L’Italia del rancore e della nostalgia sogna il dorato passato e l’isola che non c’è

scritto da il 07 Marzo 2018

L’esito delle elezioni politiche ha evidenziato una netta vittoria della Lega di Matteo Salvini e del Movimento 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio, il che deve portarci a riflettere lucidamente sulle ragioni sottostanti a tale sommovimento sociale.

Credo che il messaggio vincente di entrambi i partiti vincenti sia: “Torniamo al dorato passato” o “Quanto è bella la nostalgia di bei tempi andati”. Mi spiego.

L’Italia è divisa in due: al Nord il centrodestra stravince, nel Sud e nelle Isole, nel Regno borbonico delle Due Sicilie, si affermano con percentuali clamorose i 5 Stelle, che hanno ottimamente fatto leva sul rancore.

Nelle regioni del Nord sono molto presenti le imprese esportatrici, i lavoratori autonomi, gli artigiani, tutte categorie che sognano di tornare ai tempi della lira, che svalutava appena poteva, vaso di coccio tra vasi di ferro. Nel 1971 ci volevano 172 lire per un marco. Dopo la memorabile negoziazione di Carlo Azeglio Ciampi – allora ministro del Tesoro del governo Prodi – all’Ecofin del 24 novembre 1996, il cambio fu fissato a 990 lire per un marco.

Siamo un Paese nostalgico. Sogniamo i bei tempi andati, la competitività basata sulle continue svalutazioni (Salvini non vagheggia forse l’uscita dell’Italia dall’euro?). Nel bel volume “Ricchi per caso” (il Mulino, 2017), curato da Paolo di Martino e Michelangelo Vasta, nelle conclusioni si legge: “Con la crisi petrolifera degli anni Settanta, in uno scenario internazionale mutato (non più cambi fissi, ma flessibili), la classe dirigente del paese, da quella politica a quella imprenditoriale e sindacale, ha scelto di competere con un modello diverso: fatto di inflazione all’interno e svalutazione all’esterno, unite a debito pubblico. Questa strategia favoriva le imprese specializzate nei settori ‘tradizionali’, che beneficiavano maggiormente del cambio debole; mentre a causa della gestione clientelare della spesa, la pubblica amministrazione, il sistema fiscale e quello tributario, ma anche la ricerca e l’innovazione, si deterioravano ineludibilmente”.

I nostalgici vogliono tornare alle svalutazioni continue, all’inflazione che fa rivalutare gli immobili, alle pensioni baby e al retributivo (Salvini non è andato fin sotto casa di Elsa Fornero gridando di voler abolire al più presto la migliore riforma pensionistica degli ultimi 20 anni?), scaricando il tutto sui bambini non ancora nati. Aveva ragione Guido Carli, quando firmò il Trattato di Maastricht nel febbraio 1992: gli italiani non si rendono conto che una volta firmato, devono cambiare i comportamenti.

Fortunatamente in Europa abbiamo le “mani legate”, come scrissero Giavazzi e Pagano nel lontano 1988 (“The advantage of tying one’s hand: EMS Discipline and Central bank credibility”, F. Giavazzi, M. Pagano, 1988). Possiamo fare poco con i vincoli stringenti del Trattato di Stabilità e Crescita. Potremmo fare invece molto a livello interno per migliorare la nostra competitività di sistema. Ma…

Nel Sud e nelle isole, con percentuali di disoccupazione molto alte, emerge vivido il rapporto tra livello di reddito pro-capite e successo del M5s (si vedano i due grafici qui sotto). Si sogna il reddito senza lavorare (alias reddito di cittadinanza), si crede ancora nel “miracolo economico”, come se non fosse il frutto di precise politiche economiche del dopoguerra (grazie a Baffi e Menichella, De Gasperi e Vanoni).

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Vogliamo ancora un’economia domestica protetta dalla concorrenza internazionale. Vorremmo tornare al Muro di Berlino, che faceva dell’Italia un’isola protetta. Potevamo fare quello che volevamo perché eravamo centrali nella Guerra fredda. Giuseppe De Rita – come ha ricordato Paolo Bricco domenica sul Sole 24 Ore – nel suo ultimo rapporto Censis (2013-2016) ha parlato con formidabile sintesi di “Età del rancore e della nostalgia”.

Vogliamo tante cose, senza pagarne i costi. Amiamo le scorciatoie, vogliamo ancora scaricare sulle nuove generazioni. Vogliamo tornare al tempo di Remo Gaspari e delle assunzioni a gogò alle Poste. Ma non è più possibile. L’italiano vive di illusioni, ci vuole qualcuno che glielo dica a chiare lettere.

Raffaele Mattioli nel 1972 sostenne che all’Italia manca una classe dirigente adeguata. Con gli occhi di oggi, si può sostenere che manca la qualità della civile convivenza, una popolazione in grado di comprendere la gravità della situazione e la necessità di rimedi seri. Senza illudersi che esistano le vie brevi. Occorrono i “tempi lunghi” evocati da Luigi Einaudi. Quando la classe politica valida c’è, quando soggetti capaci si candidano, il “popolo” vota i meno capaci, creando una peggiocrazia, dove l’ignorante, colui che ignora, addirittura si vanta, invece di vergognarsi. Se Angela Merkel (o Macron) si candidasse in Italia, prenderebbe come il Partito d’Azione nel 1946: l’1,5%.

Twitter @beniapiccone