ancora scossa dalla drammatica vicenda che aveva visto ingiustamente colpiti i suoi vertici”.

Visco usa il lessico felpato della Banca d’Italia, ma il “coacervo politico-affaristico giudiziario” che colpì Paolo Baffi e Mario Sarcinelli nel 1979 non ha solo un rilievo storico – possiamo considerarlo quasi un golpe – ma ci si può chiedere se la titubanza mostrata in alcuni casi in questi ultimi anni dalla Vigilanza non sia il frutto tardivo del vulnus che colpì i vertici della Banca, accusati proditoriamente da un magistrato – Antonio Alibrandi – legato alla destra eversiva (il figlio Alessandro, appartenente ai Nuclei Armati Rivoluzionari [NAR] morì nel 1981 in uno scontro a fuoco con la polizia), braccio armato della politica malavitosa.

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Come la Banca d’Italia ha ridotto dal 2009 ad oggi i costi operativi del 15% in termini reali, così lo Stato italiano deve iniziare una seria cura dimagrante, in modo da ridurre la spesa corrente, variabile che nessuno è riuscito a fermare. I pur bravi commissari straordinari come Carlo Cottarelli e Roberto Perotti, senza pieno appoggio politico, nulla possono contro la burocrazia parassitaria, gli enti pubblici, le miriadi di società che si riproducono nell’opacità di un sistema che vede il settore pubblico avere un peso eccessivo, che non può che richiedere un livello di tassazione elevato.

Visco puntualizza che la Banca d’Italia è “attenta a usare in modo efficiente le risorse di cui è dotata”. È così anche per il resto dell’amministrazione pubblica? Ogni giorno le cronache fanno pensare il contrario. Prosegue il Governatore: “Nell’attuale fase di ripresa, è possibile intraprendere un processo di consolidamento duraturo attraverso politiche di bilancio prudenti, mirato non solo a ridurre il disavanzo, ma anche a rivedere la composizione delle spese e delle entrate”.

Di quanti miliardi stiamo parlando? Circa 50 miliardi di spesa corrente, visto che gli investimenti pubblici vanno assolutamente preservati e fatti crescere (dopo anni di avventati tagli): “Con un tasso di crescita annuo intorno all’1%, l’inflazione al 2, un saldo primario (ossia al netto degli interessi) in avanzo del 4% del PIL, consentirebbe di ridurre il rapporto tra debito e PIL al di sotto del 100% in circa 10 anni”. Visto che l’avanzo primario è nell’intorno dell’1%, servono 3 punti di PIL, circa 50 miliardi. Gradualmente, ma in modo incisivo, visto che “restano ampi spazi di razionalizzazione nell’allocazione delle risorse pubbliche”. Il tempo si è fatto breve.

Sulla traccia dell’intervento alla London School of Economics del novembre 2015 – “For the times they are a changin’…”, Visco crede fortemente nella forza dell’innovazione: “Bisogna misurarsi apertamente con il progresso tecnologico perché non c’è alternativa se si vuole tornare a creare lavoro e benessere”. A Londra Visco citava ampiamente il volume di Erik Brynjolfsson and Andrew McAfee “The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies” (2014), e sottolineava come “today’s typical smartphone has 3 million times the computing power of the first minicomputer marketed successfully in 1965, at one 225th the cost”.

Come ha scritto Pierluigi Ciocca sul Sole 24 Ore, spetta agli imprenditori investire: “Le imprese devono tornare a cercare il profitto fondato su innovazione e progresso tecnico. È dalla svalutazione della lira del 1992 – con apprezzabili eccezioni – che hanno smesso di farlo, confidando nel danaro pubblico, nella moderazione salariale, nel cambio debole”.

Il metodo Ciampi ci è d’aiuto, anche oggi. Dopo tanto pensare, studiare, a un certo punto c’è la necessità dell’”atto volitivo”, è necessario agire. Al pensiero deve seguire l’azione, per le imprese e per lo Stato, che deve dimagrire in termini di spesa corrente, creando risorse da destinare agli investimenti. Altrimenti il declino proseguirà con l’economia oberata – nelle parole di Visco – “da inutili vincoli, rendite di posizione, antichi e nuovi ritardi”.

Twitter @beniapiccone