Bitcoin. So di non sapere

scritto da il 01 Dicembre 2017

Pubblichiamo un post di Stefano Capaccioli, dottore commercialista e presidente Assob.it –

Il FinTech e la rivoluzione digitale sono un argomento all’ordine del giorno su tutti i giornali. Il bitcoin ha stupito tutti e superato gli 11mila dollari Usa, le ICOs stanno rivoluzionando il mercato dei capitali e l’idea di microtransazioni e di smart contract sta delineando un futuro possibile.

La parte digitale ed informatica di tutte le imprese sta assumendo la prevalenza, forse la predominanza nella vita aziendale, dalla cybersecurity alla necessità di web reputation.

Volenti o nolenti, questo è il nuovo mondo.

Possiamo diventare tecnofobi, rifiutando le innovazioni ritenendole inutili e dannose o per mantenere il proprio status quo all’interno della propria organizzazione.

Molti ne indicano solo gli aspetti negativi, i potenziali usi illeciti e diffondono FUD (Fear – paura, Uncertainty – incertezza and Doubts – dubbi) ingenerando nel pubblico la convinzione di usi esclusivamente criminali.

Gran parte dei giornalisti cercano avidamente notizie pruriginose con salti pericolosi che portano a cadute rovinose, come il giornalista Lewis Sanders IV si dovette scusare via Twitter dell’infondatezza della notizia (qui) dopo aver lanciato la notizia su Deutsche Welle dell’utilizzo di bitcoin da parte dello Stato Islamico (“Bitcoin: Islamic State’s online currency venture”).

Oggi la maggior parte dei giornali hanno dato la notizia di un warning del vice direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, in audizione alla Commissione Finanze alla Camera dei Deputati (qui il video dell’audizione e qui il testo dell’intervento).

Le testate hanno intravisto una critica alla quotazione, quando in realtà è stato un sensato e condivisibile warning sulla possibile vulnerabilità a possibili crisi di fiducia, fragilità tipiche di mercati non regolamentati quale quello delle criptovalute.

Ribadisco che le criptovalute non sono state create per speculare né per essere scambiate in moneta a corso legale: la prima indicazione di prezzo (1.309,03 bitcoin per 1 dollaro statunitense) è avvenuta a distanza di oltre 10 mesi dalla creazione del primo blocco. L’aspetto rilevante che, a mio avviso, si coglie è l’affermazione di non comprendere le criptovalute.

Testualmente si ascolta:
“Non riesco a vedere quale sia la forza intrinseca di questi strumenti.”, “Si accetta uno strumento che dà il diritto a cederlo a qualcun altro. (…) Esiste un mondo che dà fiducia a questi strumenti.”

La conoscenza dei propri limiti con la condivisione della difficoltà a comprendere uno strumento che rompe gli schemi è sintomo di onestà intellettuale.

Nell’attività di studio delle criptovalute molte volte ci si trova spesso di fronte ad interrogativi e riflessioni faticose che ci portano allo specchio e a dubitare delle nostre stesse credenze.

La difficoltà aumenta più si entra in questo mondo contraddittorio, fino a comprendere che la contraddizione è del mondo “normale”.

Se mi fido di una istituzione fatta di uomini, di una valuta imposta per legge (e con la forza) gestita da Stati e da Banche Centrali, perché non posso dare fiducia ad una rappresentazione digitale, ad una valuta virtuale che posso detenere senza doverla depositare le cui regole sono esclusivamente basate su un algoritmo?

Le criptovalute scuotono fortemente gli assiomi e i postulati su cui abbiamo costruito la nostra economia dato che il sistema relazionale era basato sulla centralizzazione: con l’innovazione diventa possibile farne a meno e conseguentemente possiamo analizzare la validità o la tenuta del sistema.

Occorre però ripartire dalle basi, da quegli assiomi, tra cui la definizione e la funzione della moneta. La classica definizione nel diritto anglosassone è in Moss v Hankock (1899) “Il denaro … (è) ciò che passa liberamente di mano in mano attraverso la comunità per l’adempimento dei debiti o il pagamento dei beni e servizi, essendo accettato allo stesso modo senza alcun riferimento alle caratteristiche o all’affidabilità della persona che lo offre e senza l’intenzione della persona che lo riceve di consumarlo o destinarlo a qualsiasi altro uso che non sia quello di adempimento di debiti o di pagamento di merci.”

Il denaro non è quindi esclusivamente uno strumento che da solo il diritto di cederlo a terzi per pagare beni o servizi o per pagamento di debiti?

Basta eliminare l’emittente e confidare nell’algoritmo: può sembrare un salto nel buio ma oramai tutta la nostra vita è legata a bit e codici. Forse dovremmo abbandonare le nostre difese e incamminarci in questo mondo nuovo e sconosciuto, dovendo reinventare parte delle nostre regole.

Twitter @s_capaccioli