Facciamo come il Portogallo?

scritto da il 18 Gennaio 2018

“C’è il rischio di una significativa deviazione dall’aggiustamento strutturale raccomandato dal Consiglio il 14 luglio 2015. La Commissione invita le autorità a prendere le necessarie misure all’interno del processo di formazione del bilancio nazionale per assicurare che il bilancio del 2016 rispetti il patto di stabilità finanziaria”.

In questo modo la Commissione Europea valutava nel febbraio del 2016 il nuovo piano di bilancio del Portogallo, presentato dall’appena insediato Governo del socialista Antonio Costa. Una valutazione che, se non fosse stata seguita, avrebbe portato il Portogallo verso una sanzione pari allo 0,2% del Pil, per il mancato rispetto del patto di stabilità. Le richieste però non vennero accolte, stante il mandato politico che il neo Governo di minoranza aveva ottenuto. Il rischio, spesso ventilato durante le elezioni, che i partiti di sinistra avrebbero potuto condurre il Portogallo in una situazione simile a quella vissuta dalla Grecia con Tsipras, sembrava potersi manifestare concretamente. Ma nel luglio 2016 la Commissione, pur riconoscendo il mancato rispetto delle prescrizioni, evitò di scontrarsi con il nuovo Governo e nessun provvedimento di correzione venne preso. Un anno dopo, nel giugno del 2017, il Portogallo è uscito dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo, concludendo così otto lunghi anni fatti di consolidamento fiscale, crisi economica, disoccupazione e aiuti finanziari internazionali.

Cosa è successo?

La manovra economica per l’anno 2016 segnava un punto di rottura rispetto alla linea seguita dal precedente Governo. Essa infatti eliminava tutta una serie di misure introdotte con il Memorandum, quali il taglio agli stipendi pubblici, la sovrattassa sui redditi delle persone fisiche e reintroduceva il reddito di inserimento sociale destinato alle fasce più deboli della popolazione. Era inoltre prevista la diminuzione dal 23% al 13% dell’IVA sui ristoranti e l’aumento del salario minimo a 530 euro. Nella manovra però si stabiliva anche il contenimento della spesa pubblica per quanto riguarda i consumi intermedi, l’aumento dell’imposizione sui prodotti petroliferi e la riduzione delle imposte per le imprese al 21%.

L’obiettivo era in sostanza quello di spingere i redditi delle fasce medio/basse della popolazione, quelle maggiormente colpite dalla crisi di questi anni, e contestualmente ridurre parte della tassazione che penalizzava il settore produttivo e ricettivo. La manovra si stimava che avrebbe aumentato il deficit di 0,8 punti di Pil rispetto al programma presentato nel 2015, aumento quasi equamente ripartito tra maggiori spese e minori entrate. Una manovra che pertanto prevedeva sia l’aumento della spesa corrente che la riduzione delle imposte, e che, secondo i canoni di valutazione di Bruxelles avrebbe corso il rischio di far deragliare la fragile economia portoghese. Dello stesso avviso erano anche i mercati finanziari che prezzarono in aumento il rischio sovrano del Portogallo. Lo spread di rendimento tra il decennale portoghese e quello tedesco passò da circa 200 di fine 2015 a circa 350 alla metà del 2016.

Nonostante lo scetticismo generale, però, i risultati sui conti pubblici sono stati migliori del previsto. Le spese sono state inferiori di 0,5 punti di Pil rispetto a quanto programmato, le entrate dello 0,1 superiori. Risultati positivi che sono proseguiti anche lo scorso anno. L’espansione economica di questi ultimi trimestri sta producendo effetti positivi sulle entrate, con il minore gettito da imposte dirette che è compensato dall’aumento di gettito da imposte indirette e contribuzione sociale.

Dal lato della spesa pubblica invece è interessante notare che, al di là degli effetti una-tantum legati al contributo al settore bancario, la riduzione della spesa rispetto al 2015 è essenzialmente legata al calo degli interessi sul debito e alla forte contrazione degli investimenti pubblici (figura 1). La spesa, in punti di Pil, per investimenti pubblici del Portogallo è diventata la più bassa in Europa.

figura-1-spesa-pubblica

Nel complesso l’intervento della manovra, sebbene più neutrale rispetto a quanto programmato, ha spostato risorse verso i redditi privati attraverso una minore tassazione diretta ed un aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici. Questo fenomeno, associato all’aumento del salario minimo ed a una minore propensione al risparmio della popolazione, si è trasferito in un forte aumento dei consumi, pari a +2,9% annuo a fine 2016 e +2,5% annuo nel terzo trimestre 2017. Il rinnovato clima di crescita e fiducia ha di recente spinto anche gli investimenti privati, cresciuti di oltre il 10% sia nel settore delle costruzioni che in quello dei macchinari.

Proprio il settore delle costruzioni abitative, così martoriato dalla crisi, pare aver ripreso nuovo vigore. Grazie alle nuove richieste abitative provenienti dall’estero e alla scarsa offerta, i prezzi sono in crescita da un paio di anni, ormai prossimi, in termini reali, ai livelli raggiunti nel 2008 e solo del 5% inferiori al picco del 2007. Si stima che per i prossimi 5 anni la crescita media nominale dei prezzi delle abitazioni possa arrivare al 6% annuo. Chiaro come in questo rinnovato contesto di crescita nuovi investimenti non tardino ad arrivare.

Spinta dei consumi interni e crescita degli investimenti in costruzioni, pare di rivedere un film già visto. Però, mentre nel 2007 tutto avveniva con un deficit commerciale e di partite correnti intorno al 10% del Pil, questa volta i conti con l’estero sono in perfetto equilibrio o in moderato surplus. In questo risiede una vera novità.

Se andiamo a vedere gli scambi con l’estero si nota infatti che sebbene le importazioni di beni e servizi siano tornate al livello del 2007, le esportazioni sono adesso ben più ampie di allora (figura 2).

figura-2-saldo-estero

Vari fattori spiegano questa diversa performance, tra di essi un ruolo fondamentale è dato dal settore turistico, che in questi anni, per motivi non solo geopolitici, ha quasi raddoppiato i volumi di export in termini di Pil. L’export di beni sfrutta la favorevole dinamica della domanda di Paesi extra-EU (in particolare di Angola e Brasile) e della vicina Spagna.

Pare quindi che, sebbene la crescita del Paese stia tornando su livelli di tutto rispetto, non molto diversi da quelli registrati prima della crisi, essa stia avvenendo su basi più bilanciate. Certamente, come visto anche nel caso della Spagna, alcuni fattori contingenti come il prezzo delle materie prime, i bassi tassi d’interesse ed i favorevoli flussi turistici influiscono affinché non vi sia un peggioramento dei conti con l’estero.

Restano infatti delle debolezze strutturali che il favorevole contesto economico internazionale tende a mascherare. In primo luogo l’enorme posizione negativa sull’estero (superiore al 100% del Pil) che rende il sistema economico molto vulnerabile al cambio di “sentiment” del mercato finanziario. In secondo luogo la fragilità del sistema bancario che ancora deve smaltire buona parte dei crediti deteriorati accumulati in questi anni. In terzo luogo la bassa produttività del lavoro, che con una dinamica salariale in deciso aumento negli ultimi due anni (mediamente intorno al 2% annuo), potrebbe far perdere velocemente competitività al sistema.

Nonostante queste debolezze non si può che apprezzare, così come poi la stessa Commissione Europea ha riconosciuto, il coraggio delle scelte del Governo Costa. Un coraggio che attualmente pare essere apprezzato anche dal mercato. Lo spread sul decennale portoghese è a 120 punti, un valore inferiore anche a quello del decennale italiano (140).

Chissà se anche per la nostra economia non serva maggiore coraggio al Governo?

Twitter @francelenzi