Cosa ha da dirci la Germania sull’uso e gli effetti della cassa integrazione

scritto da il 03 Novembre 2017

Gli autori di questo post* sono Russell Cooper, Moritz Meyer e Immo Schott –

Un fattore importante dietro al «miracolo tedesco» (dopo il tracollo del Pil di quasi il 7 per cento durante la Grande Recessione, accompagnato da una crescita della disoccupazione inferiore all’1 per certo), è stato il Kurzarbeit (equivalente alla cassa integrazione in Italia), che ha incentivato le aziende a ridurre le ore di lavoro dei dipendenti piuttosto che licenziarli. In questo articolo analizziamo l’efficacia di questa misura e gli effetti potenzialmente negativi su produzione e produttività. Nel breve termine la cassa integrazione ha impedito una discesa più pronunciata della produzione e dell’occupazione, ma ha anche inciso negativamente sulla riallocazione della manodopera fra imprese più e meno produttive, provocando cali della produttività nel medio periodo.

L’andamento dell’economia tedesca durante la Grande Recessione, nel 2009, contrasta nettamente con quello di altri Paesi dell’Ocse. Il calo dell’attività economica più accentuato è avvenuto nell’ultimo trimestre dell’anno, con un tracollo del Pil del 6,9 per cento (grafico 1). Allo stesso tempo, però, il tasso di disoccupazione è cresciuto di meno dell’1 per cento (grafico 2).

Grafico 1. Crescita trimestrale del Pil a un anno, Ocse e Paesi selezionati

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Nota: Crescita trimestrale del Pil comparata a un anno prima per Paesi dell’Ocse selezionati. L’asse delle ordinate mostra il tasso di crescita in percentuale. La linea rossa tratteggiata mostra la Germania. Fonte: Ocse.

Grafico 2. Tassi di disoccupazione, Ocse e Paesi selezionati

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Nota: 2005q1 = 100. La linea rossa tratteggiata mostra la Germania.
 Fonte: Ocse.

I responsabili delle politiche e la stampa economica attribuiscono questo «miracolo tedesco» principalmente all’uso della cassa integrazione. Questa misura ha dato maggiore flessibilità al mercato del lavoro tedesco, consentendo alle imprese di ridurre temporaneamente il fattore lavoro attraverso una riduzione delle ore lavorate (il margine intensivo), invece di licenziamenti (il margine estensivo). In assenza di questo strumento, è estremamente difficile conseguire riduzioni unilaterali delle ore lavorate, anche se il recente aumento delle «banche ore» (Arbeitszeitkonten) ha dato più flessibilità alle imprese in certi settori (Burda e Hunt 2011). I lavoratori che vengono collocati in cassa integrazione ricevono una compensazione parziale per il calo del reddito dal sistema di previdenza sociale.

Questo strumento, che risale ai tempi della Repubblica di Weimar, punta ad attenuare gli shock congiunturali del mercato del lavoro e dev’essere collocato nel contesto di una normativa del lavoro che tutela fortemente i dipendenti, specialmente se confrontata con quella degli Stati Uniti. Quando un’azienda ottiene accesso alla cassa, è libera di ridurre le ore lavorate fino al 100 per cento, per un intero sito di produzione o per un reparto specifico di un sito di produzione. Il rapporto di lavoro con i dipendenti interessati dalla misura viene mantenuto e le ore lavorate effettive vengono pagate come di consueto. Tuttavia, durante il periodo della cassa integrazione, l’impresa continua a versare per intero i contributi previdenziali. Questi «costi residui» hanno portato a un incremento dei salari medi.

I lavoratori in cassa integrazione possono chiedere una compensazione parziale del reddito perduto. A seconda della situazione familiare, il Governo tedesco copre fino al 67 per cento la differenza netta di reddito causata dalla riduzione delle ore lavorate.

Comportamento delle imprese durante la recessione
Lo strumento che abbiamo appena descritto è stato esteso notevolmente nel corso della recente recessione. L’elemento centrale di questa estensione è stato un drastico allentamento dei criteri per richiedere l’attivazione della misura. Il programma è arrivato a coprire circa 60mila stabilimenti e un milione e mezzo di lavoratori (più o meno il 3,5 per cento della forza lavoro). La stragrande maggioranza delle imprese e dei lavoratori interessati operavano nel settore manifatturiero.

La recessione ha raggiunto la Germania nel 2009, causando un forte decremento delle ore lavorate complessive. Le serie temporali aggregate relative alle variazioni di questo indicatore nel settore manifatturiero sono raffigurate nel grafico 3, che mostra che la riduzione (e il successivo incremento) delle ore lavorate complessive nel 2009 è stata dovuta in gran parte a un decremento delle ore lavorate per dipendente. Questo è l’effetto della maggiore flessibilità nelle riduzioni di orario a livello di impresa.

Grafico 3. Variazione delle ore lavorate complessive (settore manifatturiero)

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Fonte: Cooper et al. (2017)

Diversi saggi hanno studiato gli effetti occupazionali della più recente iterazione della cassa integrazione in Germania tra il 2009 e il 2011. Mentre Balleer et al. (2016) sostengono che l’applicazione di questa misura ha ridotto significativamente la disoccupazione, Burda e Hunt (2011) attribuiscono maggiore importanza alla reticenza ad assumere durante la precedente fase espansiva. In un contributo collegato, Dustmann et al. (2014) affermano che le tendenze di lungo periodo nella decentralizzazione del processo di determinazione dei salari hanno portato a incrementi della competitività che hanno reso più flessibile il mercato del lavoro tedesco.

In un nuovo saggio, usiamo dati relativi all’universo delle imprese manifatturiere tedesche per valutare l’efficacia della cassa integrazione nel salvare posti di lavoro, studiando allo stesso tempo i suoi potenziali effetti negativi su produzione e produttività (Cooper et al. 2017). Questi effetti negativi potrebbero venire da un peggioramento dell’allocazione dei fattori nei siti di produzione, perché le aziende in espansione trovano più costoso assumere lavoratori, la cui riallocazione tra un’impresa all’altra è impedita dalla cassa integrazione.

L’effetto della cassa integrazione è chiaramente visibile nei microdati, come mostra il grafico 4, che raffigura la distribuzione delle variazioni delle ore lavorate annuali per lavoratore. Rispetto agli anni 1995-2008, l’espansione del ricorso alla cassa nel 2009 ha condotto a un forte e significativo incremento delle riduzioni di orario medie, di oltre il 10 e il 20 per cento. Con la graduale rimozione del contratto di solidarietà, nel 2010, si può osservare un’analoga tendenza all’incremento dell’orario medio.

Grafico 4. Variazioni delle ore lavorate annuali per lavoratore

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Fonte: Cooper et al. (2017)

Effetti del contratto di solidarietà sulla produzione
Il nostro saggio risponde alle domande sull’efficacia della cassa integrazione per salvare posti di lavoro e i suoi effetti sulla produzione e la produttività, simulando uno scenario controfattuale per stabilire quale sarebbe stata la reazione alla recessione in assenza di questa misura. Nella nostra analisi, la scelta del fattore lavoro è collocata in un contesto con aziende con più dipendenti eterogenee, che tiene conto della contrattazione fra un’azienda e i suoi lavoratori (Cooper et al. 2007, Elsby e Michaels 2013). Le aziende sono soggette a shock persistenti aggregati e specifici, e scelgono sia i livelli occupazionali che le ore lavorate. Le variazioni delle ore lavorate sono costose, perché i lavoratori devono essere compensati. Inoltre, la politica esistente limita le correzioni sul margine intensivo.

Anche le correzioni sul margine estensivo, attraverso assunzioni e licenziamenti, sono costose, per via delle frizioni di mercato e dei costi di assunzione. La politica ottimale delle imprese bilancia costi e benefici tenendo conto delle politiche occupazionali stabilite dal Governo. Variazioni di tali politiche, per esempio attraverso un’espansione della cassa integrazione, determinano una risposta da parte delle imprese e di conseguenza una reazione in termini di fluidità del mercato del lavoro.

Usiamo microdati confidenziali a livello di fabbrica per calcolare i parametri di un modello di ricerca d’impiego per il mercato del lavoro tedesco. Il nostro esercizio quantitativo usa l’approccio del metodo dei momenti simulati per combinare la distribuzione delle ore lavorate e le variazioni nelle aziende tedesche prima della cassa integrazione.

Usando queste stime, simuliamo l’impatto della cassa integrazione. I nostri risultati confermano che attenua l’impatto negativo della recessione economica sul mercato del lavoro e riduce il calo occupazionale. Le aziende sono indotte a rispondere a condizioni di domanda avverse intervenendo sulle ore lavorate, invece che sul numero di lavoratori. In base al nostro modello stimato, in assenza di cassa integrazione il calo occupazionale durante la recessione sarebbe stato del 5,3 per cento e la disoccupazione sarebbe salita di circa quattro punti percentuali.

Un secondo effetto riguarda la riallocazione. È meno evidente, perché agisce attraverso l’equilibrio generale del modello e descrive le esternalità (negative) del comportamento delle imprese. Con la cassa integrazione, le aziende meno produttive licenziano meno lavoratori, e quindi ci sono meno lavoratori in cerca di impiego. Di conseguenza, le aziende più produttive trovano più complicato assumere manodopera. In altre parole, la cassa integrazione rallenta il riempimento dei posti vacanti. Nelle economie di mercato, è dimostrato che l’efficienza dell’allocazione dei fattori tra siti di produzione gioca un ruolo importante per la produttività aggregata (Hsieh e Klenow 2009, Restuccia e Rogerson 2008). Intromettendosi nella riallocazione dei fattori tra siti di produzione (cioè impedendo che la manodopera defluisca verso le aziende più produttive), la cassa integrazione può generare effetti negativi sul Pil, attraverso questo «canale di riallocazione».

I risultati dell’analisi mostrano che la cassa integrazione ha avuto un impatto profondo sugli esiti del mercato del lavoro e ha plasmato l’impatto a breve e medio termine della crisi. Il primo effetto è di salvare posti di lavoro nel breve termine, perché le aziende si adeguano sulla base del margine intensivo, invece di quello estensivo. Il secondo effetto è che le aziende mantengono i lavoratori sotto contratto, e questa tesaurizzazione del lavoro ha un impatto negativo sulla riallocazione della manodopera fra imprese più produttive e meno produttive. Il risultato è una riduzione della produttività nel medio termine.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

*La versione originale del post è stata pubblicata su Voxeu.org

Bibliografia
Balleer, Almut, Britta Gehrke, Wolfgang Lechthaler e Christian Merkl (2016), “Does short-time work save jobs? A business cycle analysis”, European Economic Review, 84, pp. 99-122.

Brenke, Karl, Ulf Rinne e Klaus F. Zimmermann (2011), “Short-time work: The German answer to the Great Recession”, IZA Discussion Paper n. 5780.

Burda, Michael C. e Jennifer Hunt (2011), “What explains the German labor market miracle in the Great Recession”, Brookings Papers on Economic Activity, 42, pp. 273-335.

Burdett, Kenneth e Randall Wright (1989), “Unemployment insurance and short-time compensation: The effects on layoffs, hours per worker, and wages”, Journal of Political Economy, 97, pp. 1479-1496.

Cahuc, Pierre e Stéphane Carcillo (2011), “Is short-time work a good method to keep unemployment down?”, Nordic Economic Policy Review, pp. 133-164.

Cooper, Russell, John Haltiwanger e Jonathan L. Willis (2007), “Search frictions: Matching aggregate and establishment observations”, Journal of Monetary Economics, 54, pp. 56-78.

Cooper, Russell, Moritz Meyer e Immo Schott (2017), “The employment and output effects of short-time work in Germany”, Nber Working Paper n. 23688.

Dustmann, Christian, Bernd Fitzenberger, Uta Schönberg e Alexandra Spitz-Oener (2014), “From sick man of Europe to economic superstar: Germany’s resurgent economy”, Journal of Economic Perspectives, 28, pp. 167-188.

Elsby, Michael W. L. e Ryan Michaels (2013), “Marginal jobs, heterogeneous firms, and unemployment flows”, American Economic Journal: Macroeconomics, 5, pp. 1-48.

Hsieh, Chang-Tai e Peter Klenow (2009), “Misallocation and manufacturing TFP in China and India”, The Quarterly Journal of Economics, 124 (4), pp. 1403-1448.

Restuccia, Diego e Richard Rogerson (2008), “Policy distortions and aggregate productivity with heterogeneous plants”, Review of Economic Dynamics, 4, pp. 707-720.

NOTA
Un’analisi del quadro istituzionale in Germania è fornita da Burda e Hunt (2011) e Brenke et al. (2011).  Al contrario, Burdett e Wright (1989) modellizzano la scelta di ore e dipendenti in un contesto di contrattazione statica. La nostra analisi differisce da Balleer et al. (2016), che studiano la cassa integrazione in un contesto dove le aziende non sono eterogenee, e di conseguenza gli effetti di riallocazione sono assenti.