Battere la crisi: tre rischi e due mosse per chi vuole vedere più in là dell’estate

scritto da il 30 Maggio 2018

Scritto con Damiano Terziotti – 

A prima vista, la crisi dell’Italia è politica – prima che istituzionale ed economica. La decisione del presidente della Repubblica di opporsi alla nomina a Ministro dell’Economia di Paolo Savona prefigura un periodo di tensione che finirà per dividere il Paese in “Élite” e “Popolo”, “Europeisti” e “Sovranisti”. Inevitabilmente, noi tutti ci troveremo costretti ad attribuirci una di queste soffocanti etichette, pur avvertendo di non appartenervi fino in fondo. Da un lato starà chi crede – con il presidente Mattarella –  nell’irreversibilità dell’euro e nel ruolo centrale del nostro Paese nel processo d’integrazione europea, anche per salvaguardare gli interessi dei risparmiatori. Dall’altro chi sostiene – è il caso del Movimento cinque stelle (M5S) e della Lega – che le istituzioni e le leggi dello Stato “non possono prevaricare la democrazia“.

Tuttavia, più sotterranea, l’Italia palesa una difficoltà economica di cui l’establishment sembra preoccuparsi in modo marcato. Mentre i principali indicatori macroeconomici, pur in fase di deterioramento, non sembrano ancora dimostrare uno stato di criticità, la scelta operata dal Capo dello Stato – l’indicazione quale Primo Ministro di un “supertecnico” del calibro di Carlo Cottarelli – evoca scenari di tensione, di crisi vera e propria.

Dove sta andando l’Italia? L’impressione è che – indipendentemente dagli sforzi di Cottarelli, e a prescindere dal riproporsi di un governo M5S-Lega o del voto – sia in arrivo una congiuntura sfavorevole.

Nei prossimi giorni e mesi, i decision maker dovranno razionalizzare quanto sta accadendo e valutare gli scenari possibili. Per orientare le proprie decisioni manageriali avranno bisogno di un’analisi lucida del contesto macroeconomico e dei rischi attesi. Sono necessarie previsioni attendibili.

Individuiamo tre rischi che ci paiono importanti.

1) La politica monetaria della Banca centrale europea (Bce), sinora ultra-accomodante, cesserà di esserlo. Dopo un lungo periodo espansionistico è attesa una fase di normalizzazione.[i] Il “programma di acquisto titoli” o quantitative easing (QE) – che per anni ha abbassato i tassi di finanziamento e i rendimenti medi sulle nuove emissioni di debito sovrano, oggi pari a 30 miliardi di euro al mese – dovrebbe concludersi entro settembre 2018. Inoltre, il mandato di Draghi scadrà il 31 ottobre 2019 e le indiscrezioni circa la nomina del futuro presidente suggeriscono che l’istituto di Francoforte sarà guidato dal falco (“hawk”) Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank. La notizia potrebbe arrivare all’inizio del 2019. A partire da quel momento si esaurirà la “Draghi put”, il fattore che ha maggiormente garantito la stabilità dei mercati finanziari negli ultimi anni, e i mercati italiani saranno a rischio di attacco speculativo. Se la politica monetaria della Bce diventasse restrittiva, la stabilità finanziaria del Paese sarebbe messa a dura prova.

2) Il rischio di contagio, soprattutto sui mercati obbligazionari, è in aumento. In Italia, il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo (Pil) ha raggiunto il 131,8 per cento nel 2017. Dopo la Grecia (178,6), è il secondo più alto della zona euro. Vista l’incertezza, oggi gli investitori vogliono più soldi per prestare all’Italia, soprattutto a breve. Il 29 maggio 2018, il differenziale BTp-Bund (spread tra il rendimento offerto dal buono del tesoro poliennale italiano a 10 anni e quello offerto dal suo corrispettivo tedesco, il bund) ha superato i 307 punti base, il livello massimo degli ultimi cinque anni. Il tasso delle scadenze brevi è in aumento e l’inclinazione della curva dei rendimenti (la “yield curve”) sta iniziando a invertirsi: segno di speculazione, ma soprattutto di preoccupazione e di poca fiducia nel futuro del Paese. Con il rendimento del BTp a 7 anni al 2,94%, il rendimento del BTp a 6 anni è arrivato al 3,11%. Anche i principali paesi emergenti danno segnali di debolezza, soprattutto quelli più fragili come l’Argentina[ii], la Turchia, il Brasile, l’India, il Sud Africa e l’Indonesia. Uno stress sui mercati del debito di questi Paesi, se combinato a una crisi del mercato obbligazionario corporate, potrebbe scatenare flussi “periphery-to-core”, propagarsi su mercati del debito di Paesi periferici come l’Italia e contribuire in modo importante a un accentuarsi della tensione sui mercati internazionali in generale.

3) L’economia italiana è esposta a potenziali shock avversi e il sistema bancario rimane in grave difficoltà. La ripresa è stata più debole che nel resto dell’Eurozona – le stime di crescita per il 2018 e il 2019 sono pari, rispettivamente, all’1.5 e 1.2% per l’Italia e al 2.3 e 1.9% per i Paesi dell’Eurozona[iii].  I rischi per l’economia e per le finanze pubbliche sono accresciuti dalla debolezza delle banche: l’attività di intermediazione è letargica e anche le aziende più produttive sono a corto di credito. Il settore bancario, nonostante il consolidamento degli ultimi anni, resta popolato da banche di dimensioni medio-piccole con strutture di costi ottimizzabili e stock importanti di crediti deteriorati (non performing loans, NPL). La strada del consolidamento e della pulizia dei bilanci non può dirsi terminata: gli NPL incidono sul totale dei prestiti per più del 12% (contro una media dell’Unione Europea pari al 4.4%). Per evitare ulteriori interventi pubblici, i bilanci degli istituti in crisi vanno messi in ordine – risolvendo le sofferenze.

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In sintesi, il contesto macroeconomico segnala il rischio concreto di un nuovo deterioramento delle condizioni economiche e finanziarie italiane su un orizzonte inferiore all’anno. L’incertezza è in aumento e non aiuta l’aspettativa di elezioni a breve. È anche improbabile che il tessuto sociale possa resistere a un’altra crisi.

Di fronte a queste tendenze sistemiche le classi dirigenti non possono sottrarsi al compito di sviluppare strategie e progetti di medio-lungo termine, ognuna nel proprio ambito di competenza, rifiutando di limitarsi al semplice contenimento delle emergenze o, peggio, al fatalismo.

È ora di essere proactive, invece che reactive. In ambito industriale e finanziario ci permettiamo di suggerire due direttrici di lavoro “no brainer”.

Primo, occorre superare il localismo che caratterizza il “fare impresa”, finanziaria e non. Serve uno sguardo macro, una consapevolezza più radicata delle dinamiche di mercato fuori dall’Italia (economiche, culturali e istituzionali). Questa consapevolezza deve poi tradursi in processi aziendali che forzino l’analisi di contesto nei momenti decisionali, e che siano forieri di scelte di internazionalizzazione più consapevoli e coraggiose. Le aziende, in particolare le PMI e gli istituti finanziari che le sostengono, devono: a) saper leggere ciò che sta succedendo e cogliere l’attimo, prendendo decisioni informate; e b) spingere con rinnovato vigore sull’export, come già hanno fatto negli anni di crisi le aziende più virtuose, puntando sui mercati in cui il combinato disposto di reddito disponibile e apprezzamento atteso della valuta gioca un ruolo favorevole. L’illusione, spesso ancora presente, di poter prescindere dal contesto o di approcciarlo in modo opportunistico, senza strumenti adeguati, è destinata a rivelarsi fatale.

Secondo, occorre riprendere rapidamente un percorso di aggregazioni in ottica di efficienza e consolidamento, in particolare per il sistema finanziario. Nel caso di un forte deterioramento  dei fondamentali economici, numerosi player in Italia sarebbero un target facile per acquisizioni ostili. L’acquisizione recente da parte di Emirates NBD, uno dei maggiori istituti bancari del Medio Oriente, della banca turca Denizbank nel momento di maggior debolezza della Lira Turca non è che l’ultimo esempio pertinente. E’ quindi utile agire in modo proattivo, sia costruendo aggregazioni all’interno del Sistema Paese sia lavorando sin d’ora con possibili Investitori esteri – che in una situazione di crisi  si affaccerebbero comunque al nostro Paese, ma a quel punto in modo non cooperativo.

A lungo termine prospereranno solo le banche in grado di: a) capire la complessità del contesto; b) puntare su competenza e professionalità con strutture di costo ottimizzate e moderne; c) creare valore economico e sociale attraverso l’intermediazione del credito, il monitoraraggio dei rischi e la fornitura di servizi evoluti; e d) individuare un nuovo punto di equilibrio tra contatto col territorio e proiezione internazionale, propria e al servizio delle aziende clienti.

L’impegno della classe dirigente in queste due direzioni è oggi più che mai centrale per affrontare l’incertezza e la volatilità cui andiamo incontro, e rappresenterebbe la migliore risposta alla crescente intolleranza verso le élite di ogni natura e ambito.  Il resto del lavoro da svolgere è la ricostruzione paziente di un tessuto politico e culturale che, ormai è evidente a tutti, richiederà tempi molto lunghi e probabilmente modelli partecipativi nuovi.

Twitter @amagnolibocchi

NOTE

[i] Nell’ultimo decennio, le quattro principali banche centrali hanno iniettato oltre 10 trilioni di liquidità – il dato aggregato è passato da 8 a 19 USD tn. Nel 2018, l’iniezione netta sarà ancora positiva ma ampiamente contenuta (362 USD bn rispetto ai circa 2 USD tn del 2017). Nel 2019, per la prima volta a partire dal crisi finanziaria del 2008, il saldo netto di liquidità sarà negativo – stimato in circa -300 USD bn.

[ii] Si veda, per esempio, la recente crisi del peso argentino. Il deprezzamento della valuta ha spinto la Banca Centrale Argentina ad alzare i tassi al 40% e il Presidente Macri ha chiedere un finanziamento di 30 miliardi al Fondo Monetario Internazionale.

[iii] Le stime sono state elaborate da Foresight Advisors sulla base di dati pubblicati dall’IMF nel 2018.