Foodora, Glovo e le altre. Il lavoro cambia ma i diritti non si calpestano

scritto da il 22 Dicembre 2017

Se c’è un mercato in Italia e in tutto il mondo che non conosce crisi è quello della ristorazione. Nelle famiglie italiane si cucina sempre meno per via di ritmi di lavoro sempre più serrati, crescita dell’occupazione femminile e necessità di accontentare tutti (vegani, vegetariani, celiaci, ecc.), mentre nei ristoranti si festeggia per l’aumento dei clienti. I ristoratori, però, non sono gli unici ad esultare: a brindare sono anche le piattaforme di food delivery, che, come si può vedere nel grafico, hanno visto un aumento esponenziale dei loro clienti. Sempre più italiani preferiscono ordinare il proprio pasto anziché cucinarlo, grazie all’aumento nella varietà di cibo offerto: non si tratta più solo della classica pizza, grazie alle piattaforme di food delivery si può ordinare ogni genere di squisitezza.

immagine

Le condizioni dei lavoratori

Se da un lato i consumatori sono sempre più soddisfatti di questo servizio per la sua efficienza, lo stesso non si può però dire dei lavoratori delle piattaforme di food delivery. Sebbene l’aumento esponenziale di utenti abbia fatto crescere anche la domanda di lavoro da parte delle piattaforme (come Foodora, Glovo, Deliveroo), le condizioni dei lavoratori non sono affatto migliorate nel tempo.

La peculiarità di queste piattaforme è che l’assunzione avviene sulla base di contratti di lavoro estremamente flessibili, rendendo la scelta dell’orario lavorativo del tutto discrezionale per il lavoratore. Una libertà, però, solo apparente: diverse testimonianze di riders mostrano come la decisione di non lavorare per qualche giorno possa influire negativamente sul loro ranking. Il ranking è la classifica dei riders elaborata automaticamente dalle piattaforme, in base alla quale viene effettuata la scelta dei turni fra i fattorini e in cui, in realtà, si perdono punti anche per variabili al di fuori del controllo dei fattorini, come il numero di ordini rifiutati o le cattive recensioni sulla qualità del prodotto. Inoltre, in quanto generalmente considerati lavoratori autonomi, senza diritto a ferie o malattie pagate, anche i periodi di lunga inattività influiscono negativamente sul ranking.

Per quanto riguarda i salari, la situazione è ancora più complessa. Da poco tempo la retribuzione di alcune piattaforme viene calcolata in base alle consegne e non in base alle ore lavorate. Se nelle intenzioni delle piattaforme- in particolare di Foodora – il passaggio al cottimo serve per aumentare la retribuzione netta, per i riders questa scelta è stata difficile da digerire, tanto è vero che eliminare il cottimo era una delle principali rivendicazioni delle ultime proteste.

Questa forma di pagamento genererebbe una competizione tra i fattorini, che sfreccerebbero fra le vie delle metropoli italiane per una manciata d’euro in più.  Una pratica molto insicura, considerando le basse coperture assicurative offerte dalle piattaforme: Deliveroo, per esempio, copre solo i danni superiori solo a 150 euro. E niente copertura per i danni personali.

Dipendenti o autonomi?

Queste forme di lavoro appartenenti al cosiddetto mondo della “gig economy”, cioè l’economia del lavoretto, si inseriscono in un mercato del lavoro non preparato al loro ingresso in quanto, come già detto, le tipologie dei contratti offerti sono atipici per la giurisdizione attualmente in vigore.

Uno studio della società di consulenza McKinsey fa rientrare queste tipologie di lavoro nell’universo del lavoro indipendente, evidenziando come queste tipologie occupazionali abbiano un futuro di forte espansione dovute alla capacità di rendere molto più efficiente l’incontro tra domanda e offerta.

Su questa tematica è intervenuto Antonio Aloisi, studente di dottorato presso l’Università Bocconi di Milano, con il paper “Il lavoro “a chiamata” e le piattaforme online della collaborative economy: nozioni e tipi legali in cerca di tutele” , sottolineando come questo disruptive phenomenon abbia la capacità di riuscire a traslare certe prestazioni lavorative dall’informalità alla formalità e, dunque, di fornire un’alternativa vera a proprio al posto fisso, la cui afferente legislazione si è ben più che consolidata nel corso degli anni (parliamo di profili fiscali, assicurativi, questioni relative alla tutela della salute e della sicurezza). Questo in cambio di una presunta autonomia imprenditoriale e della flessibilità. Si assiste quasi ad una “atomizzazione” del lavoratore.

Un altro aspetto di fondamentale importanza è poi la frammentazione del lavoro in fasi, cicli, progetti, programmi assegnati ad individui diversi, ancora una volta trovando nel canale tecnologico un acceleratore in grado di distribuire efficientemente le disponibilità a seconda dei fabbisogni.

Il rischio si materializza come una sorta di limbo fra lavoro autonomo e subordinato, in particolar modo se la collaborazione è la sola fonte di integrazione nei ritagli di tempo dal lavoro principale.

Sempre secondo lo studio di McKinsey, i lavoratori dipendenti si dividono oggi in tre gruppi: un primo gruppo di lavoratori, circa il 40%, svolge un lavoro indipendente per scelta utilizzandolo come occupazione “per arrotondare”, un 30% che sempre volontariamente utilizza questa forma di lavoro come fonte primaria del proprio reddito e un restante 30% svolge un lavoro indipendente dettato da una condizione di necessità. Chi svolge un lavoro indipendente per scelta riporta tassi di soddisfazione maggiori rispetto ai tipi di lavoro tradizionali, in quanto li ritengono più gratificanti riguardo la flessibilità oraria, la creatività e anche per il livello di reddito. Tuttavia molti lavoratori di questo genere, in particolare i lavoratori “gig”, soffrono un deficit di stabilità, che spesso gli preclude anche l’accesso al credito.

Per quanto riguarda i contributi, in Italia vengono pagati sia quelli INPS che quelli INAIL, mentre la compagnia assicurativa Zurich mette in allarme il Regno Unito evidenziando come le attuali condizioni lavorative rischino di far perdere a questi lavoratori più di 22.000 sterline di contributi ad ognuno.

Il futuro 

Se il futuro sarà caratterizzato da una diffusione di questi posti di lavoro è necessario domandarsi come poter dare maggiori garanzie ai “gig workers”, tema condiviso anche dalle piattaforme stesse. Matteo Sarzana, amministratore delegato di Deliveroo Italia, ritiene importante per il futuro coniugare flessibilità e sicurezza, garantendo un’assicurazione di malattia e addirittura stock option per chi soddisfa certi requisiti, chiedendo comunque una modernizzazione del mercato del lavoro superando la dicotomia tra lavoro dipendente e indipendente. Il Segretario Generale CGIL, Susanna Camusso, dal verso opposto, ritiene che non si debba modificare la giurisdizione per assecondare le necessità di queste nuove piattaforme ritenendo a tutti gli effetti questi lavoratori come lavoratori dipendenti.

Alla politica spetta l’oneroso compito di interpretare il futuro e saper coniugare le esigenze di chi offre e domanda queste tipologie di occupazione, sapendo che il mercato del lavoro del domani sarà totalmente diverso da quello del ‘900 e di conseguenze gli strumenti di ieri potrebbero essere oggi inefficaci.

Un mercato del lavoro che senza alcun dubbio subisce e subirà trasformazione dovute anche alla rivoluzione della robotica, un fenomeno che non trascura neppure la “gig economy”: prototipi di “fattorini automatizzati” sono già realtà e in un futuro prossimo li potremo vedere sulle nostre strade. Attendere inermi la rivoluzione tecnologica, però, è molto pericoloso: fare chiarezza sul lavoro dei riders, garantirgli i diritti fondamentali, è la strada da seguire.

Coniugare le esigenze delle piattaforme e dei lavoratori è un compito di fondamentale importanza per la politica, tenendo sempre presente che queste tipologie di occupazioni non devono essere permanenti. Il lavoro del fattorino è sempre stato temporaneo, per “arrotondare”, ma questo non deve fornire alle piattaforme la possibilità di calpestare i diritti dei suoi lavoratori.

Twitter @Tortugaecon