Fare soldi con lo smart working si può?

scritto da il 30 Aprile 2018

Un tempo c’erano gli uffici. Belli o brutti, che tu fossi un banchiere o uno del marketing ci entravi alle 9 del mattino e ne uscivi alle 18.

A naso quel mondo è finito: siamo di fronte ad un fenomeno di dematerializzazione degli uffici, meglio dire della loro necessità come sito operativo di lavoro, che sta venendo meno in Occidente. Persino in Italia, che nella classifica contenuta in un report Eurofound-ILO pubblicato l’anno scorso risulta ultima (si veda il grafico in basso), si comincia a capire che l’importante è fare delivery: insomma, consegnare il progetto.

I vantaggi dello smart working sono diversi ed è bene dirlo, non sono adatti a chiunque. Chiunque abbia ancora una visione da ufficio standard, deve riflettere attentamente se decidere di utilizzare lo smart working come soluzione.

Consideriamo comunque i vantaggi più interessanti sia per il singolo che per la comunità. Risparmi tempo per i trasporti. In Brasile spingono molto sul tema, dato che, per esempio, Rio de Janeiro è super congestionata e il modo più veloce di spostarsi da un palazzo ad un altro è saltando su un elicottero e atterrando sui tetti dei grattacieli. È un metodo figo ma non tutti possono permettersi un elicottero.

In Danimarca e in Giappone lo fanno per risparmiare sui costi degli uffici. I lati positivi sulla produttività non mancano, a giudicare dai dati riportati nella analisi del governo britannico.

Percentuale di dipendenti che lavorano in remoto (Telework/ICT-mobile work) nell'Ue a 28, per categoria e Paese

Percentuale di dipendenti che lavorano in remoto (Telework/ICT-mobile work) nell’Ue a 28, per categoria e Paese

Il concetto di smart working si può semplificare in due grandi gruppi. Si può lavorare da casa (o facendo il couch surfer, “rubando” il divano agli altri) oppure in un business center.

Vi sono ovviamente delle vie di mezzo ibride, come per esempio una poltrona comoda da Starbucks (in arrivo prossimamente anche in Italia), il prato del tuo parco preferito oppure mentre porti a spasso il cane (che se intercetta un gatto poi ti voglio vedere a fare venire bene una presentazione in ppt!). In rete si possono trovare tutorial di ogni sorta sul come essere più efficienti lavorando da casa. Tuttavia è lo smart working “strutturato”, quello che viene pianificato dove vi sono investimenti, che attira la mia attenzione.

Per dirla in modo pratico, nello smart working ci sono soldi da fare.

Consideriamo prima di tutto lo scenario estero. We Work è una realtà affermata. Cosa fanno? Hanno cominciato a gestire spazi di smart working e nel tempo hanno definito uno standard qualitativo.

Il gruppo oggi vale oltre 20 miliardi. Il percorso è stato veloce. Dando per assunto che il lavoro è parte integrante della vita della maggior parte di noi, in We Work hanno adottato una visione a 360 gradi dell’“esperienza lavoro”. Sono sintomo di questa strategia alcune delle ultime operazioni: We Work ha lanciato con successo un brand di palestre, una accademia per imparare a programmare (scrivere codici), ha siglato una partnership con Airbnb in modo da poter intercettare il traffico dei lavoratori occasionali che usano gli spazi in affitto, sta pianificando il lancio di una scuola, comprato Meetup (un famoso sistema di aggregazione di gruppi), il tutto finanziato da una raccolta di oltre 4 miliardi di dollari.

Un’analisi del WSJ descrive con attenzione la profittabilità e i fattori di crescita di We Work. Oggi il gruppo è presente in 64 città nel mondo, praticamente ovunque, tranne una nazione. Indovinate quale.

In Italia il gruppo non esiste. Per trovare la versione tricolore di We Work dobbiamo spostarci in via Copernico 38, dove è nato l’omonimo gruppo.

Partito con una visione di smart working ha in pochi anni ha percorso le stesse tappe (su scala nazionale) di We Work. “Quando sono arrivato, nel 2016, il gruppo gestiva circa 26.000 mq, circa la superficie totale del Palazzo Pirelli di Milano”, mi spiega Franco Riva, Cfo del gruppo. “Oggi abbiamo raddoppiato gli spazi aprendo anche a Torino, Roma e abbiamo in pipeline un ulteriore raddoppio degli spazi nei prossimi 2 anni. In Italia abbiamo un target di 130.000 mq.”

La chiave di successo di Copernico, al pari di We Work, non appare essere, sul fronte dell’aggregazione e riempimento degli spazi, funzionare da semplice locatore.

Pur con dimensioni ridotte rispetto all’equivalente americano, nelle aree gestite sono presenti palestre, gallerie d’arte, bar, ristorante e altre soluzioni di utility.

“Di recente abbiamo lanciato un nuovo prototipo che riteniamo di poter rendere lo standard per la riabilitazione e valorizzazione di spazi bancari: in Via Tortona abbiamo aperto una nuova locazione, subito colonizzata da operatori della moda, che consideriamo la perfetta dimostrazione di come gli spazi che le banche stanno dismettendo possano essere convertiti”. Come per We Work uno degli aspetti che portano una novità nel panorama immobiliare è la ricaduta sull’intera filiera immobiliare.

I primi ad essere interessati sono i fondi immobiliari. “Di solito parliamo con i gruppi di fondi immobiliari”, dice ancora Riva. “Clubhouse, a Brera, era di un imprenditore che aveva 1000 mq. Tuttavia il resto dei nostri interlocutori sono fondi, da Bnp a Generali. Loro investono, credono nella riabilitazione di un prodotto terziario che non è utilizzato, destinato a stare lì per anni. In cambio noi offriamo una soluzione di affitto 9 più 9; con la tendenza immobiliare degli uffici attuali, anche in zone centrali, è un’offerta estremamente valida”.

È bene ricordare, per chi non lo sapesse, che il mercato immobiliare degli uffici a Milano, in vero in tutta Italia, non fa scintille in questo periodo. Dopo una crisi profonda sta, con molta fatica, riprendendosi e resta tuttavia un carico importante sulle spalle dei fondi: la valorizzazione degli spazi al fine di riaffittarli. Con questo scenario in mente la gestione di Copernico sta dimostrando a molti gruppi, finanza e assicurazioni in testa, che possono avere una via alternativa per rivalorizzare i propri immobili.

In aggiunta questa soluzione di smart working permette di lanciare un ciclo di investimenti.

Gli smart center richiedono attrezzature per uffici, servizi e prodotti che attivano, al pari di We Work nel mondo, un ciclo produttivo.

Sul lato affitti di location sia We Work che Copernico stanno orientandosi su uno scenario di grandi clienti.

We Work ormai da un anno sta corteggiando, con discreti successi, i grandi gruppi. Le multinazionali che non vogliono investire direttamente nella riabilitazione di spazi con un’ottica di smart work optano per le soluzioni di We Work.

“Anche in Copernico stiamo osservando come grandi gruppi preferiscano le nostre soluzioni per offrire ai loro dipendenti delle soluzioni smart più agili e già pronte per l’uso, con un rapporto investimento-disponibilità molto positivo; negli ultimi mesi abbiamo sottoscritto contratti con Eni e Airbnb”, conclude Riva.

Ovviamente il percorso di smart working non è obbligatorio. Tuttavia se consideriamo le scelte orientate a una maggior attenzione nell’equilibrare la vita lavorativa e personale, con un accento sulla qualità del tempo speso al lavoro, appare sempre più concreto lo scenario in cui i dipendenti avranno un percorso “seamless” (senza frizioni, potremmo dire) dalla sfera privata a quella lavorativa. Lo scenario di We Work e Copernico, su scale differenti, dimostra come da questo scenario in continua crescita si possano anche fare soldi e ovviamente il tutto a beneficio delle aziende, dei dipendenti e della qualità della vita.

Twitter @EnricoVerga