Film in arrivo in Italia: Retail Apocalypse

scritto da il 21 Agosto 2017

C’era una volta il supermercato. Una cosa nuova dove trovavi tutto il cibo in vendita in un unico luogo, era pulito, ordinato, con commessi carini. Caprotti fu uno dei primi.

Poi lentamente al supermercato si aggiunse la galleria. L’idea che venne in mente ai costruttori (spesso i gruppi di supermarket stessi) era che con alcuni negozi (e le rispettive rendite) si potevano pagare un po’ di spese.

Da lì il passo è stato breve e oggi abbiamo i centri commerciali, dove il super mercato fa da ancora (soprattutto per il cibo) per attirare i clienti nella fantastica cattedrale del consumismo.

Però ora c’è un problema. I centri commerciali sono malati e stanno morendo.

Il fenomeno è noto in America come Retail Apocalypse. I numeri sono piuttosto allarmanti: Sears, Macy’s, i nomi più importanti del mondo retail hanno chiusure di punti vendita a due zeri.

Di solito quello che succede in Usa prima o poi influenza anche l’Europa, e l’Italia. In questo caso succederà la stessa cosa? Centri commerciali che diventano blocchi di cemento armato abbandonati nelle aree suburbane?

Sì e no. Su questo fenomeno ci sono alcune tematiche da discutere, ma di certo l’era d’oro dei centri commerciali è finita.

Partiamo da due fattori che, in congiuntura negativa ma tra di loro non direttamente correlati, stanno cominciando ad interessare il mondo retail.

La nuova normalità

Parlare di crisi dei consumi e del retail, o in generale di crisi economica, è ormai quanto meno stupido.

Un semplice sguardo (e magari lettura delle note) al grafico del Dry Baltic index aggiornato al 2017 (qui in basso) spiega semplicemente che il “miracolo dei consumi” (il DBI misura il flottante commerciale che trasporta per il mondo materie prime, semi lavorati e beni di consumo) è stato un caso statistico più che un evento coerente. Tradotto in soldoni, se ci si aspetta che la crisi passi, forse non si è capito bene che la crisi è già passata da un pezzo. Il luogo economico sociale dove ci troviamo adesso è né più né meno, in termini di consumi e conseguente traffico navale, la normalità che ha caratterizzato questo indice dal 1985.

Fonte: Bloomberg. Valori basati sul primo giorno lavorativo del mese

Fonte: Bloomberg. Valori basati sul primo giorno lavorativo del mese

C’è eventualmente una nozione da tener presente: prima del picco i mercati (quello che si chiama sentimento dei mercati) avevano un’indole positiva. Spiegato in due parole, il Mario Rossi che era stato assunto a fare il commesso aveva l’aspettativa (gonfiata anche dai media) che tutto sarebbe andato bene, che la banca era pronta a dargli un prestito o un mutuo con tasso favorevole, perché in fondo “tutto andava bene”. Mario sapeva che avrebbe ripagato il suo debito. Oggi Mario è un filo più pessimista, e auspicando che non abbia perso il posto di lavoro di sicuro ha paura. I casi di aziende italiane che, pur andando bene, decidono di rilocalizzarsi all’estero (dove il costo del lavoro è più basso) sono all’ordine del giorno.

Con queste premesse il Mario e sua moglie, la Maria, è plausibile che non siano cosi affamati di shopping nei grandi centri commerciali. Anzi, magari aspettano i saldi.

Questo è il primo problema dei centri commerciali.

Passiamo al secondo problema, potremmo dire più attuale e tecnologico.

E-mall e vendite on line

Quei brutti cattivi di Amazon, Alibaba, Zalando, Yoox e molte altre realtà minori han deciso di vendere in rete quello che si può trovare nei negozi. In verità se si trattasse solo di un semplice competitor fisico il problema sarebbe grave ma affrontabile. Ma i grandi E-mall non si limitano a rubare (un fenomeno ancora in emersione) clienti. Acquisiscono le loro anime.

Facciamo un esempio. Se oggi il Mario va a comprare delle ciabatte su un E-mall il sito (Amazon, Alibaba, Zalando, Yoox scegliete voi) non si limita ad acquisire i dati anagrafici, la mail e i dati della carta di credito del Mario. Ma, grazie all’indecisione del Mario che ha navigato su e giù per il sito, mettendo like ad altri prodotti che lo “intrigavano”, il sito costruisce un’identità del Mario. In pratica con un po’ di visite saprà tutto del Mario. Alla meglio il centro commerciale classico conosce l’identità del Mario e, se il commesso è sveglio ed è supportato da un dipartimenti marketing attivo, potrà raccogliere la mail.

Le tecnologie di ultima generazione stanno ancora prendendo piede e i mall classici, già a corto di soldi, non sono sempre così entusiasti di abbracciare nuove tecnologie. Forse anche un aspetto di ignoranza legato all’età dei decision makers.

L’intelligence dispiegata in un E-mall è tranquillamente 100 volte superiore rispetto a un negozio di un classico centro commerciale.

Quindi prevedibilità delle scorte, acquisto di materie prime, offerte special etc.. sono facilmente pianificabili da un E-mall rispetto a un Mall fisico.

Solo alcune settimane fa Amazon ha lanciato la sua versione del “black day” (il momento in cui gli americani si scagliano come zombie assetati di cervelli umani, a fare uno shopping selvaggio spinti dai forti sconti).

***

Presentati i due problemi la domanda che ci si pone è se la tempesta perfetta dei centri commerciali arriverà anche in Italia.

Io direi di si, i segnali già ci sono, analizziamoli.

Rendite e affitti in lieve calo?

C’è un segreto (non tanto segreto dopo tutto) di ogni centro commerciale. Nessun negozio deve rimanere chiuso. Il motto (non ufficiale) di ogni centro commerciale è “comprare in allegria”. Un negozio chiuso, istintivamente fa tristezza, spinge la Maria a dire al Mario “no dai non andiamo là, che stan chiudendo i negozi (anche se vi è solo un negozio chiuso) mi fa tristezza.”

Il Mario quindi insieme a tanti suoi simili, per non dispiacere la Maria, opterà per un altro centro commerciale che non ha ancora nessun negozio chiuso.

Le rendite sono una cosa che preoccupa non solo i gestori dei centri commerciali, ma i fondi di investimento che lì hanno puntato belle somme. Già nel 2014/2015 Deloitte tracciava (quarto su quarto) un crollo dal 6% al 5% delle rendite. Ben oltre il 15%. Una cifra da far sobbalzare ogni gestore di portfolio immobiliare. Analisi non dissimili le troviamo anche da Savills.

È plausibile che nei prossimi, diciamo 10 anni, vi sia una crescita violenta delle nascite, meglio dire di una generazione che sia disposta a spendere in centri commerciali? Se prendiamo come caso tipico i millennials, opterei per un no. Al netto delle complesse analisi socio economiche i millennials italiani, ma non dissimilmente quelli occidentali, non comprano perché non han soldi.

I centri commerciali possono contentarsi della generazione X (quella del Mario per intenderci) che comunque con gli attuali chiari di luna sarà propensa a spendere in rete, dove tra sconti, e offerte, ci sono opportunità maggiori. Tra l’altro andare a far shopping costa tempo, soldi della benzina o biglietto del treno, insomma tutte ulteriori spese.

Vi sono anche delle buone notizie, in Italia ci sono i turisti e, bontà loro, non tutti sono così ansiosi si comprare on line. Meglio dire che, nel caso loro, l’acquisto è anche un fattore esperienziale (stile “questo cappello l’ho comprato in un piccolo negozietto ad Amalfi etc..). Una nota certo positiva, che tuttavia non salva l’intero comparto dei centri commerciali. Alla meglio possono cavarsela meglio quei centri in zone turistiche.

I brand si stanno già muovendo, una delle frasi più classiche è una “esperienza di vendita multicanale”. Stile si compra on line (magari con lo sconto) e si ritira il prodotto nel punto vendita dello stesso brand (per esempio catene di elettronica). Tuttavia questa soluzione è temporanea. Per adesso va bene, ma sempre più velocemente le catene di retail (sia abbigliamento, elettronica etc..) capiranno che non vale la pena avere un negozio di 100 mq o più per permettere al cliente di fare browsing (navigazione dal vivo delle scelte di acquisto salvo poi comprarle on line). È plausibile che quando l’ago della bilancia tra acquisti on line e fisici penderà verso i primi, i retailers cominceranno a chiudere posizioni fisiche sia indipendenti sia nei centri commerciali.

Il tutto con grande felicità dei fondi immobiliari che avranno puntato sulle rendite, le utilities che erogano servizi e non ultimi commessi e commesse che si ritroveranno esodati.

Vale la pena ricordare che uno dei grandi della vendita on line, Jack Ma, creatore di Alibaba, ha dichiarato pochi mesi fa che il cambiamento verso il digitale, nelle vendite, sarà un percorso di sofferenza per molti anni.

Twitter @EnricoVerga