Perché il professor Paolo Savona è inadatto a fare il ministro

scritto da il 01 Giugno 2018

Finalmente il governo ha trovato la quadra, spostando Paolo Savona dall’Economia alle Politiche UE. L’insistenza con cui il professore ha preteso di essere nella compagine governativa lascia un po’ perplessi, soprattutto perché l’attività ministeriale è veramente dura. Sono necessarie tante energie in sovrappiù.

L’altro giorno un lettore pro-Savona ha fatto arrivare al “Corriere della Sera” una lettera di sostegno dove vi era anche il pensiero del prof, che definiva il proprio silenzio “sdegnoso”. Io ho sempre usato il termine “sdegnato”, per cui sono andato subito a documentarmi sul sito Treccani dove si legge che “sdegnoso” significa altezzoso, superbo, arrogante, sprezzante. Chi più di Savona poteva descrivere se stesso così bene? Savona prosegue nella mail così: “Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta…”.

Nella vita, per incarichi ministeriali non conta solo la competenza, deve pesare anche il carattere e l’atteggiamento verso gli altri. Chi si sente Dio in terra e cerca la fedeltà negli allievi (vedi episodi raccontati sotto) e non la competenza, non merita di ricoprire la carica di ministro.

Ribadiamo il nostro pensiero. Il professor Paolo Savona non è adatto a fare il ministro. Peraltro ha ragione l’economista Thomas Manfredi, che la mette a suo modo sul piano dell’ironia pungente: “Metterlo ai rapporti con l’Europa è come mandare Dracula a dirigere l’Avis”.

Paolo Savona, una carriera in Banca d’Italia con Guido Carli, è stato sempre un uomo dell’establishment (ma i grillini non ce l’avevano con l’establishment, considerato una casta assurda, con pensioni d’oro come quella di Savona?). Da anni è passato a contestare questa Europa, a criticare con verve i tedeschi, a considerare fallito l’esperimento dell’Euro. Nel momento in cui il nuovo governo – guidato da un emerito sconosciuto – dovrebbe conquistare la fiducia delle cancellerie mondiali e dei mercati finanziari, nominare un personaggio così controverso, e con ben 82 primavere, è un rischio che non possiamo correre.

La credibilità è tutto. E purtroppo per lui, a Savona la credibilità fa difetto. Come può essere credibile Savona, che sulle colonne del Sole 24 Ore, anni fa, auspicava un euro forte e ora vuole far parte di una compagine governativa che considera l’euro causa di tutti i nostri mali? Figuriamoci se l’euro, rafforzandosi, danneggia le nostre esportazioni! In un intervento a Cernobbio il 6 settembre 1996 (pre-euro) Savona disse che “le sorti dell’euro resteranno incerte sino all’ultimo momento: una bufera monetaria voluta da gruppi di potere ostili all’integrazione monetaria sarebbe infatti un grado di far naufragare il progetto anche il giorno prima della scadenza prevista”. Non è che stava parlando del suo progetto futuro di smantellare la moneta unica?

L’insigne giurista Arturo Carlo Jemolo scrisse: “Sono stati amati da Dio quelli che hanno chiuso gli occhi in tempo per non vedere l’Italia del 1978” (rapimento e omicidio di Aldo Moro, ndr)”. Lo stesso si potrebbe dire di Carlo Azeglio Ciampi, scomparso nel settembre 2016, che ha la fortuna di non assistere a questo pericolosissimo gioco da Paese dei Balocchi.

Ciampi scrisse più volte sul ruolo cruciale giocato dalla credibilità. In un passaggio di “Da Livorno al Quirinale” si legge: “La mia gestione dei rapporti con l’estero fu caratterizzata da una grande spinta europeista. Questo dipese molto dalla autorevolezza della Banca d’Italia e dalla stima che riscossi, in Europa e in seno alle istituzioni finanziarie mondiali. Non voglio lodarmi da solo ma l’efficacia della mia azione fu dovuta alla considerazione che riuscii a guadagnarmi e in cui ero tenuto nell’ambiente finanziario per eccellenza, quale la Banca dei Regolamenti Internazionali” (p. 134).

Come poteva Ciampi, laureato in lettere con una tesi su Favorino d’Arelate, amante di Goethe, non avere un rapporto d’oro con i tedeschi, che non a caso lo insignirono nel 2005 del premio Carlo Magno per “l’eccezionale contributo” dato alla causa europea nel corso della sua vita? Bastò l’accorato e commovente discorso di Ciampi la sera del 24 novembre 1996 per consentire il rientro della lira nel Sistema monetario europeo a 990 lire per un marco (la lira allora veniva trattata a 900 lire per un marco e Ciampi volle favorire l’export italiano, strappando 990, da qui la parità di 1936,27 lire per un euro): “Ciampi gave the performance of his life”, scrisse il Financial Times

Sempre Ciampi: “Io ho sempre goduto di un’alta credibilità in sede europea, in particolare in Germania, e nel mondo. Basti ricordare i miei colloqui da Presidente del Consiglio con il presidente Von Weizsaecker e con il cancelliere Kohl; poi i miei incontri con i colleghi ministri economici, il tedesco Waigel, l’olandese Zalm e con Tietmayer della Bundesbank. Mi ricordo ancora che Tietmeyer fu l’ultimo a cedere e dare luce verde all’Italia; diceva: “Io do luce verde se tu mi assicuri che per dieci anni rimani al Tesoro” (p. 162). Evidentemente l’esponente della Bundesbank temeva che dopo Ciampi sarebbero potuti arrivare ministri ben diversi dallo spessore dello statista livornese.

Savona dopo le dichiarazioni degli ultimi quattro anni contro questa Europa, è percepito – giusto o sbagliato che sia – dai mercati come una minaccia per la stabilità finanziaria dell’Italia. Se non si fa da parte lui, se Mattarella desse il via libera a Savona, ci penseranno i mercati a fuggire, a “votare con i piedi” (Albert Hirschman, cit.), a vendere le attività emesse dalla Repubblica italiana, con al seguito le emissioni corporate, come è giusto che sia. Se hai debiti, se vuoi indebitarti à gogo, devi sempre trovare qualcuno che i soldi te li presti. Se i creditori vengono considerati dei baluba con l’anello al naso e la sveglia al collo, Di Maio e Salvini ne vedranno delle belle. E noi, purtroppo, assisteremo allo scempio dei nostri risparmi.

savona

Savona ha scritto, tra le altre cose: “La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente”. Non so voi cosa pensiate, ma uno che sostiene questi argomenti, quando la Germania ha fatto i conti con la “questione della colpa” con una severità che noi italiani ci sogniamo, non può fare il ministro.

A Savona consiglio la lettura di Angelo Bolaffi “La Germania, oggi” (con P. Ciocca), dove il grande germanista, con lungimiranza, scrive: “Le feroci polemiche sulle strategie finanziarie legate alla moneta unica europea e sulle scelte economiche della Germania inducono al pessimismo, tanto più che sembra irresistibile la tentazione per le classi politiche dei paesi in crisi del Sud Europa individuare nella Germania (e in quello che viene minacciosamente evocato come “il peso del suo passato”) un comodo capro espiatorio su cui scaricare le responsabilità dei propri fallimenti. Una illusoria quanto pericolosa via di fuga quella di incolpare le istituzioni europee e i governi ‘dei paesi creditori colpevoli di imporre troppa austerità’ da parte di chi non è in grado di risanare le finanze pubbliche del proprio paese limitandosi ad applicare la logica odiosa dei tagli lineari” (p. 9, sottolineatura mia).

L’austerità in Italia non l’abbiamo mai conosciuta se non nelle domeniche a piedi degli anni Settanta, post shock petroliferi. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà e giustizia, il contrario di ciò che abbiamo visto. Perché i nuovi governanti vogliono adottare politiche espansive della spesa pubblica corrente, chiedendo maggiore flessibilità a Bruxelles, se nel passato con maggiori deficit di bilancio siamo cresciuti sistematicamente meno degli altri Paesi UE?

Un episodio personale aiuta a mettere in luce la personalità arcaica e baronale di Paolo Savona. 23 ottobre 2013. A Palazzo Altieri si presenta il mio volume su Paolo Baffi “Parola di governatore” (scritto con Sandro Gerbi), alla presenza del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, relatori il presidente dell’ABI Antonio Patuelli (che apprezza molto il mio lavoro da storico sulla figura di Baffi, a cui ho dedicato ben quattro volumi), Mario Sarcinelli e Paolo Savona.

Prima della presentazione mi viene incontro Savona e mi dice a brutto muso: “Io sono arrabbiato con lei”. Io che non lo conoscevo, se non di fama, risposi: “Prof. Savona, non capisco il perché, non ci conosciamo”. E lui prontamente: “Ma lei non mi ha citato nel suo volume”. Io: “Quindi è arrabbiato solo perché non l’ho citata?”. “Certo”, mi rispose Savona, tronfio di apparente sapere sulla figura di Paolo Baffi (le cose che avrei dovuto citare erano trite e ritrite, già dette da altri anni prima). Non contento, in occasione del suo intervento, disse che le uniche cose interessanti su Baffi le avrebbe scritte lui successivamente.

Urca, prof. Savona, che livello!

In quell’occasione mi ha ricordato un altro barone altezzoso come Corrado Gini che chiese a New York a Franco Modigliani – già full professor – di portargli ad aggiustare il suo orologio rotto. Modigliani nel suo “Avventure di un economista” commentò: “Così si saggiava di che pasta eri fatto. Quanto eri in grado di subire pur di accattivarti la benevolenza del capo. Questa è una delle origini profonde della crisi italiana. Perché una classe dirigente che è stata selezionata in base alla sua capacità di subire umiliazioni, di non avere amor proprio, è quella che non è in grado di guidare l’Italia”. Di quella giornata ricordo la stretta di mano di Visco, il telegramma di felicitazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il commento di Mario Sarcinelli (governatore mancato), che solitamente non abusa in complimenti: “L’analisi dei testi è fatta (da Beniamino Piccone, ndr) con acume e in modo sistematico”.

In questi giorni tristi, dove i risparmiatori vengono traditi da dilettanti allo sbaraglio, torniamo a leggere Luigi Einaudi, uno dei massimi cantori del risparmio degli italiani, il quale ebbe una vera e propria venerazione per il risparmio, che metteva in relazione con una serie di virtù civili e personali: laboriosità, previdenza, fiducia in se stessi. A un anno dalla Liberazione dai tedeschi e dal fascismo, Einaudi il 16 aprile 1946, sulla Libertà, scrisse un articolo già evocativo nel titolo, Il Paese salvato dal risparmio, dove in un passaggio di legge: “Se lo Stato, nei suoi tronconi, avesse dovuto, per far fronte al suo fabbisogno, ricorrere soltanto ai biglietti, sarebbe stato il diluvio universale cartaceo. I prezzi, invece di moltiplicarsi in media per 20-25 in confronto al 1938, si sarebbero moltiplicati per 50 o 60; e il crescere vertiginoso dei prezzi avrebbe cresciuto a sua volta le spese pubbliche, sicché il disavanzo non si sarebbe limitato a 631 miliardi, ma si sarebbe spinto a 1000, a 2000 e chissà fin dove. Sarebbe stato il finimondo e forse la lira avrebbe fatto la mala fine. Chi ci salvò fu il risparmio del Paese. Consapevolmente o inconsapevolmente, recando i propri risparmi alle banche e alle casse di risparmio, le quali lo riversavano in massima parte alla Banca d’Italia, la quale a sua volta lo trasmetteva al Tesoro – e tutto ciò accadeva fatalmente, perché banche e casse non potevano pagare interessi ai depositanti se non impiegavano i depositi presso l’unico cliente, che in tutti i Paesi del mondo in tempo di guerra è lo Stato – i risparmiatori salvarono il Paese dall’estrema rovina”.

Quando sentiamo i rappresentanti pentastellati e leghisti fregarsene di spread, mercati dei capitali, andamento della borsa, credit spread, agenzie di rating, il messaggio implicito ai risparmiatori è chiarissimo: dei vostri risparmi non ci importa nulla, prima o poi, con il sovranismo, torneremo a battere moneta e l’inflazione si mangerà i vostri sudati denari. Lo sanno costoro che se il rating dell’Italia dovesse scendere sotto la BBB-, e quindi perdere l’investment grade, la Bce non potrebbe più comprare i nostri titoli, se non dopo aver firmato un piano di risanamento con la Troika (Fmi, UE e Bce)? Qualcuno glielo spieghi, prima che sia troppo tardi.

(Pubblicato il 26 maggio. Aggiornato il 1° giugno alle ore 13.15)

Twitter @beniapiccone