Donne a board: quanto pesa la loro presenza nelle stanze dei bottoni?

scritto da il 05 Giugno 2018

Servono le donne nei board delle aziende?

È una domanda a cui offrire una risposta pone rischi elevati.

Il primo aspetto da considerare è quello etico. Dato per assunto (almeno per il sotto scritto) che uomini e donne sono uguali detentori degli stessi diritti e doveri, anche in ambito lavorativo, non dovrebbero esserci differenze.

Uso il condizionale perché, fin troppo spesso, vi sono casi di discriminazione, nell’ambito lavorativo, tra gli stipendi maschili rispetto a quelli femminili. Persino di recente in un’industria piuttosto sotto i riflettori come quella di Hollywood si è notato come le differenze di paga tra uomini e donne sono manifesti.

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Credit Suisse ( immagine qui sopra) già nel 2014 (con dati storici sino al 2013) mappava lo scenario dei board misti descrivendo una serie di aspetti positivi. Sorprendentemente (malgrado si pensi spesso diversamente) il report tracciava un 17% di donne nei consigli di amministrazione italiani (contro una media del 12%).

Ora resta da vedere, al netto delle quote rosa, se sia veramente significativo l’apporto che le donne possono dare ad un consiglio di amministrazione.

“Storicamente sono sempre stata contraria al tema delle quote rosa, fa effetto panda e porta a strumentalizzare il fatto che ti trovi in una posizione apicale perché donna. Sono invece sempre stata convinta del valore della meritocrazia.” Mi spiega Carolina Gianardi, responsabile Marketing Strategico di Poste Italiane e Fondatrice di PWN (Professional Women Network) Rome.

“Col passare del tempo e l’aumento della mia seniority lavorativa, l’idea se sei brava e ti impegni procedi a livello di uomo ho notato che non era coerente con lo scenario esistente. Per essere chiara, a parità di competenze, senza quote rosa, non avrei mai avuto modo di essere presente nei cda. La ragione, a mio avviso è semplice: si sarebbe proseguito nella selezione dei soliti noti; la quota rosa ha forzato a guardare fuori.

Ovviamente il concetto di quote rosa ha permesso sia a donne competenti, e non, di posizionarsi nei Cda; ma la cosa più importante è che ha mediamente innalzato le competenze dei membri dei Cda, uomini o donne che siano.”

Un tema, quello della competenza e merito delle donne (e il loro effettivo apporto, per esempio, ai fatturati) sollevato in modo critico da Forbes pochi anni fa. La tesi della famosa rivista era, in sostanza, che il “mito” delle donne nei Cda e i relativi benefici (alle aziende governate da suddetti Cda) erano assai sopravvalutati.

“Nel mio network ho dato delle opportunità a donne competenti che, altrimenti, non avrebbero mai avuto accesso a Cda e altre posizioni decisorie. Senza l’opportunità delle quote rosa, forse, non avrei potuto farlo. Sono tuttavia sincera: questa strategia non risolve il sistema. Quando scadrà la legge temo che vi sarà un’involuzione. Vero, anche, che molte donne capaci sono riuscite a conquistare posizioni dove possono fare la differenza, quindi auspico che anche senza le quote rosa, il concetto di equità, meritocrazia ed equilibrio tra i sessi nei Cda, e non solo, possa continuare”, conclude Carolina.

Una posizione a cui fa eco Sabrina Cirillo, associate partner di yourCEO: “Una brava top manager è capace di creare spazi organizzativi anche per le risorse femminili in crescita in posizioni intermedie. Credo che vi debba essere spazio per merito e bravura.

Penso a quando sono arrivate le prime dottoresse donne. Immagino un mondo dove l’utilizzo di strumenti e competenze sia, anche per noi donne, un’opportunità di dimostrare la nostra bravura. Siamo chiamate alla responsabilità e all’impegno. Il vero tema è che la società ancora oggi delega alla donna anche i ruoli di cura, e questo porta maggior fatica. Avendo già un primo lavoro, la gestione familiare è ovviamente motivo di stress.

Con questo scenario molte donne rinunciano alla carriera e questo rallenta il percorso di evoluzione. Se le donne competenti si adoperassero in modo che altre donne possano crescere, si arriverebbe ad una sostanziale parità”, spiega Sabrina.

Vi è da ammettere che negli ultimi anni gli eventi che permettono di creare maggiori sinergie e network tra donne manager (o in generale professioniste) sono in crescita sia per quantità che per qualità.

Dal recente evento promosso dalla associazione Bocconi Alumni Association a Roma ai progetti di Valore D. Dalla grande conferenza del 18 maggio dell’associazione ASLA (creata dalla madre, moglie e senior partner Barbara De Muro dello studio legale LCA) al progetto del premio Technovisionarie di Gianna Martinengo.

L’idea della conferenza nasce da Andrea Pietrini, bocconiano e managing partner di yourGROUP (www.yourgroup.it). “Nel nostro paese c’è spesso poca capacità di fare sistema, anche a livello associazionistico. Quindi abbiamo deciso di creare un evento con Bocconi Alumni Association che ha raccolto la sfida, insieme ad alcuni tra i più importanti gruppi associativi di managerialità femminile che potessero cogliere in pieno l’innovazione di questo nuovo approccio: Professional Woman Network, Professional Woman Association e Young Women Network. Con tutti loro abbiamo cominciato un percorso che vede il primo passo in questo evento per scambiarsi esperienze sulla leadership al femminile. Ovviamente dopo l’evento di Bocconi a Roma spero di organizzare un seguito a Milano”.

Lo scenario donne e board di amministrazione è sicuramente un fenomeno nuovo in Italia. Ora è importante comprendere come questo scenario di equilibrio potrà ulteriormente affermarsi anche dopo la fine delle “quote rosa”. Come ha mostrato l’articolo di Forbes non mancano le critiche.

Tuttavia mi domando se non sia solo l’aspetto finanziario (le famose trimestrali) a dover indicare l’utilità di una maggior presenza femminile nei board. Un’analisi (lo ammetto semi seria) riporta altri fattori rilevanti oltre che al nudo denaro. Un gruppo misto permette una visione dello stesso problema da differenti punti di vista. Un approccio potenzialmente più conservativo della donna si va a bilanciare con un approccio più aggressivo di un uomo (il famoso binomio uomo cacciatore donna gestitrice della caverna, nel senso dei vecchi tempi, s’intende).

Anche la percezione di un’azienda conta. Sia che gli stakeholder siano cittadini, media, o investitori, un board più equilibrato rassicura e rende più fluido il confronto con le singole contro parti.

C’è da considerare che è ancora troppo presto per comprendere se e come le quote rosa (o come si preferisce definirle nelle altre nazioni) siano state un effettivo successo per le aziende. Di sicuro l’aver forzato la mano al settore privato nell’introdurre donne nei board, al netto delle donne “meno performanti” (che hanno approfittato dell’opportunità senza avere vere doti di merito) ha offerto la possibilità di avere una visione femminile su una serie di scenari che, sempre più spesso, implicano un approccio a 360 gradi. E questo è sicuramente un vantaggio per ogni organizzazione, privata e pubblica.

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